Mark Lanegan, stravizi e tormenti di un poeta ribelle che abbracciò l’inferno

L’inferno è un concetto che ci rimanda istintivamente alla dimensione religiosa dell’aldilà. Eppure l’inferno qualche volta ci cammina accanto e in un attimo può bruciare tutto ciò che abbiamo.
Mark Lanegan ha vissuto all’inferno e con incredibile forza e coraggio ce lo ha testimoniato con la sua musica e i suoi libri.

Lanegan nasce il 25 novembre del 1964 a Ellensburg, un piccolo paese dello stato di Washington. Odiava il suo nome e preferiva essere chiamato Lanegan. I suoi genitori erano entrambi insegnanti e lui fin da bambino mise in mostra la sua natura ribelle. Il rapporto con la madre fu particolarmente tormentato e segnò profondamente la sua psiche, innaffiandola di rabbia, rancore e una scarsa stima di sé che camuffava con un atteggiamento da duro. Più veniva schernito e punito, più si spingeva verso comportamenti al limite dell’illecito. A dodici anni aveva già un serio problema di alcolismo e a diciotto usava droghe pesanti. Fin dall’adolescenza aveva avuto problemi con le forze dell’ordine, perché si dilettava in piccoli furti e truffe. 

“L’accanimento per la truffa mi riempiva ogni giornata, ogni gesto, ogni pensiero. Era la prima cosa alla quale pensavo al risveglio e l’ultima prima di dormire. Mi rese un personaggio impopolare tra gli altri studenti, che erano stufi della mia aggressività e della smania di impossessarmi dei loro soldi. Non che mi sia mai importato quanti soldi avessi. Mi sentivo vivo solo quando m’ingegnavo a procurarmeli e nel momento stesso in cui succedeva”. Quando i genitori divorziarono, andò a vivere con il padre che aveva nei suoi confronti un atteggiamento più benevolo e di minore controllo. Questo non gli impedì di stare lontano dai guai. Non perdeva occasione per azzuffarsi, per imbrogliare, rubacchiare e sbronzarsi. Alle superiori giocava a basball e football. Abbandonò il football per le risse e i contrasti con i compagni di squadra, da  parte dei quali non accettava gli stupidi scherzi e che spesso picchiava atrocemente. 

Sempre nel periodo delle superiori ebbe un tremendo incidente d’auto insieme ad un suo amico. 
“Io fui catapultato fuori dalla Jeep, atterrando violentemente sull’asfalto. Quando provai a scostarmi i capelli dalla faccia, mi rimasero in mano. Ero parzialmente scalpato, con un lato della faccia ridotto a brandelli. Il mio amico, che era alla guida, perse un pollice”. In seguito all’incidente rischiò di finire in galera, ma gli fu condonata la pena con l’obbligo di frequentare un centro di riabilitazione per risolvere la sua dipendenza. Aveva solo diciotto anni. 

Il baseball sembrò ridargli speranza, perché non solo riusciva bene in quello sport ma gli destava un certo entusiasmo. Aveva abbandonato l’alcool, ma non era riuscito a fare altrettanto con le droghe. “Continuai a vendere e usare marijuana e acidi quotidianamente. Quasi ogni mattina, mangiavo un quartino di acido, mi facevo un paio di tiri di canna, saltavo in macchina e andavo a scuola”. Un’insufficienza in economia domestica ostacolò la sua partecipazione alle attività sportive, col risultato che Lanegan mollò tutto per riaffondare nel suo male. Persa la speranza, si lasciò andare all’alcol.

Lanegan era capace di bere fino a dimenticare chi fosse. Non era assolutamente un incosciente e provò più volte a riabilitarsi, affrontando coraggiosamente le conseguenze dell’astinenza forzata. “Mi chiamavano l’ubriacone del paese prima ancora che avessi l’età legale per bere”. Tutta la sua vita è stata caratterizzata da questo amore e odio per la propria dipendenza da alcol e droghe, qualcosa che coccolava e cercava illusoriamente di controllare, ma che nel tempo lo ha consumato nel fisico. 

La prima volta che incontrò Van Conner erano dei ragazzini. Van gli offrì di lavorare per la ditta di suo padre, che affittava videocassette e vendeva elettrodomestici a rate. Mark aveva l’oneroso compito di riscuotere le insolvenze. Con il suo metro e novanta, lo sguardo minaccioso e l’aggressività che sprizzava da ogni poro, accettò ben volentieri. Van gli fece conoscere suo fratello Lee, che suonava la chitarra. Quasi per gioco lui e Lee scrissero una canzone e da lì a breve decisero di mettere in piedi una vera band. Probabilmente i fratelli Conner ci credevano più di Lanegan, che si lasciò semplicemente trascinare. Si diedero un nome, Screaming Trees, copiandolo da un vecchio pedale per chitarra della Electro-Harmonix e andarono avanti. 

