John Lee Hooker, il maestro dalla voce nera che portò il blues dentro il rock and roll

John Lee Hooker è stato indubbiamente il bluesman che più ha influenzato non solo il rock, ma anche il suo immaginario. Specialista del talking blues e del boogie ostinato, spesso vestito di nero, occhiali scuri, l’immancabile cappellaccio calcato sulla testa, dotato di uno stile chitarristico inconfondibile, ha collaborato nella sua lunga carriera con gente come Van Morrison , Carlos Santana, Keith Richards e i Canned Heat, circondato da ampia stima. I Doors di Jim Morrison ripresero la sua Crawling King Snake per farne un blues lancinante, lui compare nel film Blues Brothers mentre sciorina il suo blues stradaiolo nel cuore di Chicago, Maxwell Street.

Hooker è stato autore prolifico e portabandiera del blues che, acustico nel Mississippi, trasformò in elettrico a Detroit, indubbiamente uno dei maestri che ha lasciato più tracce nel rock. Non a caso Jimmy Page e Robert Plant intitolarono Walking into Clarksdale (città che lega lui, Muddy Waters e Robert Johnson) il loro album blues del 1998

Nato a Tilliers, nei pressi di Clarksdale, Mississippi, nel 1917, era cugino di un altro bluesman, il più giovane Earl Hooker, maestro della slide guitar. Era l’ultimo di undici figli del mezzadro e pastore battista William e di Minnie Ramsey. In casa era permesso di ascoltare solo musica sacra e così il piccolo John si avvicinò presto agli spirituals. Poi i genitori divorziarono, la madre si risposò a Clarksdale e fu il patrigno William Moore che suonava saltuariamente con Charley Patton ad iniziarlo al blues dandogli lezioni di chitarra. In seguito Hooker ammetterà che il suo stile fu profondamente influenzato da quello di Moore (che veniva dalla Louisiana) basato su un unico, ripetitivo e ipnotico accordo. La casa del patrigno poi era frequentata da gente come Blind Lemon Jefferson e Blind Blake, che contribuirono alla formazione del giovane John.

Cominciò quindi a suonare nelle feste di paese finché, dopo una decina di anni a Cincinnati cantando in vari cori gospel, si trasferì, spinto dal bisogno, a Detroit per lavorare in una fabbrica di automobili e qui prese residenza fino al 1969. Frequentò spesso i locali di Hasting Street che era il cuore pulsante della musica blues in città e qui sviluppò il suo stile fatto di un canto roco e spesso parlato, grezzo ed elegante al contempo, caratterizzato da un riff boogie.

Il suo primo successo arrivò nel 1948 con Boogie Chillen, tuttora considerato uno dei maggiori standard blues, che metteva in vetrina questo stile. Anche se praticamente analfabeta, era un paroliere prolifico: i suoi testi affrontavano temi originali rispetto a quelli della tradizione. Era un innovatore. Gli studi di registrazione poi, pagavano poco i musicisti neri e lui, per guadagnare meglio, dovette puntare sulla quantità, proponendo sempre nuove variazioni e incidendo anche sotto il nome di John Lee Booker, John Cooker o Johnny Hooker. Uno stakanovista della sala.

Quello di Hooker era uno stile libero e improvvisato. Poteva andare avanti a lungo su un tema, riprendendolo e rielaborandolo. Le canzoni avevano spesso cambi di ritmo funzionali al loro andamento e alle variazioni di umore del brano o dell’interprete. Hooker non amava le sovraincisioni, ragione per cui molti pezzi del periodo sono caratterizzati da un battere ostinato sulla cassa della chitarra che faceva da accompagnamento. Il suo stile è vicino a quello del boogie pianistico, la sua voce profonda e nerissima crea un’atmosfera particolare rendendo vivi i testi che narra. Un esempio è Tupelo che poi fu ripresa da moltissimi artisti, racconto fedele di un’inondazione nella cittadina del Mississippi dove nacque Elvis Presley. O il dondolio ipnotico e sensuale di I’m in The Mood for Love.

