Clarence Clemons, “Big Man” per il suo boss e per noi tutti, con il suo sax “parlante” è un elemento fondamentale del suono di Bruce Springsteen. Con lui fin dagli inizi, piuttosto tormentati, gli è stato fedele fino alla morte nel 2011, malgrado gli andirivieni del leader tra la E Street Band e il suo desiderio di affrancarsi da compagni di viaggio, a volte scomodi, ma sempre amici.
Certe cose sono indissolubili. Non si potrebbe pensare a brani come Born to Run con la sua epica della strada, la voglia di correre e di scappare da una cittadina soffocante, la West Side Story urbana di Jungleland o le malinconie tinte di gospel di New York City Serenade senza il sassofono dorato del Grande Uomo Nero, generoso e potente, bluesy e swingante.
“Perdere lui è stato come perdere la pioggia” ha dichiarato Bruce dopo la sua scomparsa, il 18 giugno 2011, ed è una cosa bellissima da dire. Il nipote Jake lo rimpiazza come può nell’attuale E-Street, è bravo e ci mette l’anima. Ma non è, non può essere la stessa cosa.
“Non è un uccello, non è un aereo” lo presentava Springsteen in concerto, parafrasando lo slogan che lanciava i fumetti di Superman. “E’ un grande uomo, è un big man”. E il gigante scrollava la testa e rideva, lo abbiamo visto tutti, imboccando il sax e spandendo note nell’aria, fragorose come risate, amare come lacrime. Il sax di Clemons sa di sudore, funky e anche rimpianto, per quello che poteva essere e non è stato. E’ il blues che abbiamo tutti da piangere, come diceva qualcuno.
Clarence Clemons è nato a Norfolk, Virginia, l’11 gennaio 1942. Figlio di Clarence senior., proprietario di pescheria, era il più grande di tre fratelli. Il nonno era pastore battista e così il piccolo Clemons crebbe con la musica gospel nel sangue. Poi il padre gli comprò un sax alto quando aveva appena nove anni e anche qualche lezione di musica. Ma ben presto il ragazzo si diede al baritono, iniziando a suonare nella jazz band della scuola. Fu lo zio ad influenzare profondamente la sua scelta musicale quando gli regalò un disco di King Curtis, sassofonista con i Coasters, che lo convinse a passare al tenore.
Era considerato anche un talento nel football americano, ma un incidente di auto lo costrinse ad abbandonare lo sport. Poteva quindi dedicarsi interamente alla musica e a diciotto anni entrò in uno studio di registrazione con Tyrone Ashley’s Funky Music Machine, una band di Plainfield (New Jersey) nella quale suonavano Ray Davis, Eddy Hazel e Billy Bass Nelson, futuri Parliament-Funkadelic con George Clinton.
Clemons formò la sua prima band tra il 1961 e il 1965 al Maryland State College. Si chiamavano Vibratones e facevano cover di James Brown. Quindi nel 1962 si trasferì nel New Jersey, a Newark, dove fu assunto come educatore in un centro per ragazzi disadattati e qui rimase fino al 1970. E’ diventata quasi una leggenda la storia del suo primo incontro ad Asbury Park con Springsteen, citata in brani come E Street Shuffle e Tenth Avenue Freeze Out. Nel settembre del 1971 Clarence suonava con The Joyful Noyze, la band del pianista Norman Seldin insieme al quale aveva inciso un album due anni prima. Fu Karen Cassidy, cantante del gruppo, a spingerlo a presentarsi al Boss.