Nonostante la sua tendenza a spingersi verso gli inferi degli abusi in una maniera che lascerebbe molti di noi sconvolti, Lanegan si dimostrò fin dal principio un musicista e un poeta molto serio. Consapevole dei propri limiti fino allo svilimento, aveva un rispetto profondo per la buona musica e finiva per non credere abbastanza nelle proprie qualità. Si lasciò comunque andare all’esperienza della band, ritenendola la sua unica speranza per abbandonare il suo paese per una grande città. “Desideravo eccitazione, avventura, degrado, depravazione, tutto… e non avrei trovato niente di simile in questo polveroso e isolato paesino di vaccari. Se la band mi avesse tirato fuori da qui, se mi avesse donato la vita che tanto desideravo, sarei stato disposto a sopportare ogni tipo di oltraggio, ogni difficoltà, ogni tortura”.

Capì fin da subito che non sarebbero state rose e fiori. Il rapporto con fratelli Conner era difficile, in particolare con Lee che tendeva a monopolizzare le scelte musicali e ostacolava tremendamente la sua creatività. Nel 1986 uscì il loro primo album Clairvoyance e partirono in tour prima come band di appoggio e poi per qualunque piccolo bar o locale fosse disposto a pagare. I soldi erano pochi e spesso bastavano a malapena per la benzina e una stanza d’albergo da condividere. Ma viaggiare confermò a Lanegan il bisogno di evadere dalla sua cittadina. Al rientro dal tour, la sua dipendenza dall’alcol peggiorò notevolmente e l’insoddisfazione che covava gli fece ponderare l’idea di abbandonare il gruppo. Fu proprio la reazione violenta ed esagitata di Lee a fargli cambiare idea, ma questo non ostacolò la sua insofferenza.

I primi album degli Screeming Trees non sono certo di quelli che lasciano il segno e Lanegan, che aveva buon gusto ed un incredibile intuito musicale, ne era fin troppo consapevole. “La band era il mio biglietto per uscire dalla vita senza meta che conducevo in quel posto, il mio unico biglietto. Solo per questo ho sopportato le costanti storie di merda dei Conner, i testi mielosi, l’insulto autoimposto del cantare pezzi scritti in una tonalità così distante dalle mie ottave che suonarli dal vivo mi provocava un quotidiano mal di testa”. 

Una via di fuga gli fu offerta da Bruce Pavitt della Sub Pop, quando nel 1990 gli fece incidere il suo primo album solista per la sua etichetta che, seppur indipendente, si gloriava di aver dato i natali artistici alla maggior parte delle stelle di Seattle. The Winding Sheet non è solo un bel disco, ma il primo vero assaggio di quello che Lanegan voleva fare con la musica. Ugly Sunday racchiude il suo glaciale e freddo strazio: non c’è speranza per quelli come lui e non si affanna nemmeno a cercarla. “Oggi dietro la loro finestra la gente guarda. Non riesco a riconoscere la gentilezza lì. Solo preghiere per le navi che annegano in mare. Nessuno per me. E tu.. ci vorrà una forte pioggia per lavare via il tuo gusto. Vorrei comunque che ci fosse ancora un motivo per restare”. Nell’album c’è anche la cover di Where Did You Sleep Last Night in cui Kurt Cobain suona la chitarra e Krist Novoselic il basso. Gli stessi Nirvana ne avrebbero fatto una loro versione qualche mese dopo. Kurt duetta anche in Down in the Dark, uno dei brani forse più vicini al cosiddetto Seattle’s sound.

Nel 1991 di nuovo insieme agli Screaming Trees pubblica Uncle Anesthesia, la cui produzione viene affidata a Chris Cornell, il carismatico leader dei Soundgarden. Le bizzarrie di Cornell incuriosivano Lanegan, che non ebbe grossi problemi a legare con lui. “Un giorno avevo un raffreddore terribile e Chris insistette per leccarmi il bulbo oculare e testare così la sua neo-inventata teoria di trasmissione dei virus. Ovviamente ero lusingato di prender parte all’esperimento. Chris non si ammalò. Non ricordo se questo provasse o confutasse la sua teoria, ma si rivelò un metodo efficace per farmi ridere”. L’album è pregevole e le melodie rotonde sono accompagnate da chitarre altisonanti e rullanti alla batteria in un mix molto più vicino alle sonorità del periodo. Bed of Roses è una ballata rock amara in cui la voce cupa di Lanegan è una carezza ruvida che ti stringe allo stomaco e ti riempie gli occhi di lacrime.

