Massive Attack a Milano, precisamente Parco della Musica a Segrate per la rassegna Unaltrofestival, è un mix di sensazioni musicali psycholettroniche che ti si attorcigliano addosso. Mentre sul maxischermo, dopo la pregevole esibizione solitaria di Dadà, sfilano “lanci” gossip di agenzia, in italiano, specchio dei tempi balordi in cui viviamo, la musica sale lentamente e così la tensione sonora.
Il premiato duo Robert “3D”Del Naja e Grant “Daddy G” Marshall dagli anni Novanta rappresenta un collettivo musicale fluido, su cui si innestano voci di cantanti ospiti, influenza riconosciuta dei nostrani Almamegretta e Casino Royale. Mentre eseguono In My Mind (cover di Gigi d’Agostino), provocando la prima marea di teste ondeggianti al ritmo ipnotico, se la prendono con gli esperimenti neurolink di Elon Musk. Sarà un concerto tutto improntato alla consapevolezza di quanto ci accade intorno, ma anche alla nostra inerzia nell’accettarlo. Risingson è metallica e dura, Girl I Love You ha un ritmo ipnotico che ti porta via. Poi arriva la soavissima voce di Elizabeth Fraser che sembra la nonnina di Cappuccetto Rosso ma ha conservato l’ugola eterea dei suoi vent’anni, aggiungendo fascino al battito vitale dei Massive.

E qui il suono stratificato drum (due batterie) and bass produce effetti di puro derangement, quello sconvolgimento programmatico dei sensi che teorizzavano Arthur Rimbaud e Jim Morrison per raggiungere la verità. Il trip hop addizionato di chitarre sfrigolanti dei Massive ti porta invece alla consapevolezza di ciò che hai intorno, ti instilla il sano dubbio che tutto quello che vedi e senti sia reale. Sciamani elettronici alla guida di una musica onnivora e assolutamente contemporanea che pulsa al ritmo del secolo, lenta o accelerata, in un fluire di emozioni. Il loro “attacco massiccio” è contro tutti: Musk, Trump, Putin, il folle Nethaniahu, ma anche Bill Gates e Re Carlo che ad Israele vende armi.
Musica estremamente politicizzata, si sarebbe detto una volta. Cosciente, potremmo dire adesso. Proprio mentre i suoni invitano all’incoscienza, alla liberazione, al lasciarsi andare come nel rap di Take it There o nella sussurrata e inquietante Future Proof . Poi arriva una stupenda cover di Song for the Siren di Tim Buckley, anno 1970 e sempre cantata dalla Fraser a riportarci indietro nel tempo prima dell’ industrial narrativo di Inertia Creeps. Poi c’è ROckwrok degli Ultravox, scheggia di punk new wave con un frenetico susseguirsi di immagini di danza a ricordarci che “Trump è in realtà un agente russo controllato da Putin che a sua volta è controllato da Xi JinPing”. Giro giro tondo, casca (speriamo di no) il mondo.

I Massive sono dichiaratamente pro Palestina e contro una guerra inutile che sarebbe ora finisse. In perfetto italiano Robert grida “Siamo tutti bambini di Gaza. Palestina Libera!” mentre una gigantesca bandiera biancorossoverdenera occupa tutto lo schermo gigante. Salva di applausi, mentre curiosamente un aereo (siamo a due passi da Linate) sorvola pacifico l’area concerto e sui monitor passano sequenze di bombardamento.
Poi arrivano i grandi classici: Angel, Safe from Harm e soprattutto il soul leggero di Unfinished Sympathy che è bello ascoltare in mezzo a questi muri sonici. C’è spazio per Levels, cover techno di Avicii e naturalmente per una Teardrop (forse uno dei brani più belli di tutti i tempi) meravigliosamente cantata da Elizabeth. Che poi duetta con Robert in Group Four prima che si liberi tutta la potenza strumentale del gruppo nella ripresa di In My Mind a chiudere il ciclo. La musica rallenta e si spegne all’improvviso. Niente bis, come è giusto così, in un set di grande intensità.
Il concerto è durato un’ora e mezza. Ce ne mettiamo un’altra per ritrovare l’auto in un parcheggio sterminato e privo di indicazioni, dopo essere stati fatti uscire da una parte diversa da quella dove eravamo entrati, con il park a poche decine di metri. Parco della Musica è uno spazio interessante per i live abbondanti alle porte di Milano, ma c’è qualcosa da rivedere nell’organizzazione delle infrastrutture.
