Molly Nilsson è un’artista svedese ben nota ai seguaci della scena minimal-synth. Ricordo che l’ho conosciuta ascoltando in primis “I Hope You Die” contenuta in una playlist casuale. Ho trovato interessanti la semplicità del brano e la fredda monotonia della voce di Molly, quindi ho approfondito la sua conoscenza ascoltando alcuni album come Follow The Light (2010), The Travels (2013), Zenith (2015), tutto molto godibile, tutto molto orecchiabile, un buon sottofondo ma da quella volta non l’ho più riascoltata, l’ho proprio messa nel dimenticatoio. Non mi ha conquistata. Nonostante questo ho deciso di darle un’altra possibilità, questa volta però ascoltandola dal vivo.
Ho approfittato del suo primo tour italiano in occasione dell’uscita del suo ottavo album Twenty-Twenty e decido di andare alla data di Bologna (12-10-18) presso il Covo Club- un locale che difficilmente mi delude per quanto riguarda la musica dal vivo proposta- per potermi fare un’idea più completa. Quella sera ero reduce da molte ore di viaggio e, tanto per cambiare anche da un bel ritardo di un’ora portato dal mio treno, quindi sono arrivata troppo tardi per avere l’occasione di ascoltare Cadori e Silki, i due artisti in apertura.
Ma ero lì per Molly, che per fortuna ha iniziato il suo show proprio mentre facevo il mio ingresso in sala. Stanca morta, speravo di recuperare un po’ di energie con il suo live e la sua presenza molto stilosa, quasi “lynchiana” per via del suo abitino aderente di velluto scuro e di quel simmentrico caschetto giallo, prometteva bene. Ci ha dato il benvenuto con “The Only Planet”, un brano molto 80’s e dal ritmo ballabile, ma noto che qualcosa non quadra, il mio entusiasmo si spegne quasi subito. La guardo bene: vedo che balla come un’automa, noto inoltre la sua assenza di espressività; l’ascolto meglio: ad accompagnare la sua voce (molto monotona, per l’aggiunta) ci sono solamente le basi delle canzoni registrate. La totale assenza di musicisti e strumenti sul palco dava la sensazione di essere a un karaoke party anni ’80. Ogni canzone era un sottofondo uniforme e continuo: “Memory Foam”, “Money Never Dreams”, “Inner Cities”, “Not Today Satan”, “Happyness”, “Mountain Time”, “1995”, per me sono state tutte indistinguibili.
Mi aspettavo di trovare un bel caffè, invece ho trovato un tazzone di camomilla e valeriana. Alla fine ho scelto di non seguire il concerto fino alla fine e di andare a prendere una birra nel bar del locale, riprogrammando il mio risveglio per il dj-set di fine serata (questo non mi delude mai).
In fin dei conti la cosa più bella che ho sentito al live di Molly è che da quest’anno la birra al Covo si può pagare anche col bancomat.
Chiara Picciano