SF Jazz Collective a Bologna: Jobim reinventato con anima

Concerto di rara bellezza, quello offerto dal San Francisco Jazz Collective per Bologna Jazz Festival. All’Unipol Auditorium, martedì 6 novembre, gli otto californiani entusiasmano il pubblico con il loro omaggio ad Antonio Carlos Jobim, re della musica brasiliana rivisitato in chiave nordamericana e, diremmo, europea. Con grande sensibilità, l’ottetto ripercorre classici come “Insensatez” (è già dall’inizio si capisce la caratura del gruppo), “A felicidade” o “Garota de Ipanema”, facendoli propri, reinventandoli con il massimo rispetto per la creatività di questo compositore straordinario.

“Corcovado” ad esempio, viene ristrutturata con un ostinato di tre note del pianoforte di Edward Simon su cui il contrabbassista Matt Brewer passeggia felpato mentre piatti e tamburi di Obed Calvaire disegnano un tappeto suggestivo. E quando entrano i quattro fiati ( Miguel Zenon sax alto, David Sanchez sax tenore, Ethienne Charles tromba, Robin Eubanks trombone) a liberare la loro potenza, la musica si spinge in avanti, quasi ad abbracciare lo spettatore. Il Collective propone anche composizioni proprie (“Infinito”, “Insights”), mandando al proscenio ogni volta la squisita raffinatezza di ogni componente ma mantenendo, appunto, lo spirito del Collettivo che lo richiama in un contesto di gruppo, sottolineandone al rientro la preziosità singola. Così, sono fughe quasi bachiane, suggestioni africane, scansioni ritmiche, pulsioni swing, vibrazioni di samba e bossanova ad intrecciarsi in un concerto che cattura subito per varietà e fascino. Ognuno dei componenti ha il suo preciso incastro in un quadro generale di grande musica, spesso Sanchez e Charles abbandonano rispettivamente sax e tromba per dedicarsi alle congas.

Il lavorio ritmico di Brewer e Calvaire è ininterrotto e fornisce il tappeto sonoro su cui si elevano le personalità musicali dei singoli. Un tributo sincero, esaltante, alla magia assoluta della musica brasiliana che fa da pendant al concerto della sera precedente con Toninho Orta, lì più in chiave intimista, qui con tutta l’ energia sprigionata da una big band al massimo della sua espressività, alternata ad episodi più rilassati che suscitano emozioni forti. E’musica strutturata, ma che colpisce l’ascoltatore nel profondo con i tocchi delicati di pianoforte di Simon, i borbottii del trombone di Eubanks, i sussurri della tromba di Charles, i lamenti dei sax di Zenon e Sanchez, il vibrafono parlante di Warren Wolf. Jazz caldo, caldissimo, in fuga da ogni sperimentalismo e che comunque non cade nel risaputo, vedi la “Garota”, standard ascoltato milioni di volte che qui assume una dimensione particolare, a tratti astrale, solleticando anche il palato più fine.
Applausi scroscianti ad ogni brano e una richiesta pressante di bis accontentata da un breve e denso commiato finale. E’un festival di emozioni, questo Bologna Jazz 2018.

Paolo Redaelli

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