Saba Anglana al Museo Internazionale della Musica di Bologna per la rassegna s(Nodi) in una performance di assoluto livello, chiamata “La mia geografia”. La cantante e attrice italo-somala usa la lingua di Dante, insieme al fine pianismo di Fabio Barovero (fondatore dei Mau Mau) venato di elettronica soffusa per trasportarci in un mondo di migrazioni, coordinate emozionali più che geografiche, la sua vita sospesa tra due continenti e un linguaggio universale come la musica, anche quando canta in somalo mescolando frasi in francese, inglese ed italiano.
Storia non di paralleli e meridiani ma, appunto, di emozioni. Quelle che Saba suscita quando parla della sua infanzia troncata a metà, costretta a scappare da Mogadiscio sotto la dittatura di Siad Barre. “Avete presente quello che succede quando vi dicono avete 48 ore per fare fagotto e andarvene, portare via tutto quello che resta?”. La platea si identifica nel dramma e ascolta con attenzione le storie dell’artista. Che usa la voce in modo incredibile per cantare quello che ha appena narrato, usando la lingua degli avi, il somalo, recuperando la tradizione ancestrale in un contesto moderno. Quando Barovero accenna note blues è quasi un soul africano, una musica che pulsa al ritmo del cuore stesso.
Saba Anglana canta e parla. La sua voce dall’estensione incredibile si inerpica su vette altissime, simula il grido degli uccelli (si ha quasi l’impressione di vederli volare) è vento impazzito e dolce carezza. Lei si muove assecondando il canto, che diventa spesso una sorta di preghiera. Quando ricorda la figura della nonna, nata etiope e rapita da un ascaro somalo che si era invaghito di lei e la portò a Mogadiscio per farne la sua sposa. E del nonno anche lui etiope, fatto prigioniero dagli italiani in guerra che si rifiutava di mangiare i loro spaghetti “perché gli ricordavano dei serpenti o, peggio ancora dei vermi”.
La nonna che ad un certo punto della sua vita si rifiutò di camminare e venne salvata da un misterioso guaritore con le radici portate dal suo paese, in una cerimonia rituale che viene prima narrata e poi cantata. Evoca, il canto di Saba. “I miei nonni erano qui con me, con voi, li ho sentiti”
E’ un canto che sa di sabbia e deserto, tuono e vento. Potente e delicato, raggiunge vette impossibili quando Saba tiene una nota per parecchi secondi e si pensa che dopo questo sforzo debba accasciarsi a terra.
Invece, eccola lì, fresca come una rosa a riprendere il suo racconto, Saba Anglana. Eccola lì, tra gli applausi scroscianti che sottolineano la bravura dell’artista, ma anche la sua capacità di coinvolgimento, da cantastorie che affascina, diverte e commuove il pubblico. Barovero tesse intorno a lei melodie ed armonie, usando l’elettronica con juicio, estraendo sonorità che chiamiamo “etniche” e invece sono patrimonio di tutti, almeno di quelli che sanno ascoltare. Perché, come dice lei “La vita ci mescola. E può essere una sorpresa continua”.
Saba Anglana canta della forza, del valore, dell’acqua che è vita, in Biyo (singolare assonanza con il greco biòs), intonata insieme ad un pubblico intonato, che dava il titolo ad un suo album del 2010, prodotto e arrangiato da Barovero. Canta della saggezza e della bellezza degli animali “Anche il più giovane degli uomini ha stanchezze millenarie dietro agli occhi, mentre il più vecchio degli animali ha nello sguardo la freschezza di un bambino”. Canta del suo ritorno a Mogadiscio, da adulta, dell’essere considerata “straniera” e perfino “bianca”, del suo spaesamento in Yet nou (Dove?). Canta delle popolazioni del deserto che non hanno bisogno di stelle per orientarsi nella notte più buia perché “sono loro stesse geografia”.
Canta, meravigliosamente bene. Non si può non rimanere ammaliati dalla voce intensa di Saba, che riprende il passato per trasformarlo, renderlo materia vivente per capire l’oggi e forse il domani.
Meritevole iniziativa quella di (s)Nodi che porta a Bologna, in un gioiellino come la sala eventi del Museo della Musica, i suoni del mondo, contribuendo ad abbattere frontiere con il linguaggio comune della musica, sfondando inutili barriere con la forza della conoscenza.