Danilo Rea, pianista italiano affermato a livello internazionale, classe 1957, è indubbiamente una delle tastiere più eclettiche del nostro panorama. Ha suonato jazz con mostri sacri come Chet Baker, Lee Konitz, Enrico Rava, ma anche musica leggera d’autore con Mina e Gino Paoli, non disdegna il rock e i suoi derivati, ha affrontato i compositori classici più importanti. Ora è la volta di Giacomo Puccini. Insieme a Michel Godard (tuba e serpentone) sta portando in giro nei teatri italiani “La finestra di Puccini”, un concerto in cui i due interpretano il compositore pesarese con attitudine jazz, gettando ponti tra i generi.
Un nuovo incontro musicale, per un musicista come te che ama esplorare.
Sono anni che lavoro a queste improvvisazioni su arie d’opera. Puccini è l’autore classico che si avvicina di più al jazz, per certi tipi di armonie. Mi piace pensarlo come colui che ha dato il via a tutto, aprendo la strada ai grandi standard americani. Del resto anni fa ho già pubblicato un cd, Lirico, in cui gli rendevo omaggio insieme ad altri. Quello che mi ha salvato, nella vita, è stato amare tutta la musica che mi piaceva, senza pensare a generi ed etichette. Io adoravo gli afroamericani che hanno preso la grande musica di Cole Porter e George Gershwin e questi autori sicuramente hanno ascoltato Puccini. Il cerchio si chiude.
Il tuo incontro con Michel Godard, compagno in questa avventura, quando e come avviene?
Solo nel 2022 con questo progetto, anche se ci conoscevamo da tempo. Michel è un musicista incredibile, di grande sensibilità, con il suo pathos riesce a far “cantare” gli strumenti. In concerto proponiamo improvvisazioni su melodie note e meno, come O mio bel bambino, Vecchia Zimarra e Nessun Dorma, alternate a nostre composizioni. E’ quello che si dovrebbe fare, credo, quando si approcciano i grandi musicisti. Spesso si tende a rielaborare il loro sistema armonico, ma molte volte il tutto diventa trito e ritrito, il kitsch è dietro l’angolo. Basterebbe, credo, seguire la lezione di Puccini. Dopo ventisei concerti insieme, sembra che la cosa funzioni…-
E l’idea della finestra di chi è?
Di Michel. E’ una bella immagine che Puccini possa ascoltare la musica che gli entra dalla finestra, le note della banda, il jazz forse, la sinfonica. L’intento è quello di avvicinare il pubblico a questa grande musica che è parte integrante della cultura italiana. Il jazz in questo momento soffre di un periodo statico, nonostante quello che si dice, si è spesso omologato rinchiudendosi un poco in una categoria intoccabile. I mondi musicali, secondo noi, devono incontrarsi con un duplice effetto: il pubblico che ha sempre ascoltato jazz si avvicina alla grandezza della musica lirica e lo scambio funziona anche in senso inverso.
Qualcosa sulle tue influenze musicali. Chi sono i tuoi eroi personali?
John Coltrane, con My Favourite Things è colui che mi ha avvicinato al jazz. Poi c’è Mc Coy Tyner, al quale ho aperto un concerto a Correggio e ho raccontato questa storia. Naturalmente Bill Evans, con il suo tocco finissimo. Le influenze le hai quando suoni, io ho avuto la fortuna di accompagnare Chet Baker e Lee Konitz. Ho imparato tantissimo da loro.
Le tue preferenze artistiche, nel mondo del rock e dintorni?
Ho ascoltato moltissimo Peter Gabriel e l’ho anche conosciuto quando andai a registrare Oltre con Claudio Baglioni a Bath, nel suo meraviglioso studio. E’ un geniaccio. Anche Sting è molto forte. Concordo con quello che si dice, che il rock, come il jazz ha dato il suo meglio fino agli inizi degli anni Ottanta.
Stupiscimi con qualche nome di culto..
Lyle Mays, grandissimo tastierista purtroppo scomparso qualche anno fa, il braccio destro e qualcosa di più di Pat Metheny. Certe volte mi commuove con il suo stile liquido, impressionistico.
E poi Bill Payne, che non molti conoscono, con i Little Feat e su un’infinità di altri dischi. Con lui si viaggia proprio on the road, ed è un bel viaggiare.
Film di argomento musicale preferito?
Sono molto affezionato a Round Midnight di Bertrand Tavernier, quando posso me lo rivedo.
Due parole su grandi della canzone come Gino Paoli e Mina
Gino è un uomo libero, grande interprete, un poeta che canta i suoi versi. Mina è fuori da ogni categoria: la sua facilità di canto, la bravura, il tempo, l’intonazione. Fuoriclasse. Entrambi sono anche molto calorosi dal punto di vista umano.
Come vedi il panorama attuale del jazz italiano?
Pieno di musicisti, molto ben preparati, ai quali forse manca un po’ la capacità di comunicare emozioni. E’ purtroppo un guaio del nostro tempo, che si riflette su tutti i generi: la classica, il jazz, il rock, il pop.
Qualche nome di pianista interessante?
Direi Enrico Zanisi, Domenico Sanna, Alessandro Lanzoni, Danilo Blaiotta.
Hai suonato con un maestro come Enrico Rava.
Grandissimo musicista. Abbiamo suonato parecchie volte, in duo, in quartetto. Ecco, lui incarna esattamente il tipo di cui parlavo, è uno capace di emozionare.
E dunque la qualità più importante che deve avere un musicista è proprio questa, l’emozione?
Aggiungerei anche la riconoscibilità, il suono.
Un consiglio ad un giovane che vuole fare della musica la sua vita?
Ai miei allievi di pianoforte ho sempre detto: cercate di non mettere un muro tra voi e chi ascolta, siate comunicativi. La tecnica è una bella cosa, ma è un mezzo per esprimere emozione e sentimento, non un fine. Studiate, studiate, ma attenzione a non acculturarvi troppo, a non dimenticare la vostra passione. Penso sempre a Stevie Winwood che a diciassette anni ha scritto un pezzo come Gimme Some Lovin’ che si ascolta e si balla pure ancora, è diventato uno standard anche quello. La passione ti può portare lontano”. –
Tornando a Puccini, secondo te avrà ascoltato il jazz?
E’ storicamente possibile, visto che è morto nel 1924. Ed era un artista sempre appassionato ad altre culture. Magari, qualche indizio lo trovate nei nostri concerti. Veniteci ad ascoltare.
(la foto di Danilo Rea è di Marina Magri)