L’anno successivo è quello di Sweet Oblivion, l’album di maggior successo della band. Il singolo Nearly Lost You entra a far parte della colonna sonora di Singles’, l’amore è un gioco, film che con il passare degli anni è diventato un manifesto della cultura grunge. Non che a Lanegan interessasse l’affare, così come racconta nella sua autobiografia, al punto che non se ne curò abbastanza e non ricevettero compensi come le altre band. “La colonna sonora di un film che, a detta dei miei amici, risultava mieloso, un patetico e sdolcinato film del cazzo”. L’album andò bene, ma non sfondò lasciando Lanegan sempre in quelle retrovie del successo che amava e detestava al tempo stesso.

Nonostante fosse così produttivo, rimaneva divorato dalla tossicodipendenza ed era quella la sua preoccupazione principale. Dilapidava le sue risorse economiche in droghe e non disdegnava di spacciare stupefacenti per andare avanti con una gestione dell’attività da vero pusher navigato.
Per disintossicarsi dall’alcol, si era avviato più o meno consapevolmente alla dipendenza da eroina.
E quando abusava di qualcosa lo faceva a livelli inimmaginabili, come solo i suoi amici Kurt Cobain e Layne Staley riuscivano ad eguagliare. Quando in piena pandemia contrasse il Covid le sue vene erano così rovinate che in ospedale gli proposero un prelievo arterioso per gli esami, cosa che lui rifiutò. “Ci avevo accidentalmente sparato eroina una volta e il ricordo di quella triste esperienza non l’avevo mai dimenticato”. Non autorizzò alcun prelievo, consapevole del rischio che correva. Aveva affrontato la morte così tante volte da vicino che non la temeva, anche se a modo suo la rifuggiva.

La perdita dei suoi amici Kurt e Layne fu devastante. Provava tremendi sensi di colpa nei confronti di entrambi: li aveva amati e aveva condiviso con loro l’amore per la musica, per il divertimento spicciolo e la stessa tossicodipendenza. Si rimproverava per aver rifiutato l’ultimo invito di Kurt a trascorrere del tempo insieme, solo per evitare che sua moglie Courtney Love lo tirasse in mezzo al quel loro ménage fatto di provocazioni e litigi. Con Layne si scambiava regolarmente l’ago con cui si bucavano. “Usammo quello stesso ago tanto spesso da renderlo così arrotondato che iniziammo a temperarlo sulla superficie ruvida degli scatoli di fiammiferi prima di ogni utilizzo, come un coltello arcaico su una cote”. La morte di Staley in particolare segnò un vuoto profondo nella sua vita che non sarebbe più riuscito a riempire. 

Nel 1994 pubblicò il suo secondo album da solista, Whiskey for the Holy Ghost. Aveva accumulato abbastanza esperienza per sapere come dare forma ai suoni che accompagnassero le sue poesie.
È un lavoro denso di emozioni primitive capaci di torcerti lo stomaco e accarezzarti il cuore.

È tremendamente difficile a distanza di anni e soprattutto adesso che lui non c’è più, ascoltare quelle canzoni senza provare un magone pazzesco. El Sol è una ballata straziante in cui emerge quell’inferno sulla terra che attraversava quotidianamente. “Il sole è tramontato, e questo è tutto quello che so davvero. Nessun angelo nel cielo. Con cuori buoni come l’oro. Più stai vicino ai cancelli. Più i cancelli sono chiusi. Questi giorni bui fanno venire la fame e la sete a qualcuno. I beati illuminano il sole. Lui sta proiettando ombre sulla terra. L’ombra che trovi al cancello. E tutti i cancelli sono chiusi”. Il mondo di Lanegan si divide fra vivi e morti, fra chi nuota e chi è destinato ad affogare. Ed è un mondo più vero per coloro che soffrono, ma anche privo di speranza alcuna. 

