Enrico Intra non solo è un pianista jazz di primo piano, conosciuto in Italia e nel mondo. E’anche un pezzo di storia della musica italiana. Sessant’anni fa ha fondato insieme a Gianni e Angela Bongiovanni (zii materni di Diego Abatantuono) il Derby Club a Milano, cabaret in cui hanno mosso i primi passi artisti come Enzo Jannacci, Cochi e Renato, Giorgio Gaber, Bruno Lauzi, Fabio Concato. Ha composto musica per Gerry Mulligan, Chet Baker e Giuni Russo (No amore, 1968) quando si chiamava ancora Giusy Romeo.
E’ stato direttore d’orchestra al Festival di Sanremo negli anni Sessanta e Settanta, ha avuto anche la direzione musicale di Domenica In nel ‘77-78. Oggi è docente dei Civici Corsi di Jazz, fondati insieme a Franco Cerri e bandleader alla Civica Orchestra Jazz di Milano con cui nel 2008 ha omaggiato Duke Ellington. Nato il 3 luglio 1935 a Milano, ideatore di un approccio nuovo e in chiave strettamente europea al jazz moderno, ultimamente si è dedicato alla rivisitazione di canti gregoriani e spirituals.
Personaggio musicale, quindi, a tutto tondo, Enrico Intra. Ha accettato di buon grado di fare due parole con Musiclike su vecchi e nuovi compagni di avventure musicali e sullo stato di salute del jazz italiano.
Sta suonando con Enrico Rava, in questo periodo. Un duo praticamente inedito.
Io e l’altro Enrico del jazz abbiamo spesso collaborato in passato su altri progetti di musicisti, questa è la prima volta in duo. In concerto proponiamo musica che vive al momento, dando molto spazio all’improvvisazione, su una nota o un tema. Giochiamo a rincorrerci l’un l’altro, cercando di prenderci. Stiamo uno di fronte all’altro, con i nostri pensieri liberi.
Ha fatto coppia fissa per più di quarant’anni con Franco Cerri, purtroppo scomparso lo scorso ottobre.
Con Franco abbiamo fondato i Civici Corsi di Jazz a Milano, oggi riconosciuti dal Ministero e parificati al Conservatorio, è stata una grande soddisfazione. Era un musicista di stile enorme, un talento straordinario, è stato maestro di se stesso. Ha saputo usare bene il dono che a volte ci viene dato. Eravamo proprio come una vecchia coppia, con qualche veniale bisticcio dovuto alle scelte musicali, lui più classico, io più contemporaneo. Abbiamo fatto il doppio trio e ci chiedevano come mettessimo d’accordo due strumenti armonici come i nostri. E noi ci divertivamo a rispondere: “quando suona uno, l’altro sta zitto”. Mi manca, ma purtroppo così è la vita.
Oggi lei suona con un altro chitarrista, Alex Stangoni che di Cerri è stato allievo.
Alex ha iniziato con la chitarra, oggi produce suoni elettronici dal vivo, insieme inventiamo musica in composizione istantanea. E’un percorso interessante il suo, da studente è diventato docente della Civica Jazz e poi compositore. Sono stato alla finestra a vedere l’evoluzione di questi ragazzi, provando grande soddisfazione e piacere. Alex è una persona particolare con una sua personalità precisa, quindi uomo da stimare e da seguire. Si costruisce le chitarre, fa questa ricerca sul blues rurale con i suoi Mudpie, è sempre attento e in movimento.
Vede qualcuno di interessante nel panorama attuale del jazz?
Voglio segnalare tutti i giovani che si dedicano al jazz che considero la vera musica contemporanea anche perché nasce al momento, è l’unico genere che assimila e assorbe gli altri, un linguaggio onnivoro che vive delle contraddizioni del tempo. Ma se devo fare un nome, direi proprio Alex che non si occupa solo di uno strumento, ma ha una visione totale della musica e può dare qualcosa in più a questo linguaggio. E poi Luca Missiti, anche lui uscito dalla Civica, prima chitarrista e trombonista, oggi direttore d’orchestra e mio validissimo collaboratore.
Ha qualche consiglio da dare ad un giovane musicista?
Ascoltare, ascoltare, ascoltare musica, nei luoghi deputati, teatri, sale da concerti. I dischi possibilmente in camera propria, senza rumori di fondo. E anche vederli i concerti, osservare il musicista e cercare di capire il rapporto che ha con il suo strumento.
Poi, buttare via tutto e costruirsi una propria personalità”.