Billy Cobham, sua maestà il Ritmo. Quello che abbiamo visto e sentito all’opera al Teatro Celebrazioni, nel primo dei quattro grandi concerti di questo Bologna Jazz Festival dedicato alla memoria di Teo Ciavarella, è un ottantunenne afroamericano che suona con l’entusiasmo di un ventenne, leader maximo ma generoso di un settetto collaudato in gran parte italiano che rigenera con efficacia le composizioni di Cobham dagli anni Settanta in poi, battezzato opportunamente Time Machine, macchina del tempo.
Cobham, nato nel 1944 da panamensi emigrati a New York viene da Miles Davis e poi dalla Mahavishnu Orchestra dell’eccelso chitarrista John Mc Laughlin, scuole enormi che gli hanno permesso di diventare solista raffinato e arrangiatore squisito, in una carriera iniziata negli anni Sessanta e tuttora in corso. Rivisita il suo passato con gusto, è onnipresente per un’ora e mezza buona nel tessuto ritmico fornito da un kit a doppia cassa (in effetti a volte sembra che suoni due batterie contemporaneamente ), ormai inusuale sui palchi jazz. La band produce un un continuum sonoro altamente espressivo caratterizzato da continui cambiamenti di ritmo su linee melodiche apparentemente semplici. Una delizia per l’udito, grazie anche all’ottimo lavoro dei fonici.

Leader riconosciuto (non potrebbe essere diversamente) ma che lascia spazio agli altri componenti della band per brevi ed efficaci soli. La cifra dominante resta quella del collettivo in una celebrazione di quella contaminazione di jazz e rock anticipata da Davis che poi abbiamo chiamato fusion, che svolta spesso nel funk e si tinge a volte di sapori cubani e a volte di afrori africani. Un beat assoluto domina le varie escursioni degli strumentisti, Billy Cobham conduce la danza con bacchette e spazzole, a volte con le mani che accarezzano piatti e tamburi nei passaggi più delicati.
Così il concerto è caratterizzato da passaggi di testimone fra la sua batteria, la tastiera di Gary Husband e la chitarra di Rocco Zifarelli che esplodono nella potenza dei tre fiati (Antonio Baldino tromba e flicorno, Andrea Andreoli trombone, Bjorn Arko sassofoni) , le punteggiature precise del basso di Victor Cisternas, una vera orchestra nelle mani capaci di Billy Cobham di cui colpisce la gioia di suonare e divertire il pubblico che esprime sia con la musica che con brevi commenti, sempre ringraziando “per la bella serata”. Davanti a tale esibizione assoluta di tecnica e feeling, poco conta individuare i brani (riconosciuto solo Total Eclipse, peraltro annunciato da Cobham, dal suo terzo album solista del 1974), è meraviglioso lasciarsi andare al flusso di queste emozioni acustiche, spruzzate di rock quanto basta per non annoiare, jazzistiche nella loro essenza e con tanto soul dentro.
Billy Cobham non è uomo da assoli lunghi e noiosi, un breve e centrato break che parte lento e poi accelera, in picchiata sui tamburi e poi il volo riprende con la band che sale. E’ musica allo stato puro, non importa definirla, meglio ascoltarla e ricavarne momenti di assoluta bellezza. Il concerto, malgrado, ripetute ovazioni, non avrà un bis. Per un uomo di ottantun anni, pur spinto dalla benzina di un notevole entusiasmo, un’ ora e mezza alle prese con lo strumento più fisico che ci sia può bastare ed il pubblico che ha gremito il Celebrazioni dovrebbe capirlo, anche se andresti avanti ad ascoltare ancora e ancora. La band saluta, ringrazia e se ne va, mentre in platea si accendono le luci e va bene così.
Si esce dal teatro fischiettando la melodia appena sentita, consapevoli di aver assistito ad un evento memorabile, con uno dei mostri sacri della batteria rimasti sulla Terra.
foto di Francesca Sara Cauli





