Roy Buchanan: il miglior chitarrista sconosciuto del mondo, vittima di se stesso

Storia già sentita quella di Leroy (Roy) Buchanan, nella sua crescita musicale ed evoluzione, nel suo triste epilogo. Divorato da contorte diatribe esistenziali difficili da dissipare, a fronte di una enorme capacità chitarristica, non ha mai saputo convogliare questa sua immensa dote in energie positive capaci di fugare le incertezze. Solo l’uso e l’abuso di sostanze stupefacenti e alcool è riuscito a quietare il suo animo oscuro colmo di ragnatele. Fino alla fine.

Nato il 23 settembre 1939 ad Ozark, una cittadina dell’Arkansas, nel Sud degli Stati Uniti, Buchanan risente da subito delle influenze musicali proprie di quell’area geografica: gospel, country, blues. A partire dai sette anni è la chitarra a divenire la sua principale compagna di giochi. In particolare, giunto ai tredici la comparsa di una Fender Telecaster, acquistata per 120 $, diverrà l’elemento distintivo dell’artista nel fondare le basi della sua attività in campo musicale. Due anni dopo, forte di questa consapevolezza, abbandona la casa familiare e inizia il viaggio per fare della musica la sua ragione di vita.

Nei primi anni del suo vagabondare Roy si trova in Canada, dove fa amicizia con Robbie Robertson, polistrumentista divenuto poi suo allievo. E’ proprio a partire da questo periodo che decolla la sua carriera nel mondo della musica, percorso però sempre ostacolato dalle pesanti dipendenze. Neanche il matrimonio, contratto nel 1961, riesce a placare le ferite. Al contrario il rapporto è spesso caratterizzato da violente liti e incomprensioni. Proprio in seguito a una di queste, il 14 agosto 1988, si impiccherà nella cella nella quale era stato temporaneamente rinchiuso nel carcere di Fairfax County per riprendersi da un abuso di alcool.

Tecnica e capacità chitarristica sopraffina, queste sole parole danno l’esatta dimensione del fenomeno Buchanan. Il rapporto simbiotico instaurato con la sua mitica Telecaster, è in grado di cristallizzare le sue emozioni e le sue immaginazioni, trasformandole in suoni e vibrazioni. Le invenzioni stilistiche, l’armonico pizzicato e la manipolazione dei controlli di volume e tono, tanto per citarne due, ispirano altri protagonisti del panorama musicale, quelli soprattutto in linea con il quasi elitario genere del fingerpicking.

Buchanan non ha mai cercato il successo in modo ossessivo, tanto che un programma televisivo dedicato a a lui fu intitolato “Il miglior chitarrista sconosciuto del mondo”. Proprio la visibilità di questo programma fece sì che la casa discografica Polydor si avvicinò all’artista per un contratto con previsioni di album e concertiIl rapporto termina nel 1981 quando Roy sigla l’accordo con la Alligator Records, etichetta meno invasiva quindi garanzia una maggiore libertà di movimento. Non è stato questo l’unico rifuggire dall’ingranaggio. Che dire, ad esempio, del rifiuto alla proposta dei Rolling Stones di unirsi alla band per sostituire Brian Jones? Grazie a questa coraggiosa declinazione acquistò il curioso soprannome come “L’uomo che rifiutò gli Stones”.

La carriera di Buchanan ha visto la produzione di numerosi album, molti dei quali live ed alcuni come accompagnatore di altri artisti. Un ‘eredità importante di una vita purtroppo breve.

Il motivo per cui non ho mai puntato al successo è perché non mi è mai interessato. L’unica cosa che desideravo era suonare la chitarra, più per me stesso che per gli altri.

ascolti

  • Second album (1973)
  • That’s What I’m Here For” (1974)
  • Live Stock (1974)
  • Live in Japan (1979)
  • When a Guitar Plays The Blues (1985)
  • Dancing on the Edge” (1986)
  • Hot Wires (1987)

parole

  • Roy Buchanan: American Axe

visioni

  • Live At Rockpalast – film/video

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