Jim Morrison è molto di più della sua immagine di rockstar deviata, morta prematuramente a 27 anni e consegnata per questo all’immortalità. E’ un autentico poeta, sulla scia dei beat e del “maledetto” Arthur Rimbaud, l’uomo che ha portato il teatro dentro il rock con memorabili performances che i contemporanei non avevano capito, tutti tesi ad adorare l’idolo.
E’ stato dionisiaco e apollineo, un vero intellettuale in un mondo spesso rozzo e di grana grossa. La sua vita artistica si è sviluppata tra Eros e Tanathos, i miti greci hanno influenzato la sua poesia rock and roll che ha finito per perderlo, dopo cinque dischi (più uno postumo) intensissimi e tuttora fondamentali.
James Douglas Morrison nasce in Florida, a Melbourne l’8 dicembre 1943. Il padre George è un ufficiale di Marina, siamo ancora in tempi di guerra, e la famiglia lo segue nei suoi spostamenti di servizio. A tredici anni Jim scopre un libretto di poesie di Rimbaud ed è una folgorazione. Comincia a scrivere su un taccuino le sue, ispirate a quei “versi strani” ma solo anni dopo avrà il coraggio di mostrare quei testi a qualcuno. Il giovane Morrison è un ragazzo solitario, dalle letture voraci e amante della natura in cui si immerge volentieri. Scappa spesso di casa per rifugiarsi sugli alberi, è insofferente alla rigida e militare disciplina paterna.
Dopo il diploma (non si presenta alla cerimonia, mandando il padre su tutte le furie) Jim si iscrive alla scuola di cinematografia dell’Ucla, frequentata al tempo anche da Steven Spielberg e Martin Scorsese, gira brevi film folli e sperimentali che attirano l’attenzione di un compagno di facoltà, il più anziano tastierista Ray Manzarek, da Chicago. Quando si conoscono meglio, leggenda vuole sulla spiaggia di Venice a Los Angeles, lui gli mostra il testo di quella che diventerà Moonlight Drive. Manzarek, entusiasta, proclama l’intenzione di formare un gruppo. Nascono i Doors, con John Densmore alla batteria e Robby Krieger, chitarrista e suonatore di sitar. Non c’è un bassista, perché le note gravi le fornirà la tastiera di Ray, assoluta novità per quell’epoca.
Moonlight Drive non è però la prima canzone del gruppo. Uscirà solo sul secondo album, Strange Days, pubblicato anch’esso nel 1967 come il folgorante esordio omonimo. The Doors contiene Break on Through, brano-manifesto che invita ad “aprirsi un varco dall’altra parte” esprimendo quella necessità di “andare oltre” già contenuta nel loro nome. The Doors of Perception sono le porte della percezione che titolano un saggio di Aldous Huxley, ispirato a sua volta da un verso di William Blake, in The Marriage of Heaven and Hell: «Se le porte della percezione fossero purificate, ogni cosa apparirebbe all’uomo com’è: infinita.»
Morrison dal canto suo dichiarava: «Ci sono cose che si conoscono e altre che non si conoscono. Esiste il noto e l’ignoto, e in mezzo ci sono Le Porte. I Doors sono i sacerdoti del regno dell’ignoto che interagisce con la realtà fisica, perché l’uomo non è soltanto spirito, ma anche sensualità. La sensualità e il male sono immagini molto attraenti, ma dobbiamo pensare ad esse come alla pelle di un serpente di cui ci si libererà.» E se ne andò nel deserto del Mohave insieme agli altri tre Doors a dilatare l’esperienza psichedelica con la mescalina.
Sul primo album c’è soprattutto la conclusiva The End, un poema a tratti recitato da Morrison che sprigiona tutta la sua visionarietà, il difficile rapporto con i genitori, metaforicamente virato in una riedizione sixty del complesso di Edipo (“Uccidi il padre, fotti la madre”), il richiamo del West e le rovine romane della decadenza occidentale. Sembra la versione in musica, ipnotica, della Terra Desolata di T.S. Eliot. Una composizione avanti rispetto al suo tempo che poco dopo sarà ripresa dall’enigmatica Nico fuggita dai Velvet Underground. E farà da appropriata colonna sonora ai deliri conradiani del capitano Willard in Apocalypse Now di Francis Ford Coppola.
