Shawn Smith, la voce in controtendenza del Seattle sound e il suo infinito amore per la vita

“Non puoi mai giudicare la qualità della musica semplicemente dalla quantità di copie che un album vende o da quanto è alto il suo posizionamento in classifica”. Lo scrittore giornalista Greg Prato esordì con queste parole nel 2014 nell’intervista a Shawn Smith. È difficile capire come a volte le quadrature celesti non regalino i meritati onori a personaggi di tale caratura. Shawn aveva una voce straordinaria ed era capace di toccare la profondità dell’animo umano con le sue canzoni. Ma lo ha sempre fatto con discrezione e in punta di piedi in un periodo, gli anni novanta, in cui il trend era vomitare e urlare le proprie emozioni.

Nasce nel il 28 ottobre del 1965 a Spokane nello stato di Washington e si diploma a Bakersfiled in California. Nel 1987 si trasferisce a Seattle, proprio negli anni in cui prende vita il movimento musicale e culturale chiamato grunge. Conosce Regan Hagar, il batterista dei Malfunkshun. La band era da poco confluita in una nuova formazione, i Mother Love Bone e Regan era stato escluso dall’amico Stone Gossard. L’ambiente musicale di Seattle di quegli anni è fatto di amicizie che non conoscono competizione e rancore. Quello che detta legge nel movimento è invece il motto ‘possibilità’. Ed è quella che Shawn si gioca nell’assistere alle prove e ai concerti dei Mother Love Bone in cui inizia ad imparare il mestiere.

Possibilità è quella che lo spinge a formare una band con Regan Hagar, i Satchel. Possibilità è la stessa che dopo una sessione di jam nel 1992 insieme allo stesso Regan e Stone lo spinge a decidere di entrare in uno studio e fare un album. Il disco si chiama Shame e probabilmente era destinato ad essere un esperimento isolato. “Io, Stoney e Regan ci siamo incontrati un giorno… Abbiamo provato la base per una canzone e Stoney ha detto ‘Fammi prenotare un paio di settimane in uno studio e quando ho finito con Lollapalooza, facciamo un disco’” raccontò Shawn.
“I Pearl Jam avevano appena preso il volo. Penso che Stone avesse ricevuto il suo primo assegno. Quindi aveva successo e ha detto tipo ‘Voi ragazzi volete andare in studio? Ho dei soldi, pagherò io’” è la versione Regan. “Non avevamo nessuna canzone. Abbiamo provato e scritto canzoni per quattro o cinque giorni consecutivi, poi siamo andati in studio. E suona così, il disco è piuttosto eclettico” ricordò più avanti Stone. 

Eclettico quell’album lo era ed a dir poco: un mix alternativo di rock, soul e funk. Quello che colpisce è sicuramente la voce calda e avvolgente di Shawn che canta versi in totale libertà. “Il piano era di registrare solo alcune canzoni. L’abbiamo fatto e Stone era in uno stato mentale veramente fiducioso… Ha detto solo: ‘Questo è tutto. Andiamo avanti’. E penso che sia stato grandioso. Perché avrebbe potuto dire: ‘Ehi, amico, puoi lavorare sui tuoi testi’ e tutto il resto. E non l’ha fatto… tutta quella sessione è stata così. Mi è stato permesso di cantare sciocchezze, se è quello che ha funzionato”. In soli diciassette giorni il disco fu finito e profuma ancora oggi di quell’improvvisazione che solo alcune forme di arte pura conservano.

L’album si apre con Buttercup, una canzone che forse più delle altre mette in evidenza l’amore di Shawn per Prince. Lui stesso la vedeva come una Purple rain con un accordo diverso. “Abbiamo trovato il groove. Divertiti. Assicurati che le cinture di sicurezza siano allacciate” avverte invece nell’introduzione di 20th century, un brano funky che trova la sua forza in un loop ritmico sostenuto. Anche in questo caso la forza è tutta nella minimalità, Stone voleva sperimentare una canzone giocata sulla ripetitività del suono. Nadine nasce sotto un’etichetta funky, ma si distingue per il vocale di Shawn che accompagna e colora la sostenuta linea di basso di Jeremy Toback. Credo sia piuttosto difficile ascoltare questi brani senza muovere un muscolo, perché emanano un’energia incredibile.
Un discorso a parte è quello di Screen, uno dei brani a firma di Shawn che introduce il ruolo che più avanti incarnerà a tutto tondo. Quella voce soul che accompagna il suo pianoforte diventerà quasi il suo marchio di fabbrica. C’è una tensione che cresce per tutta la canzone ed esplode nel piccolo ma intenso assolo di chitarra finale di Gossard.

