Ci sono musicisti che hanno illuminato il panorama del rock con la loro breve ed intensa vita come delle vere stelle cadenti. Ragazzi bruciati da quello stesso tormento che li aveva fatti brillare nell’imbracciare la loro chitarra. La stella di Paul Kossoff si è spenta ancor prima di allietare intere generazioni, lasciando nei nostri cuori il rimpianto di ciò che sarebbe potuto essere ancora.
Kossoff nasce ad Hampstead il 14 settembre del 1950. Suo padre, David Kossoff, era un attore inglese cinematografico e televisivo. Lo zio Alan Keith Kossoff era uno speaker radiofonico e nei suoi programmi si occupava di musica classica. Fin da bambino Paul mostrò interesse per la musica ed in una famiglia avvezza all’arte, fu naturale incoraggiare la sua indole. A soli nove anni iniziò a suonare la chitarra classica, mostrando fin dapprincipio un incredibile talento.
Nel 1965 John Mayall invitò Eric Clapton a unirsi alla sua band e per due mesi portarono in giro i loro spettacoli. Ad uno di questi assistette il quindicenne Paul, folgorato dal blues quanto dalla maestria di chi suonava sul palco. Clapton e il suo stile divennero per lui quasi un’ossessione che lo accompagnò negli anni a seguire. La strada era ormai segnata e Kossoff lasciò la chitarra classica per un’agognata Gibson Les Paul. Iniziò da una Junior per motivi economici, ma la svolta per il blues e il rock era ormai realtà. Con la sua prima band, i Black Cat Bones, si dimostrò essere un chitarrista blues talentoso e sopraffino. La band si formò nel 1966 e vide la partecipazione di Simon Kirke che divenne più avanti il batterista degli stessi Free. Al basso e alla chitarra ritmica c’erano i fratelli Stuart e Derek Brooks. Suonavano blues e si esibivano regolarmente nei pub londinesi e riuscirono anche ad aprire ad un concerto dei Fleetwood Mac.
L’amore folgorante di Paul Kossoff per il blues è apprezzabile in alcune cover del gruppo, come quella di Rock me baby, un brano di B.B. King e Joe Bihari. È impossibile restare indifferenti al suo scatenato assolo. La sua capacità di inseguire le note in maniera selvaggia, restando fondamentalmente ancorato alla melodia, rende la sua esecuzione tremendamente passionale. Discutere della tecnica di Kossoff impoverisce incredibilmente la sua capacità di entrare in sintonia con le emozioni più profonde attraverso i suoi assoli. Il chitarrista Joe Bonamassa offre probabilmente una delle migliori descrizioni del suo incredibile talento artistico: “Il vibrato di qualsiasi chitarrista è la tua impronta digitale, è nel tuo DNA, è la tua personalità, è il timbro della tua voce. Kossoff aveva un vibrato veloce, ma era blues, soul e infuocato, un po’ come B.B. King, che ha un vibrato veloce. È sotto controllo, ma ancora appassionato”. Non è uno stile fatto di virtuosismi, è più la pennellata di un impressionista che colora di sfumature ogni nota conferendole il giusto peso nella melodia. Paul Kossoff non ha mai usato un pedale da distorsione e riusciva a creare la magia con le sue sole dita.
Col tempo aveva sostituito la sua Gibson con un modello standard degli anni 50. Già da allora mostrava la sua capacità di restare su una sola nota quanto bastava per darle colore. Ponendola in primo piano nelle orecchie di chi ascoltava, le conferiva mille sfumature con il suo peculiare vibrato. Nel 1969 gli dei della musica gli regalarono il sogno di conoscere il suo eroe, Eric Clapton. Leggenda racconta che ci fu uno scambio di chitarre. Fatto sta che da allora Paul annoverò fra le sue una Les Paul Standard Darkburst del 1958. Fra le sue chitarre c’era anche la sua Stripped Le Paul, la famosa chitarra in legno naturale e una Fender Stratocaster del 1957, che che nel 1976 venne acquistata da Dave Murray, chitarrista degli Iron Maiden.
Il blues sembrava la sua vocazione, eppure la sua chitarra era anche tremendamente rock come quella dei suoi eroi, Clapton e Hendrix. Sia Kossoff che Kirke cercavano una via di fuga dai Black Cat Bones e Paul Rodgers offrì loro l’occasione. L’incontro fu folgorante. Rodgers rimase incredibilmente impressionato dalla capacità di Kossoff di eseguire brani di B.B.King e Albert King e quest’ultimo fu colpito dalla sua potenza vocale. Nacquero così i Free.
Il loro primo album, Tons of Sobs, non fu un grande successo. A posteriori è disco incredibilmente saturo di ottimi suoni e tremendamente maturo per essere stato prodotto da un gruppo di ragazzini. L’unione fra la voce e la chitarra crea un’alchimia unica. I’m a Mover ne è un esempio stratosferico.
