Chitarre come opere d’arte pop, sinuose ed eleganti, colorate e dalle forme bizzarre, nella bellissima mostra in corso al Museo della Musica di Bologna. Con La chitarra del futuro e l’esposizione degli straordinari strumenti realizzati dal liutaio (ma è meglio chiamarlo artista) Antonio Pioli in arte Wandré, il museo-gioiello della città festeggia anche il suo ventennale e proprio vent’anni dopo la scomparsa del genio di Cavriago.
Le chitarre che Wandré disegnò e costruì nella sua “fabbrica rotonda” del Reggiano, sono oggetti di collezionismo ricercati in tutto il mondo. Le usano regolarmente in concerto i Dandy Warhols, Joe Perry degli Aerosmith possiede una Brigitte Bardot regalatagli da Johnny Depp (altro fan) che ha definito “la migliore chitarra per suonare il blues”, così il chitarrista di New Orleans Buddy Miller e Sean Ono Lennon, tanto per fare qualche nome. In Italia le hanno avute e le hanno Francesco Guccini, Massimo Martellotta dei Calibro 35, Federico Poggipollini, Alex Kid Gariazzo, Filippo Graziani. Al design assolutamente unico, le chitarre e i bassi wandreiani (in esposizione ce ne sono più di cinquanta) uniscono la grande qualità sonora, realizzate come sono in modo squisitamente artigianale.
La mostra è in collaborazione con i Partigiani di Wandrè, libera associazione che ricorda il suo apporto alla Resistenza ma “parteggia” anche per lui, tenendo viva la memoria di una straordinaria avventura umana e artistica. Ne fanno parte Paolo Battaglia, Gianfranco Borghi storico verniciatore, Luca e Loris Buffagni, Riccardo Cogliati, Mirco Ghirardini, Giorgio Menozzi, Johnny Sacco, Adelmo Sassi. Come ricorda la direttrice del Museo, Jenny Servino: “Abbiamo inaugurato l’attività nel 2004 con una mostra sulla Fender, festeggiamo vent’anni dopo aver organizzato più di 1500 eventi, con un’esposizione di chitarre uniche. altre iniziative seguiranno con il claim 20ofmusic.”
Wandré nacque a Cavriago nel 1926 e vi morì nel 2004, quando le sue chitarre avevano girato tutto il mondo. A diciassette anni era con i partigiani sull’Appennino e nel 1957, dopo aver diretto cantieri in tutta Italia ed essere stato cacciato per l’abitudine di schierarsi sempre con gli operai, diventa liutaio seguendo la passione del padre Roberto, che costruiva violini.
E’ stato il primo in Italia a costruire chitarre e bassi, ma con un’ idea ben precisa: trasformare un “attrezzo di lavoro” in una vera e propria protesi emozionale dell’artista. Così le sue creazioni sono ispirate alla cultura pop, al cinema, alla conquista dello spazio. Erotiche e sensuali, leggere e psichedeliche, coloratissime, riflettono i sentimenti del musicista e il mondo che lo circonda. Wandré esporta il suo nome e quello di Cavriago in tutto il mondo, i musicisti sbavano per le sue creazioni.
In una scena del documentario Don’t Look Back di D.A Pennebaker, si scorge Bob Dylan durante la tournée inglese del 1965 (quella dell’incontro fatidico con i Beatles) che, davanti ad una vetrina londinese piena di chitarre Wandré, esclama: “We don’t have these guitars in the States! Man, they are incredible”. Stessa sensazione che potranno provare i visitatori della mostra vedendo queste opere davvero uniche nell’allestimento di Quadricroma progettato dall’architetto Giorgio Menozzi e seguendo gli eventi collaterali, narrazioni e concerti, che si terranno da qui al 14 luglio.
Wandré termina definitivamente la produzione nel 1970, i tempi sono cambiati, ma intanto il mondo è stato disseminato dalle sue chitarre. Frank Zappa nel 1986 assegna il primo posto ad una Scarabeo e il secondo ad una Oval al concorso Miss Off The Wall per la “chitarra più eccentrica”. E il signore era uno che se ne intendeva. Oggi, i collezionisti se le contendono a peso d’oro.
Marco Ballestri, curatore della mostra, autore dei libri L’artista della chitarra elettrica e La fabbrica più moderna del mondo (Anniversary Books) sottolinea: “Non solo Wandré ha fatto della chitarra un oggetto d’arte pop, ma ha interpretato da artista il suo tempo con riferimenti sia al privato che al pubblico: amore, erotismo, ironia, cambiamenti sociali, trasgressione”. Imprenditore illuminato, anche se proprio commercialmente accorto, aveva creato una fabbrica utopica, di forma circolare, con un finestrone centrale perché chi era al lavoro potesse sempre vedere il cielo e sentirsi libero. “Viveva un mondo fatto di non regole, asimmetrie. Era tanto amato dai suoi operai che, quando le cose andavano male, gli regalavano ore di lavoro per aiutarlo”.
Negli ultimi anni di vita aveva aperto la sua casa-laboratorio, ribattezzata Osteria della Pace Eterna agli amici e a tantissimi giovani che vedevano in lui una sorta di profeta, uno dei pochi rimasti a difendere ad ogni costo la pace e la libertà. Grande costruttore di chitarre, non rinunciava ad esprimere la sua, anche polemicamente, sui temi a lui cari: politica, pace, ecologia. Artista unico, da conoscere e apprezzare. “L’amore per Wandré diventa presto una malattia, che noi chiamiamo wandreite”, chiosa Ballestri. L’ultimo ad essere contagiato è stato Oderso Rubini, storico produttore di Skiantos e della Bologna new wave anni Ottanta che ha collaborato all’organizzazione, accolto nelle file dei Partigiani con il nome di battaglia (tutti ne hanno uno) di “Disko”.
Wandrè la chitarra del futuro
a cura di Marco Ballestri
Museo internazionale e biblioteca della Musica
Palazzo Sanguinetti, Strada Maggiore 34, Bologna
11 maggio- 8 settembre 2024
ingresso libero
Promossa in collaborazione con Regione Emilia-Romagna – Assessorato alla Cultura e Paesaggio.