Tra smarthpone, selfies, spread e pubblicità di prestiti a interesse, L’Avaro è sempre L’ Avaro. Brilla al Teatro Duse di Bologna questa rilettura del classico di Moliére da parte del regista Luigi Saravo, con Ugo Dighero protagonista nei panni di Arpagone in una squadra di bravi attori, tra cui spicca Mariangeles Torres nella doppia parte di Freccia e Frosina. Non tocca il testo, Saravo, adattandolo con Letizia Russo, il che dimostra la straordinaria forza di parole scritte nel Seicento e le attualizzazioni sono frutto di improvvisazioni nate dal lavoro attoriale.
I tempi comici perfetti di Dighero danno brio e svolte improvvise alla storia. Il manipolo di attori affiatati è un collettivo ben diretto che si muove all’interno di un meccanismo oliato, una commedia eterna sull’avidità di denaro (“Money” cantano insieme nel finale, sulle note altrettanto eterne dei Pink Floyd) capace di sconfiggere persino l’amore più autentico. Un’amara lezione, che divertendo fa riflettere su miserie umane immutate da secoli.
Trasportato nel contemporaneo, l’Avaro è perseguitato dalla sua smania, non ammette la sua condizione, custode geloso (come Gollum) di un tesoro che alla fine gli verrà sottratto. Intorno a lui danzano i maneggi di Frosina, in leggings leopardati, che si affanna a combinare il matrimonio con Marianna (Rebecca Redaelli), giovane priva di mezzi di cui però è innamorato il figlio Cleante (Stefano Dilauro) mentre l’altra figlia Elisa (Elisabetta Mazzullo)sogna di unirsi al povero Valerio (Fabio Barone) invece del facoltoso Anselmo (Cristian Giammarini, anche faccendiere Simon), secondo volontà paterna.
Le dinamiche tra i vari personaggi sono ben delineate, frutto di una serie di equivoci (che più avanti Feydeau sfrutterà abilmente per il suo teatro) alimentati dalle incaute mediazioni di Mastro Giacomo (Paolo Li Volsi) mentre via via l’intreccio si fa sempre più complicato: si ride alle battute fulminanti e intanto si pensa ai guasti che, ieri come oggi, provoca l’avarizia. Arpagone, che sembra padrone della situazione, via via se la vedrà sfuggire di mano, il servo Freccia gli ruba il tesoro, i figli si mettono contro e niente di quello che aveva progettato andrà come previsto. Dighero giganteggia comunque sulla scena, soprattutto nel monologo di potente fisicità cui dà vita dopo la scoperta del furto, tra disperazione e sentimenti di vendetta. Fino al colpo di scena finale, in cui le vere identità si rivelano, l’amore trionfa ma una pioggia di denaro fa triofare l’avidità.
La musica scelta da Saravo, assolutamente contemporanea (Queens of the Stone Age, Paolo Nutini, Billie Eilish e Bruno Mars) contribuisce a sottolineare stati d’animo e un’efficace scenografia (Lorenzo Russo Rainaldi e lo stesso Saravo)riproduce sensazioni quasi cinematografiche, con teche trasparenti mobili, dissolvenze e proiezioni. Un Avaro ben costruito e interpretato, quello che ha deliziato tre volte gli spettatori del Duse (due sere e un pomeriggio, teatro sempre pieno), a conclusione di una fortunata tournée per l’Italia. Un lavoro che conferma la vena registica di Luigi Saravo (che nella commedia si ritaglia la piccola parte del commissario chiamato ad indagare sul furto), nei prossimi giorni in scena a Milano anche con il suo ultimo lavoro L’altro mondo insieme a Daniele Ronco.