I Doors escono sul finire degli anni Sessanta, che marchiano a fuoco con quattro album (The Doors e Strange Days, 1967 e i meno riusciti The Soft Parade, 1968 e Waiting For The Sun, 1969) anticipando tematiche del decennio a venire, come l’incrocio fra musica e teatro (che sarà portato avanti, in maniera molto meno provocatoria, ma altrettanto geniale, dai primi Genesis con Peter Gabriel). Morrison si ispirava al Living Theatre di Julian Beck e Judith Molina, voleva abolire la tradizionale separazione tra palco e realtà. In scena non recitava, mostrava se stesso senza alcun filtro e pudore, con risultati spesso devastanti. Nel 1969 viene arrestato sul palco al Dinner Key Auditorium di Miami per essersi denudato e aver simulato atti sessuali. Oggi sarebbe roba da educande, ma allora gli fruttò un lungo processo da cui uscì condannato, amareggiato e deluso. E che segnò negativamente la sua carriera di già riluttante rockstar.
Morrison era artista integro, intollerante di ogni compromesso con il mercato. Un poeta che aveva scelto il blues per esprimersi. Si infuriò quando i pubblicitari volevano usare Light My Fire per uno spot della Chrysler, al punto di minacciare di sciogliere il gruppo se fosse successo. Le sue intemperanze soprattutto con l’alcol, la sua tendenza all’autodistruzione (“e a mandare in vacca tutto” per sua stessa ammissione) minarono presto la fiducia degli altri e dopo Morrison Hotel (1970) che segnava un ritorno al blues delle origini, Jim cominciò a coltivare ambizioni in proprio. Non come musicista, ma come poeta, quale voleva essere considerato. Aveva scritto la prima raccolta, The Lord and The New Creatures, ne andava orgoglioso e aveva fatto rilegare in pelle alcune copie che regalò agli altri Doors dopo aver manifestato l’intenzione di andarsene a Parigi a fare il poeta davvero.
Prima del viaggio, però, i quattro registrarono il passo d’addio dei Doors, L.A.Woman, con un Jim tornato in forma che ritrova la sua voce blues in brani come Crawling King Snake (di John Lee Hooker) e Cars Hiss By My Window e cita Franz Kafka in L’America.
Il disco contiene due brani lunghi e dilatati come Riders on the Storm, frutto di una tessitura jazzistica tra Manzarek, Krieger e Densmore e L.A. Woman, in cui i Doors raggiungono un equilibrio perfetto tra dinamiche musicali ed espressione poetica. Quest’ultima è un inno alla donna, ma anche alla città che ha segnato per sempre la vita di Morrison prima di lasciarla per sempre, personificata nelle sue contraddizioni tra “motels, money, murder, madness”.
Morrison poeta non è stato apprezzato dai contemporanei, ma è andato soggetto ad una rivalutazione nel corso degli anni. Oggi si tengono corsi universitari e tesi di laurea su di lui. Tolta la patina superficiale della rockstar tutto droga ed eccessi, è emerso tutto il valore poetico dei testi di Jim, visionari ma anche socialmente critici, un’ esplorazione spesso profonda dell’io e della mente umana. In un libro interessantissimo del 1994, Wallace Fowlie, professore di letteratura francese alla Duke University, lo accosta ad Arthur Rimbaud. Nel 1968 Jim gli aveva scritto per ringraziarlo di aver tradotto l’opera del poeta maledetto: “Sono una rockstar e ho sempre il suo libro con me”. Molti anni dopo, ascoltando i testi dei Doors, Fowlie riconobbe immediatamente l’influenza di Rimbaud e si ricordò di quella lettera. “Jim Morrison sarebbe orgoglioso di questo libro”, dichiarò Danny Sugerman, uno dei suoi biografi. Tra i più credibili, insieme a Jerry Hopkins e lo stesso Densmore.