Rockstar è una vera e propria satira amara e caustica. Questi ragazzi avevano perso il loro amico Andy Wood. Regan e Shawn faticavano ad emergere e Stone iniziava ad avvertire la pressione del successo. “Sono una rockstar che cammina sulle acque. Corro per il confine. Giuro che non è niente. Sto srotolando il mondo e ti giuro che sono triste. Non mi preoccupo di niente. Dormo solo raramente”.
È un concentrato di aggressività passiva, di rabbia inespressa e di avvilente mortificazione. Il brano confluisce con naturalezza in quello successivo We, in cui la speranza sembra recuperata.
“Se mai senti il bisogno di nasconderti, trova la risposta onesta dentro di te. Puoi dirla a chiunque trovi: rialzati, risorgi”.

L’album non ebbe un grande successo commerciale, ma negli anni è diventato un cult e la rivista Mojo lo ha inserito nei dischi della storia del pop dagli anni 50 in poi, all’interno della pubblicazione MOJO Collection del 2007. Il bello della Seattle degli anni novanta era che potevi far parte di una band, incontrare amici ed entrare in un’altra band contemporaneamente. Shawn Smith faceva parte anche dei Pigeonhed e facendo un salto indietro nel 1993 aveva pubblicato un album omonimo in cui la fa padrona la musica elettronica che si fonde con il suo amore per le armonie funky. L’esperienza si ripete nel 1997 con l’album The Full Sentence in cui è contenuto il brano Battle Flag utilizzato in alcuni episodi della serie ‘I Soprano’ e della serie ‘E.R. Medici in Prima Linea’. È un rap montato su un loop funky che si mescola a chitarre rock in un sound dal sapore dell’east coast.

Fu invece l’album dei Brad ad aprire le porte del mondo discografico ai Satchel che nel 1994 pubblicarono il loro primo album, Edc. Una delle canzoni più belle è sicuramente Suffering. “Ascolta un angelo cantare. Ascolta la gioia sotto le nuvole. Vorrei solo gridare ad alta voce perché soffro così, perché voglio andarmene. E non mostrarmi cieli migliori. Finché non impari il significato di fiducia, finché non impari il senso della vita, finché non impari a vivere di notte e di giorno non starai mai bene”. Shawn aveva l’aspetto duro, ma il cuore tenero. Nelle sue parole vibra l’infinità bontà del suo essere, la sua capacità di credere che ci sia sempre qualcosa di buono a cui affidarsi nonostante il male che ci sfida, la speranza di non arrendersi alle proprie debolezze. Nemmeno questo album ebbe successo e spinse la band a pubblicarne un secondo, The Family. Questa volta la produzione venne affidata proprio a Stone Gossard. 

In qualche maniera questo disco rappresenta ciò che sarebbero diventati più avanti i Brad ed è un piccolo gioiello che avrebbe davvero meritato maggiore riconoscimento popolare. Il mix di rock e funky si colora di soul e assume quella caratteristica unica che hanno le canzoni di Shawn Smith.
C’è tristezza, ci sono lacrime e resta sempre la gioia di vivere, come una voce che ti ricorda che alla fine ne vale sempre e comunque la pena. “Quanti spari ci vogliono per buttarti giù? Perché ti senti insoddisfatto fino a quando il sole finalmente tramonta nel tuo cuore. E sembra che tu sia troppo giovane per morire. Non è vero?” canta malinconico e zuccheroso in Isn’t that right. C’è qualcosa di commovente in questa canzone che stringe il cuore, un senso di nostalgia a cui è difficile resistere.
La dolce, avviluppante e melensa sostanza di cui è fatta la malinconia e di cui Shawn Smith sembra essere maestro nell’esprimere. Eppure lo rende un sentimento semplice e naturale, che possiamo accogliere senza restarne devastati.

Time “O” the Year è probabilmente l’apoteosi di questo concetto in cui tutti siamo solo natura e abbiamo il nostro compito è quello di lasciarci trascinare da una corrente che ci riporterà da dove siamo venuti. “Ti dico un’altra cosa che non vuoi sentire, mia caro. Con pazienza e amore a cosa penso. Sono sicuro che lo troverai. È tutto nella tua mente. È tutto nel tuo cuore. E questo è solo un inizio questa sera. E andrà tutto bene”. Il brano apre con il cinguettio degli uccelli e sembra quasi di vedere Shawn cantare in una radura verde in perfetta armonia con l’universo, che decanta il suo amore per la vita.

