Due tipi di futuro per l’itinerante Heroes Festival, giovedì 16 maggio al DumBo di Bologna. Il futuro, luminoso, di Lucio Corsi, stella nascente del rock italiano e quello, possibile, dei Casino Royale, gruppo ormai storico che era avanti negli anni Novanta e ancor oggi ci fa guardare musicalmente con fiducia ad un domani sempre più incerto.
Lucio Corsi, classe 1993, è divertente e trascinante. Percorre le strade del primo David Bowie e Marc Bolan, è glam anche nell’estetica del suo costume con le ali, sfodera grande personalità e padronanza di palco. Uno sprazzo di vivacità nell’asfittico panorama italiano che fa ben sperare, un’ attitudine prettamente rock and roll dal vivo. Il suo cantautorato ci richiama quello di Ivan Graziani (omaggiato con torrida versione di Dr. Jekyll e Mr Hyde) e Rino Gaetano, con un pizzico del primo, stravagante, Renato Zero.
I giovani che affollano il capannone conoscono a memoria i testi delle sue canzoni, ironiche, stralunate, che parlano di ragazzi volati via con il vento, lupi, dropouts, emarginazione e disagio, amore disincantato. Ma l’energia è rock and roll, i suoi duetti con il chitarrista ricordano un poco quelli di Steve Hunter e Dick Wagner nell’album live “animalesco” di Lou Reed. Quando siede al piano sembra l’Elton John delle prime, grandi, canzoni e l’armonica in bocca fa tanto Bob Dylan. Insomma è folk e rock, il ragazzo. Acustico ed elettrico, come Neil Young. Sciorina le sue storie, parla spesso con il pubblico, dirige la band e becca applausi scroscianti.
In mano a gente come lui, al di là di maneskinate manageriali, il futuro del rock italiano fa ben sperare. Intanto, i ragazzi di oggi tramite Corsi possono avvicinarsi a modelli importanti, approfondendoli magari. Poi lui è irrequieto e stravagante, romantico e lirico e scazzato quel che basta, specchio di una generazione che ha assimilato i dischi dei “grandi” (in tutti i sensi, vista l’età anagrafica) facendoli propri e trasformandoli, come deve essere. Lucio ha tutte le carte in regola per diventarlo, un grande, i suoi concerti sono da non perdere, accantonando pregiudizi sulle “fotocopie” che ormai circolano invariabilmente, dal momento che in musica è stato inventato tutto. Lui sembra sapere quello che fa, lasciamolo crescere ancora.
Il tempo di un veloce cambio palco e suoni elettronici in crescendo annunciano l’arrivo dei Casino Royale. Della gloriosa formazione anni Novanta restano Alioscia BBDAI Bisceglia e il pluritastierista-cantante-toaster Patrick Benifei, ma ciò basta a rinverdire quei fasti. Il presente sono la voce femminile di Marta Del Grandi nelle parti più melodiche che furono del transfuga Giuliano Palma, le percussioni del navigato Vito Miccolis, la batteria di Lillo Dadone e la chitarra e il basso di Geppi Cuscito che forniscono la base ritmica incessante, tra accelerazioni e rallentamenti.
Si parte da Fermi alla velocità della luce dall’album Polaris, gioco di parole per un drive potente e un testo attualissimo, in bilico tra guerre e post-pandemia, con un futuro incerto davanti. Poi, a parte Ogni singolo giorno che apriva i concerti di un trentennio fa, riconosco solo pochi brani. La musica dei CR2024 spinge fortemente sull’elettronica, è vicina ai climi di Asian Dub Foundation e Transglobal Underground (la voce di Marta richiama quella di Natacha Atlas, quando intona nenie orientali), trasversale e nervosa, a tratti ipnotica, conduce molti a ballarci sopra.
Alioscia, anche se un po’ appesantito dagli anni, è in forma. L’asse con Bonifei funziona sempre a dovere, Marta Del Grandi si è ben inserita nel gruppo con le sue armonie vocali. Il risultato è un sound che guarda ancora al futuro, trent’anni dopo, e può essere apprezzato anche da generazioni più recenti, venute su a hip hop e trap, metal ed electropop.
Casino Royale sono stati i primi importatori in Italia del trip-hop di Massive Attack e Portishead, hanno registrato a Bristol e il loro è un suono internazionale, forse il più internazionale espresso da un gruppo italiano. I testi evocano spesso una Milano (ma potrebbe essere qualunque metropoli) suo malgrado industriale, più che industriosa, solitudine e rabbia per come vanno le cose ed Alioscia è molto bravo ad innestarli su una musica onnivora, imprevedibile e divertente.
Quando li ho scoperti in quegli anni Novanta, ho pensato che era il suono che avevo sempre cercato, elettronica e dub, reggae e hip hop, tracce di psichedelia. Una sintesi perfetta della musica che sarebbe venuta prima e di quello che sarebbe venuta dopo. Continuo a pensarlo ancora.
Si chiude alla grande con una Cose difficili meno melodica mixata alla possente Io Rifletto che trascinano le ultime persone rimaste verso mezzanotte (anche qualche giovane venuto soprattutto per Corsi, secondo rapido “sondaggio” effettuato da Alioscia per alzata di mano), a conclusione di un set intenso e affascinante, punteggiato da applausi. Senza bis, giusto così.
Heroes Festival, che porta in giro musica contemporanea nel segno dello sviluppo sostenibile ed è stato ad Ivrea e Milano, sarà a Palermo con Cosmo il 21 maggio e al Parco della Musica di Roma con Big Mama e la European Youth Orchestra il 24 maggio. Se capita dalle vostre parti, non perdetelo.