Friko sono una giovane band di Chicago che il 16 febbraio scorso ha pubblicato il proprio album di esordio. Nove canzoni per soli trentasei minuti di un incredibile mix alternativo di indie-rock, propulsioni punk e sonorità melodiche intinte di allusioni più o meno evidenti al classico. I due ragazzi non hanno infatti fatto mistero di amare da profani Chopin e alternano nelle loro canzoni chitarre altisonanti, che richiamano il sound dei primi anni novanta, ad atmosfere più intime ed emotive.
Niko Kapetan (voce e chitarra) e Bailey Minzenberge (alla batteria) si sono conosciuti sui banchi di scuola. Quando hanno deciso di fare musica insieme, hanno scoperto un’alchimia crescente che li ha spinti ad elaborare le tracce immature di Niko fino a dar corpo all’album, Where we’ve been, Where we go from here. Nonostante alcuni dei temi rimandino a tormenti giovanili ed angosce adolescenziali transgenerazionali, all’interno ci sono ansie più tipiche della cosiddetta generazione Z. Ritrovi il senso di solitudine e l’alienazione per una socialità che attraversa le sfide della digitalizzazione. C’è un senso di rabbia repressa che involve fino a momenti di estrema malinconia. Ma resta anche quel desiderio di amore e di amicizia che supera i confini dello spazio e del tempo. Così come l’universale bisogno di trovare la propria strada in un mondo che sembra non riservare più sorprese.
Il giovane Niko canta con una voce che arriva dritta dal cuore, vibrante, struggente e carica di mille emozioni che variano dalla rabbia alla gioia, alla tristezza. Urla angosciato e disperato ad un mondo che lo fa sentire invecchiato, nonostante abbia ancora davanti a sè un’intera vita da inventare. Le armonie melodiche hanno una forte risonanza emotiva, fatta di sbalzi di umore ciclotimici in cui una roboante e acida chitarra elettrica si alterna a melodie minimaliste al pianoforte o alla chitarra acustica, talora con riverberi di archi che rimandano al sapore più classico.
L’album si apre con il brano omonimo che dà il titolo all’album. Where we’ve been, where we go from here nasconde le ansie di una generazione che vede il futuro incerto in un mondo che corre forse troppo veloce e non lascia il tempo di decidere. “Dove siamo stati, dove andremo da qui. Ho lasciato che tutto scivolasse via, sono le due del mattino. Correre fino all’alba mi toglie il fiato”. Il motivo parte in sordina e si sviluppa in un’inquietudine crescente che esplode in un in groviglio sonoro che ricorda molto il Seattle sound degli anni novanta. Nel finale il giovane Niko urla il proprio tormento, mentre il ritornello come una nenia lo accompagna e finisce per spegnere ogni emozione. Nel brano ci sono anche evidenti assonanze con le sonorità dei primi Radiohead, ma il brano mantiene comunque una sua originalità, proprio in quella spinta emotiva che definisce un visione autentica, seppur con echi del passato.
Crimson To Chrome entra quasi in sordina per aprire ad un rock classicheggiante in cui la voce di Niko continua a ripercorrere quel sentimento rabbioso e malinconico che pervade l’intero album. “O siamo troppo vecchi, troppo audaci o stupidi per muoverci. Io immagino che lo siamo”. Domina in maniera assoluta la percezione adolescenziale del tempo, in cui la dimensione odierna ingloba quella futura in un continuum senza fine. Le emozioni sono ondate devastanti destinate a non esaurirsi, siano esse di gioia o di rabbia; sono colori fulminanti che accendono un presente che allieta, eppure spaventa.
Crashing Through e Chemical tengono alta quella tensione emotiva, determinata in buona parte dalla voce del giovane Niko, che regala ad ogni brano una dimensione fragile e inquieta. Ci sono evidenti spunti di post-punk e le sonorità grezze che si uniscono alle melodie minimali conferiscono un’immediatezza che profuma di passato ma ha al suo interno una rinnovata freschezza.