L’influenza della poesia beat e di Allen Ginsberg è particolarmente evidente in The Soft Parade, composizione del 1968 per l’omonimo album. Su una base quasi jazz, si ergono le “curses and invocations” di Morrison con l’iniziale grido “Wake Up!” che rimanda l’Urlo ginsberghiano e introduce un viaggio un poco allucinante in una “parata soffice che è appena iniziata” tra “catacombe e ossa di bambini, pietre rotolanti” e versi ermetici come “sta diventando difficile descrivere marinai agli affamati”.
Ma Il capolavoro di Morrison poeta con i Doors e forse l’apice di tutto è la chilometrica Celebration of The Lizard, diciassette minuti di follia verbale e sonora che si può ascoltare per intero solo su Absolutely Live del 1970, soltanto se si è in buone condizioni mentali e psicologiche. Il Re Lucertola dispiega la sua poetica sciamanica in tutta la sua potenza, la performance diventa rito e il verbo si fa carne. Proclamava del resto Rimbaud: “il Poeta si fa Veggente attraverso una lunga, immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi”. Morrison portò il derangement, intriso di cultura sciamanica e orientale, a livelli mai raggiunti su un palco.
Pamela recitò sulla tomba di Jim il verso finale di Celebration: “«Ora giunge la notte con le sue legioni purpuree/ Tornate alle vostre tende e ai vostri sogni/ Domani entreremo nella città della mia nascita/ Voglio essere pronto» . Come se lui avesse già preparato in precedenza il suo epitaffio.
Molta della poetica di Morrison, infine, è stata ispirata da un fatto accadutogli quando aveva appena quattro anni. A bordo dell’auto su cui viaggiava con i genitori vide un incidente stradale in cui erano morti alcuni nativi americani, con scene di disperazione. Era convinto che lo spirito di un indiano morente fosse entrato da allora in lui. “Indiani sparsi lungo l’autostrada, sanguinanti/Fantasmi popolano la mente fragile come un uovo del ragazzino” canta in Peace Frog e riferimenti si trovano in Riders on The Storm e An American Prayer.
La vita parigina di Jim che lo vedeva finalmente quasi felice e rilassato accanto a Pamela, è durata solo pochi mesi. Morrison è stato trovato morto il 3 luglio 1971 nella sua abitazione di Rue Beautreillis 17, nel Marais. Probabilmente si era ubriacato prima di sdraiarsi nella vasca, è andato in coma etilico annegandovi. Più credibile la versione che sia morto di overdose in un locale parigino e poi sia stato trasportato in casa per evitare pasticci a chi gli aveva fornito l’eroina, Jean de Breteuil, all’epoca fidanzato di Marianne Faithfull e pusher di molti altri artisti.
La sua scomparsa ha gettato nello sconforto il mondo del rock che aveva già perso Brian Jones nel 1969, poi Jimi Hendrix e Janis Joplin nel 1970. Tutti a ventisette anni e tutti con la J nel nome. E’ nata lì la leggenda del Club 27 (al quale poi si unirono Kurt Cobain nel 1994 e Amy Winehouse nel 2011) ma anche, viste le circostanze poco chiare e la fretta con cui si celebrarono i funerali, l’ipotesi che Jim e Pam, in realtà, avessero inscenato la morte per chiudere per sempre con l’ambiente musicale. Verità o leggenda che sia, sarebbe bello credere che da qualche parte Morrison sia ancora vivo, pacificato con se stesso e il mondo (ma senza Pamela, morta nel 1974 di overdose in circostanze chiarissime) e continui a scrivere le sue incredibili poesie. Principalmente, per se stesso.
