Cecile McLorin Salvant, o delle grandi jazz singer della nuova generazione. La cantante franco-americana, classe 1989, ha spopolato al Teatro Duse nel primo grande concerto di questa edizione di Bologna Jazz Festival con un set ricco di tecnica ma soprattutto di anima, sfoderando estensione e controllo, melismi e sussurri senza mai eccedere nelle grida, come si conviene alle migliori vocalist. Una lezione importante di canto, una serata magnifica per chi ha riempito il teatro bolognese come un uovo per assistere ad un concerto che rimarrà memorabile. Preceduta da un breve video sull’indimenticabile chitarrista Jimmy Villotti a cui è dedicata questa edizione e dalla consegna dei premi Massimo Mutti a giovani musicisti, l’esibizione della Salvant ha conquistato per freschezza e misura: una voce di velluto e cuoio, espressiva, capace di timbriche diverse, dalla melodia pura allo scat, dal blues all’opera-cabaret.
Si inizia con lo swing intramontabile di Let’s face the Music and Dance (1936) di Irving Berlin, tanto per scaldare i motori, poi si decolla con Ever Since the One I Love’s Been Gone, splendido slow del pianista Buddy Johnson che mette subito in vetrina la sua voce-strumento, sottolineata dal pianoforte impressionista di Sullivan Fortner. La band, completata da Yakushi Nakamura al contrabbasso e Kyle Poole alla batteria, si dimostra un piccolo collettivo ben coeso: spesso Cecile si appoggia al piano o in disparte sulla zona d’ombra palco per lasciare i tre a liberi di inseguirsi nella musica. Arriva un quasi-recitato da musical con Some People di Ethel Merman e Stephen Sondheim da Gypsy e poi in Black Mountain Blues (già di Bessie Smith) si torna alle radici afroamericane con Fortner che pizzica le corde del pianoforte come fossero quelle della chitarra e un pregevole solo di Nakamura con l’archetto.

Basterebbero i primi quattro brani a rendere il concerto magnifico, mai poi ecco in rapida successione una Over the Rainbow restituita alla sua spoglia bellezza e spogliata della melodia un po’ risaputa che tutti conosciamo, una tenera e sognante Bird of Love, la mossa e dinamica Running Wild a riprendere il filo dello swing. Cecile svaria tra generi e sottogeneri con assoluta libertà, ringrazia ripetutamente il pubblico e si scusa per aver cenato abbondantemente (“ragù e carbonara”, confessa ridacchiando) prima del concerto, ma non si sente alcun appesantimento. La sua voce meravigliosa si libra nell’aria, favorita dall’ottima acustica del Duse e da un audio sapiente, Poole si produce leggero sui tamburi in un break ben assestato e non invadente, così come in Until , ballata-valzer romantica firmata da Sting per il film Kate &Leopold. Si chiude con la teatrale Pirate Jenny dall’Opera di Tre Soldi di Bertolt Brecht e Kurt Weill accompagnata dalla gestualità efficace di Cecile e con la mirabile filastrocca The Trolley Song già cantata da Judy Garland.
Nel primo bis richiesto a gran voce,la Salvant accenna un’aria di Puccini e poi decide di lasciar perdere (“la prossima volta”, sorride) producendosi in una mirabile Nothing Like You di Bob Dorough che fu anche nel repertorio di Miles Davis e, richiamata un’altra volta sul palco tra scroscianti applausi, sigilla il tutto con Body and Soul, ricordando non poco le delizie di Ella Fitzgerald. Davanti ad una tale esibizione di forza interpretativa e stile non si può che rimanere in rispettoso silenzio.
(le foto di Cecile McLorin Salvant sono di Francesca Sara Cauli)