Nel teatro più piccolo del mondo, a Scilironi di Spriana (Sondrio), ai piedi delle Alpi Retiche, esplode la ”Dirupata poesia” di Alda Merini. Con tutta la sua violenza verbale che è soprattutto ribellione, gioia di vivere, combattività. Due attrici in un baitello ristrutturato, in una contrada di montagna arrampicata sulle alture poco sopra la cittadina, all’inizio della Valmalenco. Numero chiuso: si entra – e non potrebbe essere diversamente – in diciotto e questo favorisce il contatto fra attrici e pubblico.
Stretti stretti, non nell’estasi d’amor, come dice la canzone, ma nella poesia cruda e vitale di una donna confinata in manicomio per una depressione, che nella poesia creata trova un’ancora di salvezza dalla follia quotidiana. Gigliola Amonini, regista e attrice e Consuelo Orsingher, cantante e attrice, sono le due facce della donna, le diverse entità che convivono in una sola. Avviluppate di spalle al pubblico nei teli che simulano la camicia di forza, ma anche l’oppressione del mondo, se ne liberano gradualmente rivelando abiti ricchi di femminilità, dopo che Gigliola, con voce roca di anziana, ha raccontato la triste storia di Alda. “Non avevo idea che, quando sono venuti a prendermi con l’ambulanza, mi avrebbero portato in un manicomio. E qui, sporcizia, umori, pianti, gente disperata che diventa più folle di quando era entrata”.
Ma lei si è salvata, con la poesia. Che è stata l’appiglio a cui aggrapparsi nei momenti più duri, una bellezza che sopravvive alla bruttezza. Consuelo canta, dolcemente e swing, blues e melodica, Chick Corea e Cole Porter, rappresenta un’anima che si libera attraverso l’arte, si accompagna con una gestualità misurata senza enfasi. Gigliola è voce dura, graffiante, ma che si stempera gradualmente nella contemplazione del bello, alternando sussurri e grida. Le due attrici si toccano, si accarezzano, si abbracciano, si trasmettono conforto l’una con l’altra dentro la prigione dell’anima, l’io sdoppiato che dialoga. Distribuiscono libri al pubblico, perché possa salvarsi, capire. Dopo l’invito a vivere nonostante tutto che termina in un applauso scrosciante, dedicano lo spettacolo alle donne, sempre più oggetto di violenze, maltrattamenti, tragedie private che sono sotto gli occhi di tutti. “Viva le donne, vive le donne”.
Diciotto persone alla volta entrano nel dramma della Merini, si emozionano, si commuovono e ne escono, forse, cambiate. La magia del teatro, la dirupata poesia, nel più piccolo teatro del mondo, nel cuore delle Alpi risveglia e interroga il cuore degli spettatori. Saggiamente restaurata dal Comune guidato da Ivo Del Maffeo, la piccola costruzione edificata sopra una roccia resiste al tempo che scorre inesorabile, ospita attività artistiche (la prossima a settembre, ancora teatro), crea un’attrattiva per il micropaese che scende lentamente a valle, dagli anni Settanta, perché nessuno ha tempo, voglia, denaro per prendersene cura. Forse l’arte potrà contribuire a frenare questo inevitabile ed inesorabile smottamento.