È straordinario come gli assoli di Kossoff non tendano mai a strafare ma a riempire e incorniciare la voce di Rodgers quasi con minimalità, con quella personale magia di stirare e vibrare le note.
Nel 2016 i Temple of the Dog ne faranno una onorevole cover e se l’argomento vi incuriosisce provate ad ascoltarla anche solo per capire quanto lo stile di Kossoff fosse unico ed irripetibile.
Sullo stesso album c’è la strepitosa cover di The Hunter il cui assolo è una vera dichiarazione d’amore per Albert King, uno degli autori del brano, elevandolo a modo suo in una stratosferica cavalcata sonora. La sua chitarra è energia pura e quel vibrato torce sul serio lo stomaco e trascina la mente lontano. Siamo lontani dalla tecnica sopraffina di Albert King, ma c’è qualcosa di incredibilmente travolgente nello stile di Kossoff che è impossibile ignorare. All’epoca era poco più che diciottenne e sprigionava dalle sue dita la promessa di entrare nell’olimpo dei guitar heroes.
Anche il secondo album omonimo Free non raccolse molti consensi. Segnò però l’inizio delle tensioni all’interno della band. La coppia Paul Rodgers e Andy Fraser prese il timone nella scrittura delle canzoni, ma questo finì per limitare il talento di Kossoff, soprattutto quando Fraser provava ad imporgli i suoi riff. In brani come Song of Yesterday è possibile comunque ammirare lo stile inconfondibile di Kossoff. E nel corso dell’ascolto dell’intero album è abbastanza chiaro come siano i suoi assoli a rendere speciali i Free, giacchè la loro assenza in alcune canzoni crea un vuoto quasi imbarazzante.
Come sempre accade quando si rincorre la fama, non si diede troppo peso a quanto accadeva nei rapporti umani e ci si preoccupò solo di andare avanti. E nel 1970 con Fire and Water finalmente arrivò il meritato successo. L’album svettò al secondo posto nella UK charts e al quarto posto negli Stati Uniti. L’indimenticabile esibizione al Festival dell’Isola di Wight con quello che potremmo definire il loro inno, All right now, li consacrò definitivamente. Quanto detto finora sullo stile di Kossoff si traduce nello straordinario assolo di Fire and Water, in particolare in quei dieci secondi di apertura in cui riesce a stirare quella nota che sembra quasi vibrare all’infinito. In Mr. Big il fraseggio fra la chitarra e il basso di Fraser descrive un indimenticabile dialogo sonoro che sprigiona un alchimia pazzesca. Personalmente trovo toccante Oh I wept, scritta a quattro mani da Kossoff e Rodgers. L’assolo è delicato e si inserisce quasi in punta di piedi in una malinconica nenia. È un brano semplice, che racconta emozioni primitive come quella di una delusione amorosa, ma non è per nulla scontato.
Quello che doveva essere l’avanzata verso una strepitosa carriera, divenne invece il momento in cui iniziò la loro rovinosa caduta. Paul Kossoff fu sopraffatto più degli altri dalle crescenti pressioni e dall’insoddisfazione artistica. Si sentiva escluso dalla coppia compositiva Rodgers-Fraser e si lasciò divorare dalle droghe. Indubbiamente si sentiva poco portato ad accontentare il palato del grande pubblico, propenso com’era a cavalcare le sue origini blues. Ma quando sei in vetta, la pressione del mainstream sulla tua arte può diventare insostenibile e bruciare ogni aspirazione.
A distanza di pochi mesi venne alla luce il loro quarto album, Highway, ma la differenza di vedute artistiche era ormai dilagante, quasi quanto i problemi di Kossoff con l’eroina. Oltre ad essere sopraffatto dai problemi interni alla band, viveva drammaticamente la tragica morte di Jimi Hendrix, che da qualche tempo aveva iniziato a considerare la sua musa ispiratrice. L’album fu un disastro e non solo per le vendite commerciali. Eppure c’era una canzone che riuscì come singolo ad attirare l’attenzione ed era My Brother Jack, scritta a quattro mani da Fraser e Rodgers. “Fratello mio, Jack, hai pensato di cambiare i tuoi modi… che ti prende? La tua candela sta bruciando, le ruote stanno girando. Cosa farai? Non si inizia di nuovo, prova a fare degli amici, non è mai troppo tardi”. Impossibile non pensare ad una dedica implicita alla stella di Kossoff che stava bruciando sotto i loro stessi occhi.