Anche questo album ebbe un successo a dir poco striminzito, ma erano gli anni in cui la fumata rock del grunge iniziava a spegnersi con gli ultimi urli dei Soundgarden, gli esordi dei Foo Fighters e l’incalzare dell’hip hop. Che c’entrava un uomo che tirava fuori il suo animo gentile con sonorità soul-funky degli anni ottanta? A posteriori potremmo quasi dire che Shawn sia nato nel periodo sbagliato e personalmente l’ho sempre pensato. Nonostante ciò la sua carriera andò avanti e nel 1997 pubblicò con i Brad quello che probabilmente è il loro lavoro migliore, Interiors. Questa volta fecero le cose sul serio, ma ciò significò anche subire le pressioni di un’etichetta discografica e si perse quel senso di libertà di cui trasudava il primo lavoro. L’album contiene la più bella canzone dei Brad in assoluto, The day brings. È un inno alla vita, una concentrato di coraggio e resilienza a cui poter ricorrere nelle giornate più nere. C’è qualcosa di spirituale sia nella musica che nei versi che la rende quasi eterea nella sua semplicità. “Perciò raccogliti. E vedi cosa porta la giornata. E vedi cosa ti fa ridere. E vedi cosa ti fa cantare. E non importa di cosa dice la gente. Tu non andrai mai via”. L’assolo piccolo ma prezioso è suonato da Mike McCready dei Pearl Jam. È un album più pensato e nella mente dei critici eccessivamente regolare e privo di quella spigolosità più tipica del rock. È una voce in controtendenza per quegli anni e sicuramente anche per quelli a venire, perché sebbene tocchi le corde della sofferenza in brani come Upon my shoulder, resta un prodotto troppo solare e pieno di energia positiva per un mondo che luccica di apparenza.

Nel 1999 Shawn dà vita al suo primo album solista Let it all Begin. Non si perde d’animo e continua a percorrere la sua strada con melodie colorate di soul e funky. La copertina illustra la luce che si infiltra dalle foglie di un albero e My very best ripropone ancora una volta i suoni della natura nella sua intro che si mescola al ritmo solenne della drum machine. Shawn è davvero come un raggio di sole in una giornata di pioggia. C’è spazio per la malinconia angosciante di Our Songs, così come per la dolce promessa di un sogno come in Land Of Gold.

Nel 2002 ritorna con i Brad per un nuovo album Welcome to Discovery Park che vede la maggiore partecipazione compositiva di tutti i componenti della band. Conserva a distanza di anni qualche brano interessante come Brother and Sister, ma pecca di una mancanza di coerenza e rispetto ai lavori precedenti ha sicuramente un impatto emotivo minore. La ballata Takin’ it Easy ha assonze più folk, richiama ad atmosfere bucoliche ed è un esperimento che suscita maggiore interesse. Yes, you are è quello che chiunque di noi vorrebbe sentirsi dire da un amico quando va tutto male. “Quindi fammi sapere ogni volta che sarà il momento, se hai bisogno di assistenza. Perché sai che darò sempre una mano. E molti possono ricominciare perché, ti dirò, chi lo sa… chissà come va la storia ora che questa vita finirà. Quando i fiori stanno sbocciando e tutti i tuoi amici se ne sono andati, non potrebbe esserci una fine più appropriata”. Era l’epoca della dance di Shakira e Beyonce, della musica usa e getta e tanta profondità emotiva era destinata a perdersi ancora una volta nel nulla. 

Nel 2003 Shawn pubblica da solista Shield of Throne. Musicalmente si spinge verso il rock seppur sempre con la forza della sua voce soul e con atmosfere intrise di funky, come è chiaramente percepibile nell’omonimo brano. Wrapped in My Memory ci ripropone però quello schema piano e voce che lo contraddistingue come autore e performer capace di regalare atmosfera e sogno.
Nel 2005 i Satchel confluiscono definitivamente nei Brad e pubblicano una raccolta di brani di entrambi i gruppi, Brad VS Satchel. Looking Forward è una ballata dolce e melodiosa, eppure mai scontata, che ognuno di noi vorrebbe ascoltare a fine giornata per ritrovare un momento di pace. Summertime Song è una sferzata di allegria che in quel ritornello “slippin away” fa scivolare via qualunque malumore. Eppure una delle canzoni più intense ed emozionanti è I must confess, in cui Shawn mostra il suo lato più buio e riesce a toccare con incredibile audacia sentimenti come il rimpianto e la colpa. Emerge netta la complessità del suo animo buono ma tormentato.