Ma la consacrazione arrivò negli anni Sessanta, con la riscoperta del blues delle radici da parte di musicisti soprattutto britannici, il cosiddetto british blues. Nel 1963 andò in tournée nel Regno Unito, acclamato come un maestro riconosciuto e molti gruppi interpretarono le sue canzoni, soprattutto gli Animals con la loro versione di Boom Boom che divenne un hit nel 1964 e figura tuttora nel repertorio di Bruce Springsteen con la sua carica liberatoria.

Negli anni successivi, quando l’interesse per il blues stava declinando, continuò ad effettuare regolarmente tour e ad incidere dischi. Nel 1971 si unì ai discepoli Canned Heat per registrare l’album Hooker’n’Heat . John Lee ebbe una riscoperta notevole grazie alla partecipazione al film Blues Brothers (1980). Qui le riprese furono effettuate in diretta, grazie alle qualità improvvisative di Hooker (che all’epoca aveva 63 anni, ma ne dimostrava 90), senza il playback che solitamente si usa nel cinema. E la sua performance affascinò John Landis e l’intero set, rilanciando l’interesse per il blues dei padri.

Nel 1989 uscì il suo album The Healer, guidato dalla title track corroborata dalla chitarra di Carlos Santana. Il sound di Hooker si modernizza con l’apporto di musicisti come Keith Richards, Chester Thompson e Bonnie Raitt (che duetta con lui nella classica I’m in the Mood) ma mantiene la sua vena “nera” affascinante e tradizionale. Il disco andò benissimo e vinse un Grammy Award, nel periodo effettuò anche delle sessions live con Van Morrison che videro poi la luce nell’album dal vivo A Night in San Francisco del 1994.

Il successivo Mr.Lucky (1991) lo vedeva ancora al fianco di “allievi” illustri: era prodotto da Morrison, Santana e Ry Cooder, con Keith Richards alle chitarre, Booker T. Jones all’organo e Johnnie Johnson, pianista di Chuck Berry. Era un disco dal suono ancora più nitido e “rotondo” del precedente ma non ottenne lo stesso successo. Per parte della critica, era “essenzialmente un album tributo, con la maggioranza dei brani che non sembravano affatto di Hooker”.

Nel 1992 Boom Boom lo riportava nei solchi della tradizione, con la voce e chitarra inconfondibili e musicisti bravi anche se meno conosciuti. Si ritornava agli special guest in Chill Out (1995) ancora con Santana (che si portava i suoi Karl Perazzo e Raul Rekow alle percussioni), Morrison, Chester Thompson, Booker T. Di quell’anno è anche un dvd più ortodosso che lo vede in compagnia del leggendario cantante e chitarrista Furry Lewis (il Furry Sings the Blues di Joni Mitchell), con cui collaborò agli inizi. Poi ci furono due album dal vivo per voce e chitarra, dal titolo Alone in cui si rivelava tutta la maestria di Hooker, ma solo per veri appassionati.

Gli anni passavano e l’uomo che aveva traghettato il blues dentro il rock and roll doveva fare i conti, non solo con i mutati gusti del pubblico (avanzavano grunge e trip hop, metal e rap), ma anche con le sue condizioni di salute. Una grave malattia lo avrebbe portato alla morte, avvenuta il 21 giugno 2001 a Los Altos, California, a 83 anni, tra il cordoglio generale di fans illustri e meno.

Più di cento album, molti dei quali dal vivo, una traccia indelebile nel mondo del rock, John Lee Hooker resta il bluesman più amato, interpretato e riconosciuto in un ambiente spesso restio a riconoscere i propri maestri. E quando parte un suo disco, i solchi cominciano veramente a cantare, si sprigiona la magia senza tempo del blues, padre di quasi tutta la musica contemporanea.

ascolti

  • The Country Blues of John Lee Hooker (1959)
  • Hooker ‘n’Heat (1971)
  • The Healer (1989)
  • Boom Boom (1992)
  • Alone: the first concert (1996)
  • Alone: the second concert (1997)

visioni

  • The Blues Brothers, film di John Landis (1980)
  • John Lee Hooker & Furry Lewis, dvd (1995)
  • Rare performances, 1960-1984, dvd (2002)
  • Bits and pieces about…, dvd (2006)

parole

  • Charles Shaar Murray – Boogie Man (2002)

Ti potrebbe interessare