Fra i due brani si interpone il classicheggiante e intimista For Ella. Si assapora quella passione dichiarata per Chopin. “A me e Bailey piace particolarmente la musica classica del periodo romantico. Non siamo esperti in materia, ma le dinamiche e la bellezza della musica di quell’epoca sono state decisamente influenti sul nostro sound e su come usiamo melodie e armonie” ha dichiarato recentemente Niko in un’intervista per Rockambula con la promessa finale di suonare in Europa nel prossimo autunno.
Le immagini raffinate di Ella, ballerina fluttuante e stella cadente, dipingono una cartolina amorosa di altri tempi, delicata e sincera.
Statues, seppur apparentemente orecchiabile, conserva una malinconia cristallizzata in una dimensione artefatta e inquietante. “Il paradiso è là fuori in mezzo al nulla, che si nasconde finché non sarà il momento… un giorno poseremo le nostre statue fatte di pietra, per ora ci inchineremo ai ricordi fatti di pietra”. La rivoluzione della nuova generazione passa attraverso una rabbia appiattita e repressa. È un vortice patinato che nasconde la tipica trepidazione adolescenziale, che non lotta per individuarsi e aspetta invece con amara rassegnazione di ritrovare la propria strada. Una nota di sottile disfattismo rende questa melodia canticchiabile amara e malinconica.
Until I’m With You Again è un’altra chicca intimista piano e voce, rotonda e minimale come una filastrocca triste. La malinconia questa volta investe il tema dell’amicizia, con la certezza che niente può veramente interrompere un legame sincero fra amici veri. L’onnipotenza adolescenziale scavalca ancora una volta i confini del tempo e dipinge un sentimento capace di unire per sempre oltre la vita e la morte.
Get to Numb It! è un ritorno alla spensieratezza giovanile, a quei vent’anni in cui ti senti il re del mondo, ma anche così vulnerabile davanti a quel destino che è ancora tutto da scoprire. In una nuova altalena di oscillazioni umorali c’è quasi uno stato maniacale di sovraeccitazione che nasconde un’angoscia più profonda. “È uno stato costante di frasi logore in attesa della stessa somma. Sto diventando insensibile. E le cose non migliorano, peggiorano il doppio perché tu lo permetti. Quindi è meglio diventare insensibile”. Il brano si chiude con il ritornello acustico di Where we’ve been, where we go from here, come a sigillare la fine di un viaggio, un punto di ritorno. Perché se siamo partiti da noi stessi, è a noi stessi che siamo destinati a tornare.
Cardinal chiude l’album e richiama l’immagine della copertina che ritrae un cardinale rosso. “L’ho scritta in un momento difficile e mi è servita un po’ da supporto per uscirne, e spero che la canzone possa aiutare altre persone in situazioni simili” spiega Niko. È un brano acustico in cui la sua voce esplora acuti improbabili che conferiscono al brano quell’intensità emotiva capace di toccare profondamente il cuore. Una nenia dolorosa in cui Niko canta per se stesso cercando di trovare le parole giuste per confortare e dare la forza a se stesso per andare avanti.
Where we’ve been, Where we go from here ha la freschezza della gioventù con i suoi tormenti e le sue gioie frizzanti, esplode di emozioni incredibilmente intense, opposte e spesso altalenanti. Ha sonorità originali che mantengono un equilibrio importante fra vecchio e nuovo. Appare grezzo e acerbo in diversi punti e questo è uno dei suoi punti di forza che lo rende vivido e pulsante. I Friko sembrano avere una forte personalità ed appaiono come una delle più allettanti promesse indie e alternative rock.
In un mondo in cui tutto brucia velocemente, questi ragazzi provano a rallentare per immergersi in una dimensione in cui le emozioni e i sentimenti definiscono il significato di quello che ci circonda. Come fautori di un nuovo romanticismo, aprono ad una visione antica eppure moderna. La loro è una ribellione senza proclami, tenace e al tempo stesso fragile, proprio come l’animo di un adolescente.