Restano, appunto, quelle. Insieme ai testi straordinari della musica dei Doors, gruppo che non ha avuto paragoni e ha generato un’infinita serie di epigoni. Jim Morrison oggi è, come avrebbe voluto, un poeta americano riconosciuto, studiato e celebrato. Riposa nel cimitero di Pére Lachaise a Parigi (alle spalle di Montmartre) dove sono sepolti Oscar Wilde, Balzac, Chopin, Amedeo Modigliani, Maria Callas e sulla sua tomba, oggetto di continuo pellegrinaggio è scritto un verso in greco: “fedele ai suoi demoni”.
La sua opera resta fondamentale per capire alcuni aspetti di quel decennio controverso e meraviglioso, tra gioia e rivoluzione, smarrimento e furore, che sono stati gli anni Sessanta. Ma contiene anche tante anticipazioni su quello che sarebbe stato il futuro: “Non sai che siamo regolati dalla televisione?”, domandava ironico.
A Parigi, poco prima di morire, una notte Jim si chiuse in uno studio di registrazione con un fonico di fiducia, una bottiglia di whisky e una serie di appunti. Nacque una delle più incredibili session della storia del rock, quella An American Prayer che poi sarebbe diventata, nel 1978, un magnifico album postumo. Ritrovati quei nastri i Doors superstiti (senza di lui avevano inciso due dischi, Full Circle e Other Voices, con risultati disastrosi) cucirono addosso alle sue parole una musica calzante, tra latin-rock e jazz, blues e folk, intrecciando nuove composizioni e frammenti di brani famosi. Non potevano rendere un omaggio migliore al compagno e il disco, pur con le solite accuse di sciacallaggio, comuni al mondo musicale quando si tratta di artisti defunti, vendette pure bene. In commercio si trova anche la versione “pura” della session poetica pubblicata nel 1994, The Lost Paris Tapes (anche se gran parte delle registrazioni risalgono al 1969 a Los Angeles) in cui si può apprezzare ancora di più la forza delle parole senza la musica.
Se L.A. Woman era il testamento spirituale di Jim ancora in vita, questo album controverso, consigliatissimo per completare la discografia morrisoniana (ed autentica, indimenticabile esperienza sonora), lo consegna definitivamente all’immortalità poetica con un viaggio nel sogno americano che si trasmuta in incubo, tra stazioni militari nel deserto, assassini al bordo della strada, letteratura hard boiled, film mai realizzati e miti greci. Indispensabile per entrare nell’universo Morrison. E non uscirne.
«Sai quanto pallida lasciva e fremente
viene la morte a una strana ora
inattesa, imprevista
come uno spaventoso ospite più che amichevole che ti sei
portato a letto
La morte rende angeli tutti noi
e ci dà ali
dove avevamo spalle
lisce come artigli
di corvo
Basta denaro, basta agghindarsi
Questo regno sembra di gran lunga migliore
finché l’altra faccia rivela l’incesto
e la libera obbedienza a una legge vegetale
Non ci andrò
Preferisco una Festa di Amici
Alla Famiglia Gigante.»
(The Severed Garden, da An American Prayer)
ascolti
- The Doors (1966)
- Strange Days (1967)
- The Soft Parade (1968)
- Morrison Hotel (1970)
- Absolutely Live (1970)
- L.A. Woman (1971)
- Jim Morrison & The Doors – An American Prayer (1978)
- The Doors – Alive She Cried (1983)
parole
- Jim Morrison – The Lord and The New Creatures (1970)
- Jim Morrison – The Lost Paris Tapes (1994)
- Jerry Hopkins, Danny Sugerman – Nessuno uscirà vivo di qui (1980)
- Jerry Hopkins – Vita e parole del Re Lucertola, 1993
- Wallace Fowlie – Rimbaud e Jim Morrison, Il saggiatore 1994
- James Riordan, Jerry Prochnicky – Jim Morrison, l’autostrada alla fine della notte, 1998
- Tempesta elettrica. Poesie e scritti perduti, 2002
visioni
- Live at The Hollywood Bowl, film di Ray Manzarek (1987)
- The Doors, film di Oliver Stone (1991)
- When You’re Strange, film di Tom Di Cillo (2010)
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