Alessandro Berselli, bolognese, classe 1965, ha appena pubblicato per Rizzoli un noir atipico come Gli eversivi che ha per protagonista le ragazze di un’agenzia investigativa tutta al femminile, opportunamente chiamata Marple, coinvolte in un intrigo politico piuttosto complicato di trame nere. Dopo alcuni romanzi di ambientazione milanese come “Il liceo” e “Le siamesi”, lo scrittore torna a casa con una vicenda ambientata in una Bologna riconoscibile e personaggi ben delineati che si stampano nella memoria del lettore.
Bologna è sempre affascinante come cornice per un libro, in qualunque parte d’Italia stiano i lettori. E’ una carta in più da giocare, per un autore.
Vero. E lo sto riscontrando in queste settimane di promozione, in giro per il paese. E’ una città bellissima, lo dicono anche i protagonisti del libro, esercita sempre una forte attrazione e poi è un territorio che conosco bene, in cui mi muovo molto a mio agio, anche se è stato altrettanto bello scrivere di Milano.
Hai creato dei personaggi che colpiscono il lettore, come Ginevra e le altre della Marple. E’ l’inizio di una serie?
Ci sto lavorando, me lo auguro. Sono sempre più interessato ai meccanismi delle serie tv, trovo che il loro sia un linguaggio narrativo estremamente nuovo e moderno . Ovviamente, come tutti mi augurerei anche uno sbocco televisivo o filmico, il che mi permetterebbe di diventare scrittore a tempo pieno. C’è già qualcuno che si sta interessando ai diritti di “Gli eversivi”, ma per ora non posso dire niente.
Già, perché nonostante i successi letterari, continui a conservare il tuo lavoro.
E’ quello che mi permette di pagare le bollette, come dico sempre. Però ci sono anche affezionato e in fondo sono sempre nel campo dell’editoria, anche se scolastica…
Parliamo, senza troppo addentrarci, della figura principale del romanzo, la capo detective Ginevra. Mi ha colpito come da professionista infallibile e rispettata, quasi algida, si trasformi via via in una donna indecisa che commette una serie di errori, finendo in gioco molto più grande di lei.
Sì, lei parte con una certa reputazione, ha risolto un caso importante, quello dell’Innominato, e poi nell’andamento del romanzo si rivela sempre più insicura, anche dal punto di vista professionale. E’un percorso interessante, può capitare anche nella vita quando si incontra l’amore, in nome del quale si fanno tanti sbagli.
Ne “Gli eversivi” nessuno dei protagonisti è sicuro di arrivare vivo alla fine.
“E’una cosa che ho preso dalle serie tv, appunto. Non c’è più questa intoccabilità, si ama un po’ disorientare il lettore, sorprenderlo. Ma non diciamo troppo, dai…
Alla Rizzoli come ci sei arrivato?
Grazie all’intercessione di Maurizio De Giovanni, grande scrittore che sono fortunato ad avere per amico. Gli sono piaciute le mie cose e mi ha proposto alla casa editrice che stava cercando autori giovani per una collana noir. Fortunatamente nell’editoria sei considerato “giovane” anche a cinquantotto anni…
Cosa vuol dire per uno scrittore finora indipendente, approdare alla Rizzoli? Ci sono soltanto lati positivi o anche qualche rovescio della medaglia?
Devo dire, finora non riesco a vederci niente di negativo. Puoi contare su un’organizzazione solida, mentre prima facevi tutto da solo o quasi. E promuovere un libro è importante quanto scriverlo, non sono uno di quegli autori che pensano che il proprio romanzo prenda il volo da solo, devi fare tutto il possibile per diffondere il verbo e le presentazioni sono importanti. Dopo un mese, i libri escono dal settore privilegiato delle novità e finiscono negli scaffali, in ordine alfabetico. Io sto vicino a Berto, ma quanti oggi leggono libri di Berto? Devi darti da fare perché il libro “viva” anche dopo il lancio. Dalla Rizzoli finora ho avuto tutto, anticipo, rimborsi spese, presentazioni organizzate, arriveranno anche le royalties, non posso certo lamentarmi.