Nel 2010 i Brad pubblicano un album a cui in realtà avevano lavorato negli anni precedenti e che non avevano completato per gli impegni che Gossard aveva con i Pearl Jam, Best Friends?. C’è davvero un punto interrogativo in quel titolo a sigillare la peculiarità dei loro rapporti umani. In fondo si erano da sempre trovati a suonare insieme più per amicizia che per altro e nelle poche ma preziose esibizioni live era evidente la gioia che provavano a stare insieme. L’album è davvero intenso e raccoglie canzoni meravigliose come Without Regret, che ha il sapore del perdono. La chitarra apre con un assolo in sordina che illumina gradualmente fino ad aprire alla voce morbida di Shawn. “Quando ti ho visto nella stanza, potrei dire che c’erano delle linee che danzavano intorno a te. Sarebbe troppo da dire che ti ho visto allontanarti senza rimpianti. Perché l’oceano nel mio futuro se ne andrà”

L’incredibile ed eclettica Rush è una delle colonne portanti dell’album. Melodica e al tempo stesso sgangherata, mantiene una tensione di fondo dall’inizio alla fine sia in quelle tre note di loop alla tastiera, che nel cantato di Shawn che allunga i vocalizzi fino allo sfinimento. Per esitare nell’assolo di chitarra di Stone che regala finalmente una boccata di ossigeno e quel solito messaggio di cambiamento che tutte le loro canzoni conservano. “Portami in un altro mondo, lo so che ci sarai anche tu… lo so che andrà tutto bene”.

Nel 2012 esce United We Stand, l’ultimo album dei Brad. Si ha l’impressione chiara ed evidente che quella che doveva essere solo un’esperienza di passaggio, un dopo-lavoro ricreativo, ha finito per dare vita ad una vera band con caratteristiche precise ed individuali. “Quando ero un bambino tutto quello che volevo era un microfono e gridare sul palcoscenico ciò che volevo dire. Ebbene sono cresciuto fino a diventare un uomo. Sembrano vecchie queste cose, non cambiano mai. Voglio ancora ballare e cantare in giro. Un grido al mondo intero. Quanto pagheresti per far andare via il dolore?” canta Shawn nella ballata Make the Pain Go Away. È un uomo di mezz’età che fa i conti con la propria vita e che non sembra avere l’intenzione di arrendersi. Last Bastion ritrova il senso più genuino del rock e uno dei più pesanti riff di Stone si somma alla morbida vocalità soul di Shawn in un mix assolutamente unico. Il tour promozionale portò i Brad finalmente anche in Europa e in Italia per due concerti a Firenze e Milano considerati dai cultori della materia a tutt’oggi storici e preziosi.

Agli inizi del 2019, ancor prima che scoppiasse il dramma mondiale della pandemia da Covid 19, i Brad avevano deciso di tornare insieme per un nuovo album. Il 5 aprile, una data maledetta per tutta Seattle perché già associata alla morte di Kurt Cobain e Layne Staley, Shawn Smith viene trovato morto nella sua casa. Le cause della morte sono legate alla rottura dell’aorta. Giravano voci, non confermate, che avesse avuto forti problemi economici nell’ultimo periodo della sua vita, ma nessuno avrebbe potuto pensare che se ne andasse così all’improvviso. Lascia un vuoto incolmabile in chi gli ha voluto bene e negli anni si è sostenuto nelle fatiche di questa vita aggrappandosi alla sua voce e a quel messaggio perpetuo di bene supremo.

“La musica è sempre stata un’esperienza religiosa per lui. Era sempre in un momento di grazia, cantava quasi sempre da un luogo di santità. Mentre cantava, si rendeva conto di qualcosa sulla natura dell’universo che lo rendeva sempre in grado di avere un po’ di speranza ed era in grado di di diffondere amore e questo è tangibile. È qualcosa di incredibilmente potente” ricordava nel 2021 Stone Gossard “Vorrei aver avuto la possibilità di fare un altro disco con lui. Ne parlavamo così tanto proprio prima che morisse ‘Faremo questo disco!’ Era così emozionato per questo. Shawn è morto nel sonno, è morto per un attacco di cuore. E non credo che volesse andarsene, voleva fare dischi. Ne stavamo parlando. Penso sempre a lui, è presente per me.”

Nell’ottobre del 2022 è uscito postumo un suo brano inedito The Happiness I Need e nel 2023 è prevista la pubblicazione di quell’album incompiuto dei Brad. È l’ennesima operazione non commerciale, è un regalo a tutti noi che gli abbiamo sempre voluto bene. Perché la sua voce non morirà e resterà a riscaldarci il cuore nelle brutte giornate e regalarci la speranza e la forza di continuare il nostro viaggio. 

ascolti

  • Brad – Shame (1993)
  • Satchel – The Family (1996)
  • Brad – Interirors (1997)
  • Pigeonhed – The Full Sentence (1997)
  • Shawn Smith – Shield of Thorns (2003)
  • Brad – Best Friends? (2010)
  • Brad – United We Stand (2012)

parole

  • Greg Prato – Grunge is dead. Storia orale del grunge (ed. Odoya, 2021)

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