Mulatu Astatke incanta e ipnotizza il pubblico del Teatro Celebrazioni per Bologna Jazz Festival con un concerto all’insegna del ritmo incessante. Il padre dell’ethio-jazz innesta sulla tradizione del proprio paese sonorità moderne per una musica insieme ancestrale e contemporanea, con un ottetto di musicisti straordinari, un collettivo affiatato di precisione e inventiva formato da musicisti bianchi e africani uniti in fratellanza. L’anziano Astatke è una figura minuscola sul palco, che si muove con agilità e saggezza tra vibrafono, percussioni e tastiere, conducendo la danza e lasciando spesso spazio ai compagni di musica, dirigendo il tutto in modo discreto, quasi impercettibile, ma saldo. Il suono si fonda su un tappeto ritmico continuo, dettato dalla batteria di John Scott, dalle congas di Richard Olatunde Baker e dal contrabbasso di John Edwards sui cui poi si librano i soli del leader e i duetti fra la tromba di Byron Wallen e i sassofoni e i flauti di James Arben, le scorrerie pianistiche di Alexander Hawkins.

E’un suono basato quasi sempre sullo stesso giro armonico, che però le variazioni impresse dai singoli rendono continuamente diverso, come nel caso di Danny Keane, il violoncellista che con il suo strumento fa quello che vuole: lo suona come una chitarra imbracciandolo, ne trae arpeggi bassistici alla Jaco Pastorius, lo percuote ritmicamente e lo accarezza con l’archetto sempre più decisamente fino allo stridore, con la musica che sembra salire fino al cielo in uno dei momenti più alti del concerto.
Mulatu Astatke, che ha studiato al prestigioso Berklee College of Music e suonato anche con Duke Ellington, ha preso il suo “blues” (non dimentichiamo che questo tipo di musica, così come la civiltà europea, nasce da quelle parti) e lo ha trasformato, innervandolo con i suoni contemporanei del jazz e del be-bop, creando un tipo di musica capace di fare scuola e di affascinare generazioni. Sono parecchi i giovani in sala che hanno per lui una sorta di venerazione, le radici dell’afro beat stesso sono, del resto, nella musica di questo ottantenne eternamente giovane che esprime una creatività senza tempo. Non a caso la sua musica, oggetto di una recente riscoperta (ma i suoi primi album sono degli anni Sessanta) è stata usata nei campionamenti di gente come Damian Marley, Kanye West, Quantic e Madlib.

Il concerto non ha mai un momento di stanca. Continuamente le invenzioni dei singoli musicisti si innestano sulla base ritmica, i soli sono espressivi e non solo vetrina di capacità tecniche, così la musica arriva al cuore e gli applausi scrosciano frequentemente. Mulatu ringrazia più volte il pubblico e introduce i brani, ma non si riesce a capire molto del suo inglese, anche perché coperto dagli applausi. Poco importa, perché è la musica a parlare, con il suo linguaggio universale capace di attraversare continenti e generazioni, latitudini sonore e generi, affascinante e coinvolgente grazie anche all’ottima resa acustica del teatro.
Nel finale il percussionista Baker, che non ha mai smesso di macinare ritmo, sfodera una voce potente in un canto tribale che echeggia la tradizione su cui si fonda la musica eterogenea di Astatke, meritandosi ovazioni.
Successo pieno per questo secondo grande concerto di Bologna Jazz Festival, organizzato in collaborazione con Locomotiv Club e Coop Alleanza, in una sala cittadina riempita da un pubblico attento e concentrato. Come si conviene quando sul palco si ascolta grande musica.

fotoservizio di Francesca Sara Cauli