Nel 1971 la coppia creativa Rodgers e Fraser era in un momento di forte disaccordo artistico e da lì a poco la band si sciolse. Paul Kossoff si unì a Simon Kirke e al tastierista John Bundrick e al bassista Tetsu Yamauchi per l’album Kossoff Kirke Tetsu Rabbit. Il risultato fu un disco dalle sonorità rock-blues che avevano ancora il sapore della musica dei Free, ma l’assenza della portentosa voce di Rodgers finì irrimediabilmente per penalizzare il prodotto. La strumentale Just for the box mette ancora in evidenza il fenomenale talento alla chitarra di Kossoff in un assolo infinito che riempie il brano con quella magia che solo le sue dita sapevano creare. Hold on, scritta a quattro mani da Kossoff e Kirke è una ballata malinconica in cui la chitarra conferisce una coloritura di struggente dolcezza.
Le condizioni di salute di Kossoff peggiorarono e i suoi amici vollero riprovare a mettere su i Free per tirarlo fuori dal suo inferno. Nel 1972 pubblicarono un album, Free At least e come gesto simbolico decisero di firmare tutti insieme le tracce del disco. Bissarono nel 1973 con l’album Heartbreaker, ma Kossoff non era nelle condizioni di salute per onorare il tour di promozione. Fraser ricordava come in alcuni concerti avesse visto i fans piangere per lui, perché alla fine tutti volevano solo che stesse bene. Fu proprio Fraser a uscire dalla band perché insofferente a quella terribile situazione e determinare la fine definitiva della band.
A quel punto Kossoff pubblicò un album da solista, Back Street Crawler. Lascia basiti come, nonostante la sua tossicodipendenza peggiorasse col passare del tempo, la sua indole creativa riuscisse ancora a mettere in mostra il suo enorme potenziale compositivo ed esecutivo. Quell’album nasconde in sé qualcosa di autocelebrativo, nel senso migliore del termine. Sembrava quasi che Kossoff volesse dire al mondo intero che, nonostante tutto, lui c’era e il suo inestimabile valore musicale andava ben oltre i suoi maledetti problemi. Basta ascoltare la prima traccia per capire quanto volesse disperatamente autodeterminarsi, in una maniera persino folle ed eccessiva. Tuesday Morning è un brano strumentale di oltre diciassette minuti in cui la sua chitarra la fa da padrona, affermando con prepotenza e spettacolarità la sua capacità comunicativa.
Ci furono poi alcune collaborazioni fra cui voglio menzionare solo quella incredibile con Jim Capaldi dei Traffic in due album, Oh, how We Danced e Short Cut Draw Blood. C’è una canzone in particolare di quest’ultimo album, Boy with a problem in cui Capaldi parla della tossicodipendenza e delle tendenze autodistruttive di Chris Wood dei Traffic. Eppure sapere che alla chitarra c’era proprio Kossoff che nascondeva lo stesso inferno crea ancora oggi un brivido nel riascoltarla. “È solo un ragazzo con un problema che non riesce a nascondere. Pensa di controllare la sua abitudine. Ma presto da questa terra se ne andrà. Scriverò una canzone e gliela manderò e forse vedrà proprio quello che sto provando.”
Nel 1975 Paul Kossoff mette su una nuova band, i Back Street Crawler. Nel primo album, The Band Plays On, riesce a dare il suo contributo significativo. Era però ormai divorato dalla dipendenza da sostanze e farmaci e nel secondo album, 2nd Street, i suoi problemi di salute erano così seri che venne più volte sostituito da W. G. ‘Snuffy Walden nelle sedute di registrazione. Quest’ultimo lo rimpiazzò anche in alcuni concerti. Alcune date furono annullate poiché Kossoff subì un ricovero ed andò persino in arresto cardiaco. Era marzo del 1976 quando la nuova band di Rodgers, i Bad Company, si incontrò sul palco a Los Angeles con quella di Kossoff. Sembra quasi un segno del destino che sia stata proprio musica a riavvicinare per l’ultima volta questi ragazzi. I Back Street Crawler avrebbero dovuto suonare come supporter degli AC/DC quell’anno, ma nulla di ciò accadde perché solo qualche giorno prima di partire in tour Paul Kossoff morì. Il 19 marzo del del 1976 fu colpito da edema cerebrale e polmonare mentre volava da Los Angeles a New York. Aveva solo venticinque anni.
Difficile rassegnarsi a destini come il suo. Resta il rimpianto di tutto quello che non c’è stato e l’amarezza di una giovane vita bruciata davvero troppo in fretta. Il padre di Kossoff spese tutta la sua vita in campagne di informazione sui rischi della dipendenza dalle droghe. Rimane la sua musica a testimoniare il suo talento e a ricordarci quanto la nostra esistenza sia preziosa.
ascolti
- Black Cat Bones – Paul’s Blues (set of unreleased 1967 rehearsals)
- Free – Tons of Sobs (1968)
- Free – omonimo (1969)
- Free – Fire and Water (1970)
- Free – Highway (1970)
- Paul Kossoff – Black Street Crawler
parole
- Paul Kossoff: All Right Now. The guitars, the gear, the music – J. P. James (Ed. Matador, 2017)
visioni
- The Isle of Wight festival, the movie – regia di Murray Lerner, 1995