Lo raccontava spassosamente lo stesso Clemons. “Bruce sul palco fornisce versioni differenti di questa storia. Ma ricorda, io sono un battista, quindi questa è la verità. Era una notte di pioggia e vento e quando aprii la porta dello Student Prince, questa volò via con i cardini e tutto e finì spazzata via in fondo alla strada. La band di Bruce era sul palco e mi fissavano, inquadrato dal vano della porta. Questo dovette impressionarlo un pochino perché quando dissi “Ehi, voglio suonare con la tua band!” lui rispose “Certo, perché tu puoi fare tutto quello che ti pare”. La canzone che attaccammo fu una prima versione di Spirits in The Night. Bruce ed io ci guardammo l’un l’altro e non dicemmo nulla, lo sapevamo. Sapevamo che eravamo il collegamento mancante delle nostre vite. Lui era quello che cercavo. Alla fine, lui era solo un ragazzo ossuto. Ma era un visionario. Voleva seguire il suo sogno. Da quel momento feci parte della band.» E ci sarebbe rimasto, praticamente per quarant’anni, salvo qualche interruzione, fino alla morte.
Nel 1972, Springsteen mentre registrava l’album di debutto, nelle pause di studio suonava con Clemons e The Joyful Noize. Quando gli venne in mente di inserire un sax nei brani Blinded by The Light e la fatidica Spirits in the Night pensò subito a Clarence. In ottobre, partì per il tour promozionale con una band formata da Clemons, Garry Tallent, Danny Federici e Vini “Mad Dog” Lopez. Il 21 ottobre Clarence suonò per l’ultima volta con i Joyful Noyze e quattro giorni dopo debuttava nella E Street Band con una performance memorabile allo Shipbottom Lounge.
Fino al 1980 suonò in tutti gli album storici di Springsteen, da Greetings a The River. In Born To Run ci sono assoli indimenticabili su Thunder Road, la title-track e Jungleland, mentre in Darkness on The Edge of Town impreziosisce Badlands con il suo sax urlante. Tornato con Born in the Usa suona gli assoli di Bobby Jean e I’m Going Down. Springsteen, quando riprese a suonare con la E-Street dopo la pausa degli anni Novanta, dedicò a lui e ai compagni ritrovati Blood Brothers. E quando il brano si apre, dopo un’intro acustica, è proprio un ritorno a casa, un homecoming punteggiato dal suo sax in sottofondo.
La sua presenza massiccia e spettacolare è stata uno degli ingredienti del successo di Springsteen dal vivo, trasformando rapidamente una band di provincia in un act di livello mondiale in grado di riempire gli stadi. Una miscela di musica ed amicizia, vita da strada e da palco li ha legati per decenni e on stage Bruce lo presentava come “il più grande uomo che abbia mai visto”, adattando la nazionalità di volta in volta al paese visitato. A Glasgow il virginiano divenne “il più grande scozzese mai visto”.
Nel 1983 Clarence pubblicò con i Red Bank Rockers un solo album pregevole, una mistura di r&b, funk e soul sparato a mille, ballato anche in discoteca, con il cantante J.T. Bowen, ospite anche Gary U.S. Bonds. Ma ovviamente le sue cose migliori le ha fatte collaborando con Springsteen in studio e sul palco, finché la malattia glielo ha permesso.
Il vuoto che lascia nella band è incolmabile, malgrado la buona volontà e l’applicazione del nipote Jake. Nei concerti italiani del 2013 il suo volto e quello di Danny Federici sono apparsi in video alle spalle della band, suscitando momenti di grande emozione e commozione. Per noi che abbiamo avuto la fortuna di vederlo dal vivo in ben tre occasioni (San Siro 1985, Torino 1988 e Milano 1999), ricordi bellissimi che rimarranno per sempre nella memoria.
ascolti
- Bruce Springsteen – The Wild, The Innocent & The E Street Shuffle (1974)
- Bruce Springsteen – Born To Run (1975)
- Bruce Springsteen – The River (1980)
- Bruce Springsteen – Tunnel of Love (1988)
- Clarence Clemons & The Red Bank Rockers – Rescue (1983)
visioni
- No Nukes, di Anthony Potenza (1980)
- Bruce Springsteen, Live in Barcelona (2003)
- The Promise, di Thom Zimmy (2010)
parole
- Clarence Clemons, Don Reo – Big Man, storie vere e racconti incredibili (2010)