Che tipo di controllo hai avuto nel processo lavorativo? Ti è stata data una bozza finale da verificare prima della stampa?
Ho avuto la possibilità di lavorare con ottimi editor, prima Benedetta Bolis e poi Francesco De Ambrogi che non mi hanno toccato la trama, ma mi hanno incoraggiato a sviluppare la parte delle vite private delle protagoniste e l’ambientazione bolognese, in pratica quelli che hai individuato come punti di forza del libro (ride). E’ stato un lavoro collettivo importante, come deve essere e, certo, ho avuto la parola definitiva sulla bozza pre-stampa.
Ricavi qualche spunto dalla gente che viene alle presentazioni?
Moltissimi. Ogni volta c’è l’occasione per confrontarsi, discutere. L’incontro con le persone mi dà modo di capire come viene percepito il libro e ne ricavo idee. Penso che questa fase sia fondamentale quanto lo scrivere. E’ faticosa, spesso, ma sempre appagante.
Parliamo della musica che ha sempre una parte importante nei tuoi libri, per sottolineare sentimenti e situazioni. Spuntano Jeff Buckley e Tom Odell, tra le pagine de “Gli eversivi”.
Ho scelto The Last Goodbye, brano che trovo fantastico come del resto tutto l’unico album di Jeff Buckley, Grace, perché mi sembrava ideale, con quella sonorità che rappresenta una tempesta di emozioni e riflette il turbinio di ciò che prova Ginevra alla fine di una notte di amore che forse è un addio. Che grande perdita è stata dover salutare così presto ad un cantautore che sapeva fondere Dylan e i Led Zeppelin, una delicata matrice folk con un rock ruvido tinto di grunge, capace di esprimere un pathos assoluto. Chissà cosa avrebbe ancora potuto darci. Meno noto di lui l’inglese Tom Odell, uscito un po’ sulla scia di Buckley nel 2013 e che invito caldamente ad ascoltare, anche lui malinconico il giusto in Long Way Down. Come i protagonisti del mio libro.
Ascolti musica, quando scrivi?
Assolutamente no. Scrivo in rilegioso silenzio. L’ascolto viene prima o dopo e resta una componente importante della mia vita. Compro dischi, vado ai concerti, non potrei vivere senza musica. Mi piacciono i classici, Pink Floyd, Genesis, Who che mi hanno fatto ancora impazzire dal vivo nel 2016, ma anche scoprire cose nuove. Preferisco oggi andare a concerti di emergenti più che di artisti affermati, frequento rassegne come Botanique e Sequoie. Recentemente mi ha colpito Hiromi, questa pianista giapponese pazzesca che sembra Herbie Hancock e traffica con l’elettronica a una velocità incredibile. Ma quando scrivo c’è solo la scrittura e, tra l’altro, non le posso dedicare più di un’ora e mezza al giorno, allo stato attuale delle cose.
Tra i tuoi ispiratori, facile dirlo perché hai sempre dichiarato amore incondizionato, c’è Stephen King. Ho trovato delle similitudini tra il tuo romanzo e la saga di Mr. Mercedes, soprattutto per quanto riguarda le vite private un po’ dissestate del team di investigatrici. Sei d’accordo?
King è un maestro nel delineare personaggi e descrivere situazioni, facendoti “entrare” nei suoi libri. Ho sempre pensato che sia uno scrittore tout court, non solo da confinare in ambito horror. Tra miei preferiti ci sono IT, grandissimo romanzo di formazione, 22/11/63 che ha uno spunto pazzesco e originale come impedire la morte di John Kennedy e i racconti lunghi tipo quelli di Stagioni Diverse, dai quali tra l’altro sono stati tratti tre film bellissimi come Stand By Me, L’allievo e Le ali della libertà. Mi è piaciuta molto anche la serie di Mr. Mercedes e questo accostamento lo prendo come un complimento.”
Progetti futuri?
Mi frulla in testa parecchio, sono in giro per l’Italia e intanto ci lavoro sopra. Non è escluso che le avventure di Ginevra e le ragazze abbiano un sequel. O un prequel. O magari viene fuori qualcos’altro. Chissà?