Nel 1996, quando ormai l’ondata del grunge si spegnava, pubblicò l’ultimo album insieme agli Screaming Trees, Dust. Spicca All I Know, ballata acida che rispecchia in pieno il periodo di tremenda crisi che Lanegan affrontava. Il desiderio di evasione da una realtà che lo aveva sempre tradito e che adesso lo soffocava è tutto racchiuso in quel verso “got to get away”, pronunciato a voce bassa e a ripetizione, quasi fosse un’imprecazione. Gli Screaming Trees erano finiti.

Nel 1995 si unì all’amico Layne Staley e Mike McCready per il loro progetto Mad Season e contribuì direttamente in Long Gone Day e I’m Above. Era un po’ frustrante per lui confrontarsi con McCready, considerato il fatto che lui alla fine si era definitivamente disintossicato e non c’era più ricaduto. C’era però molto cameratismo fra di loro e Mike, in uno dei suoi tentativi di uscirne cercò anche di aiutarlo. “Mike McCready col quale ero andato a un paio di incontri dei Dodici Passi a Los Angeles e che suonava delle parti di chitarra nell’album in lavorazione dei Trees, si offrì di mandare una squadra di pulizia a bonificare l’appartamento di Seattle da ogni droga e utensile residuo” raccontava nella sua autobiografia, aggiungendo di aver declinato l’invito ed essere rimasto lontano dalla sua casa per un periodo pur di restare sobrio. Di lì a poco avrebbe ricominciato comunque a bucarsi.

Nel 1998 Lanegan pubblica Scraps at Midnight. Sembra quasi una dedica alla sua musica preferita che spazia da Leonard Cohen a Nick Drake, con quelle nenie strazianti e dolcissime e la sua voce calda e roca che spezza il cuore. Lost One in the World è il più struggente degli addii ed è davvero difficile ascoltarlo senza provare un senso di infinita commozione. La morte gli avrebbe ancora camminato accanto, Lanegan lo sapeva. E quella consapevolezza è così trasparente da creare  un senso di annichilimento spaventoso.

Nel 1999 pubblica I’ll Take Care If You, un album che doveva contenere le b-sides del precedente lavoro e che si riempie anche di cover pregevoli. Come il blues di Brook Benton che dà il nome all’album, in cui è possibile apprezzare le sue incredibili doti vocali ed interpretative. Nel 2001 esce il suo quinto album Field Songs con la collaborazione di Duff McKeagan e Ben Shepard. L’avvalersi di preziosi contributi continua con l’album successivo, Bubblegum, che vede la collaborazione di artisti come P. J. Harvey, Greg Dulli degli Afghan Whigs e dell’amico Josh Homme, presente anche nell’album successivo Blues Funeral

È l’inizio di una collaborazione ancor più importante, quella con la nuova band di Homme, i Queen of the Stone Age. Nel 2002 Lanegan lavora con loro ad alcune tracce di Songs of Death, come Hanging Tree o il brano omonimo. E poi c’è la provocazione pura e cattiva di God Is On the Radio con il suo riff metallico e pesante. “Dicono che il diavolo è paranoico. Sempre a correre sotto copertura. Ma Dio fuoriesce attraverso lo stereo tra stazione e stazione. Tu ci credi, so che lo fai. Non lo ammetterai o lo dirai. So che Dio è alla radio che ripete solo uno slogan”. Collabora ancora con con Josh e la sua band sia prestando la voce che scrivendo insieme in Fairweather Friends nel 2013. 

Fra le collaborazioni più memorabili della carriera di Lanegan c’è anche quella con Isobel Campbell dei Belle & Sebastian. Nel primo album Ballad of the Broken Seas, quasi tutte le tracce sono scritte da Isobel che aveva per Lanegan una vera venerazione. Spicca fra tutte la cover pregevole di Ramblin’ Man di Hank Williams, che conserva il suo carattere country intingendosi di atmosfere magiche ed alternative. Isobel riuscì a convincere Lanegan a cantare le sue canzoni in altri due album, Sunday at Devil e Hawk. Come on Over (turn me on) è un duetto straordinariamente sensuale in cui le loro voci accendono con voluttuosità il turbine dell’attrazione.

Nel 2007 Lanegan apre la collaborazione ai Soulsavers di Rich Machin e Ian Glover. Il contributo è vocale e compositivo su otto delle dieci tracce dell’album It’s not how Far You Fall, It’s The Way Land. C’è la riedizione di Kingdom of Rain, brano contenuto nel suo secondo album solista, una straziante canzone di amore. “Sono quegli aloni nei tuoi capelli? O diamanti che brillano lì? Senza speranza e senza una preghiera. Questa pioggia batte come la morte. Gira i tuoi occhi verso uomini migliori. Prima di andare ho appeso una croce a un chiodo. Ne ho appeso uno per te lì dentro”. C’è anche Through my Sails, pregevole cover di uno dei miti assoluti di Lanegan, Neil Young, decisamente più cupa e malinconica dell’originale.

