Ora che è nell’ Olimpo dei grandi, insieme a John Bonham, Keith Moon e Ginger Baker, ci piace immaginarlo come è stato. Dal 1963 Charlie Watts sedeva imperturbabile dietro la batteria dei Rolling Stones, dove è rimasto sino al 2021. Gli anni passavano, ma lui era sempre là, fra piatti e tamburi, con quell’aria da compassato gentleman in mezzo agli scapestrati del gruppo. Era anche il più anziano, essendo nato Charles Robert a Londra il 2 giugno 1941, logico che guardasse con una certa condiscendenza i compagni di band.
Un tipo tranquillo, posato, bastava non farlo incazzare. Leggendaria la volta in cui Mick Jagger lo definì “il mio batterista” e lui, appena lo seppe, attraversò mezza città per presentarsi davanti lui, tirargli un pugno sul naso e dirgli, a brutto muso: “Io non sono il tuo cazzo di batterista, caso mai sei tu il mio cantante”.
In quasi sessant’anni di carriera, non si conoscono altre intemperanze. Watts ne ha vista passare di acqua sotto i ponti, dalla tragica morte di Brian Jones, all’avvicendarsi di Mick Taylor e Ron Wood, all’uscita di Bill Wyman (lo “Stone Alone” di una delle più coese sezioni ritmiche dalla storia, da tempo allontanatosi dal gruppo), gli arresti per droga (degli altri), le numerose mogli e figli di Jagger. Ma era sempre lì, lasciando ad altri i loro ruoli: a Mick le mossette e gli atteggiamenti, agli altri due l’aria da junkies spacconi. Watts era il metronomo degli Stones, ne ha segnato il tempo e la storia, in mezzo a litigi e rappacificazioni, estenuanti tournées mondiali ed eccessi di ogni tipo. Da cui lui si è tenuto sempre accuratamente lontano. Era sposato dal 1964 con la stessa donna, la pittrice e scultrice Shirley Ann Shepherd, caso raro nel rock. Ha sconfitto una dipendenza da eroina (strano ma vero) negli anni Ottanta e un cancro alla gola nel 2004. Il che non gli ha impedito di morire il 24 agosto del 2021.
Watts viene dal jazz, dove ha imparato il senso del ritmo e la misura. Fin da giovanissimo apprezzava John Coltrane e Miles Davis, il drummer Chico Hamilton. E’un batterista minimale, poco appariscente, quasi invisibile a tratti, ma ben presente nel suono, come riconosce lo stesso Jagger: “E’il miglior drummer con cui ho suonato in vita mia”.
Ha iniziato con quell’università musicale che è stata la Blues Incorporated di Alexis Korner, partendo quasi da zero: “Non sapevo niente di rythm and blues. Per me il blues era Charlie Parker quando suonava lento” . Ma quando si unisce agli altri nel 1963, impara in fretta ad apprezzare Elvis, appassionandosi al suo batterista DJ Fontana, come pure Chuck Berry e Bo Diddley.
Se Ron Wood sembra essere da sempre negli Stones, Charlie lo è veramente. La band ha esordito su 33 giri solo nel 1964 (anche se uno dei primi singoli I Wanna Be Your Man, prestato dai Beatles, è targato 1962) quindi si può dire che sia con Jagger&Richards il membro originale dall’inizio, anche se il primo batterista fu Mick Avory.
E’ sempre rimasto fedele al gruppo madre, il che non gli ha impedito di incidere dischi solisti improntati al jazz, sua autentica passione. Manteneva così il suo tocco felpato, swingante, “che lo rende unico in un ambiente di picchiatori” (ancora Jagger), anche se quando si andava in tournée e c’era da pestare duro, non si tira indietro.
Da quasi sessant’anni, lui era sempre là. Con la sua precisione di drummer, il sorriso sornione, l’aspetto educato, sembrava molto più anziano degli altri della combriccola. Era il cuore pulsante di una band che sembra non avere fine, c’era nella Swinging London e c’era quando i Beatles erano solo un ricordo lontano. Ha visto passare il prog, il punk, la new wave, il reggae, l’hip hop, il grunge, il brit pop, una sfilata impressionante di nuovi generi, ma era sempre lì, seduto dietro quel set di batteria molto più modesto rispetto a molti colleghi di rock.
Charlie è stato una parte fondamentale degli Stones, difficile pensare alla band senza di lui. Senza il suo apporto ritmico costante, la sua energia contenuta che ha spinto avanti il gruppo dagli anni Sessanta ad oggi, sempre al vertice. Non ha mai scritto un’autobiografia, ne avrebbe avuto di cose da raccontare.
ascolti
- Rolling Stones – Beggars Banquet (1968)
- Rolling Stones – Let it Bleed (1969)
- Rolling Stones – Sticky Fingers (1971)
- Charlie Watts Quintet – From One Charlie (1991)
- Charlie Watts Jim Keltner Project (2000)
visioni
- Charlie is my Darling, di Peter Whitehead (1966)
- Crossfire Hurricane, di Brett Morgen (2012)
parole
- Mike Edison – Sympathy for the Drummer (2020)