Nel 2013 collabora con il polistrumemtista Duke Garwood per un album di alternative rock, Black Pudding. E nello stesso anno pubblica la seconda raccolta di cover, Imitations. Nel 2018 replica la collaborazione con Garwood per l’album With Animal. Save me, il brano che apre, sembra quasi un’invocazione in chiave synth-pop. “Liberami, salvami, guardami, amami” è il ritornello che stacca sullo sfondo di atmosfere elettroniche in una preghiera dal sapore tribale.

Nel 2020 arriva l’ultimo album, Straight Songs if Sorrow. È l’album dei rimpianti, permeato dal malinconico sentimento dell’assenza e del rimorso. La voce intensa e roca di Lanegan è accompagnata ancora una volta da arrangiamenti elettronici oppure, nella sua più consueta tradizione, dalla sola chitarra come nella ballata Apples From a Tree. È come se non ci fosse più tempo per l’amore, come se tutto fosse ormai perduto. 

Quando Lanegan contrae il covid e viene ricoverato, mette in conto la possibilità di non farcela. Non è un paziente collaborativo, ma supera la fase critica e si riprende al punto che scrive e pubblica nel 2021 un memoriale di quel periodo, A devil in coma. Solo un anno prima aveva fatto uscire la sua incredibile autobiografia Sing Backwards and Weep: A Memoir, in cui con eccezionale coraggio era riuscito a raccontarsi, mettendo a nudo la parte peggiore di sè. 

Il 22 febbraio del 2022, a soli 57 anni, Lanegan se n’è andato, lasciando un vuoto incolmabile.
La notizia ci ha lasciato basiti, perché uno che era sopravvissuto agli stravizi come aveva fatto lui appariva ai nostri occhi circondato da un alone di immortalità. Il covid aveva di sicuro debilitato il suo fisico, che per quanto possente, era comunque fiaccato da anni di tossicodipendenza e alcolismo.

Ci manca la sua voce, il suo caratteraccio e quel coraggio che aveva nell’affrontare la vita a muso duro. Lanegan aveva un animo a dir poco complicato: era rabbia e dolore, generosità e cattiveria, purezza e lerciume. Ed era un genio assoluto, un fuoriclasse dalla voce ruvida e straziata come il suo cuore calpestato. Viveva un tormento che lo spingeva verso la parte più buia del suo essere.

“L’unico modo in cui sapevo reagire quando mi sentivo attaccato (e all’epoca consideravo quasi tutto un attacco) era rispondere attaccando ancora più forte. Il livello di ostilità della mia offensiva dipendeva direttamente dal livello di paura. Paura di esser scoperto, paura di dover dire la verità, paura di venire accusato di essere il bugiardo imbroglione che ero. Ma quel che mi perseguitava di più era la paura di mostrare il mio vero cuore, a volte talmente pieno da poter scoppiare e altre così vuoto che mi veniva da piangere”, scriveva nel suo memoir.

Lanegan ha bruciato sé stesso immolandosi all’altare di un dolore che ha reso grande la sua musica, ma lo ha consumato nel fisico sottraendolo alla vita precocemente. Ci restano le sue poesie e la sua incredibile abilità narrativa, ma soprattutto quella voce unica e insostituibile che, attraverso le sue canzoni, ha scavato come pochi nella profondità dell’animo umano. 

ascolti

  • Mark Lanegan – The Winding Sheet (1990)
  • Screeming Trees – Uncle Anesthesia (1991)
  • Screaming Trees – Sweet Oblivion (1992)
  • Mark Lanegan – Whiskey for the Holy Ghost (1994)
  • Mad Season – Above (1995)
  • Screaming Trees – Dust (1996)
  • Mark Lanegan – Scraps at Midnight (1998)
  • Queen oh the Stone Age – Sonds for the Deaf (2002)
  • Isobel Campbell & Mark Lanegan – Sunday at Devil Dirt (2008)

parole

  • Sing backward and weep: a Memoir – Mark Lanegan (White Rabbit, 2020)
  • A devil in coma – Mark Lanegan (White Rabbit, 2021)

visioni

  • Singles, l’amore è un gioco- regia di Cameron Crowe, 1992

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