Il 13 giugno 1995 usciva Jagged Little Pill di Alanis Morissette, un album che, nonostante abbia rappresentato pienamente una generazione specifica (gli anni Novanta), è riuscito a rispecchiare il sentire delle successive, senza perdere lo smalto, sia sul piano dei testi che della composizione sonora. Questi elementi sono stati portatori di infiniti spunti, non a caso prontamente predati da schiere di figli (come anche di figli dei figli) artistici. Il presente invito all’ascolto tenta, forte della passione di cui è infuso, di gettare luce su un lavoro tanto celebrato da alcuni quanto sminuito da altri.
Per il titolo la Morissette sceglie un’espressione curiosa, rispettando una sua vena personale e solo apparentemente naif: Jagged Little Pill (“pillolina frastagliata”). L’opera viene distribuita dalla Maverick Records, casa discografica multimediale fondata da Madonna. È il 13 giugno, il tempo atmosferico è buono su Los Angeles. Deve essere per forza buono. Un album senza tempo trova il suo spazio prima nei magazzini e nei negozi, poi nelle case in giro per gli Stati Uniti e oltre.
Se i lavori precedenti, l’omonimo Alanis e Now Is the Time, erano ciascuno di quaranta minuti, Jagged Little Pill ne dura quasi sessanta. Apparentemente molta, troppa carne al fuoco, tanto che un orecchio smaliziato potrebbe supporre una ridotta capacità di selezionare. In realtà, ascoltando il materiale, si realizza che ogni parte del tutto è importante, essenziale, integrante. Inoltre, la brevità di ciò che era stato stampato in tempi anteriori – pur non di molto – si accompagnava a una maturazione espressiva ancora non avvenuta, a una ridotta ispirazione, il che cozza con la mole, solo apparentemente strabordante, di creatività presente in Jagged Little Pill.
Il CD editato nel giugno ’95 è formato da tredici brani, dodici dei quali dichiarati nella tracklist, più una traccia nascosta, “fantasma”, ma il corpus da cui si prendono le mosse è di almeno venti pezzi, frutto del sodalizio di due menti in stato di grazia – quelle di Alanis Morissette e di Glen Ballard, produttore e polistrumentista – dunque la selezione viene fatta eccome. Fosse stato un doppio album, Jagged Little Pill non avrebbe certo perso in fascino e in qualità, lo dimostra l’edizione per il ventennale, diffusa in doppio CD nel 2015, e che riporta ogni ben di dio per la gioia dei completisti e degli aficionados dell’artista. Ciò che finisce sul Jagged Little Pill originale, però, non fa rimpiangere le demo lasciate da parte.
L’album si apre con All I Really Want, brano che già a partire dal titolo, dall’armonica spumeggiante e da alcuni versi del testo, riecheggia il Bob Dylan dell’incipit di Another Side of Bob Dylan (agosto 1964), quarta fatica del cantautore per eccellenza. La giovane Alanis Morissette non ha risposte, al contrario ha molte domande, e le sciorina con precisione e verve unica in una serie di interrogativi rivolti a sé stessa e al mondo. “Do I stress you out?”, “Do I wear you out?”, “And what I wouldn’t give to find a soul mate?” e “And what I wouldn’t give to meet a kindred?” sono tutte questioni che partono dalla prima persona singolare soggetto, ma l’oggetto potrebbe essere lo stesso: emittente e destinatario la stessa persona – lei.
La voce multiforme, quasi schizofrenica, rende un suggestivo e ammirevole psicodramma emozionale, spedito verso l’alto con grande forza propulsiva, come un razzo irreversibile, ed è una chiara dichiarazione di intenti. La canzone non gode di un vero e proprio ritornello, quanto piuttosto di un inciso che si modifica volta per volta, in cui la cantante dichiara “l’unica cosa che vuole davvero”, ossia, in definitiva, “pazienza”, “un rimedio all’esplosione di rabbia”, “redenzione”. Si paragona, a un certo punto, a Estella, personaggio di Grandi speranze (1861) di Charles Dickens, ma si stanca presto e quindi prorompe con un “Basta parlare di me! Parliamo di te ora!”, e il pezzo, già incalzante, lo si fa ancora di più.
Per tutta la durata della composizione (e di alcune altre presenti in lista), gli strumenti che si ascoltano sono suonati da Morissette e Ballard e nessun altro. All I Really Want è battesimo, comunione, cresima e matrimonio in una sola funzione. Alanis è pronta a raccontare la sua storia, Jagged Little Pill è pronto a raccontare della sua autrice.
L’album riscontra un successo immediato e, questione di pochi anni, diventerà uno dei più grandi bestseller di sempre, superando i lavori iconici di ben più consolidate star, grazie all’affiatamento di tutti coloro che hanno contribuito al progetto – non solo Ballard, ma anche i diversi ospiti in studio, su tutti due stelle del rock californiano, Dave Navarro (chitarra) e Flea (basso).
I singoli estratti dal disco, oltre a All I Really Want, sono l’esplosiva You Oughta Know, che concilia grunge, canzone d’autore, melodia pop e un tocco di psichedelia, e nel bridge sviluppa un rapping incattivito da filastrocca malsana; Hand in My Pocket, gioiellino folk con ritmica trip hop e chitarra sempre sul solco grunge; l’iconica Ironic, in cui la cantante folleggia consapevolmente con la voce, passando dal sussurro all’acuto isterico, da una vertigine in scat a un rinnovato sussurro; You Learn, altra gemma folk contesa tra trip hop e grunge, con una linea di basso marcata e un ritornello da anthem esistenziale, lezione sul come si dovrebbe prendere il bene e il male di ogni cosa; Head Over Feet, dichiarazione d’amore tra filìa ed éros, non senza connotazioni beffarde.
Se Jagged Little Pill fosse stato solo i suoi singoli, avrebbe rappresentato un degno spaccato degli anni Novanta, un cult e nulla più, un capolavoro di genere da confezionare come EP. Invece, per il beneficio dell’umanità, sono presenti altrettante canzoni, non concepite come hit, che vanno ad approfondire lo spleen e l’ideale della cantautrice, ed elevano l’album a capolavoro assoluto, trascendente il rock alternativo. I momenti migliori del disco, i non-plus-ultra, rischierebbero, sulla carta, di passare sotto traccia, ma in realtà sono delle garanzie e si stampano nell’immaginario collettivo, perché hanno da soli la forza per imporsi, e sono quanto di meglio l’artista abbia saputo veicolare attraverso lo strumento voce. Si tratta di Forgiven e della ghost track Your House, che chiude le cerimonie.
La prima delle due troverà facilmente la sua dimensione in veste live, con l’energia originale, il dolore, il dramma intatti, e semmai arricchiti. Vi si parla di un’educazione cristiana, dei prematuri rapporti con l’altro sesso, non idilliaci, perché da configurare come violenza, di cui ci si rende conto solo molto dopo, perché nel momento in cui questa avviene si è troppo giovani e ingenui per coglierla; vi si parla di preti invidiosi, di colpa, espiazione, perdono (come da titolo), sia cristologico sia umano, di manipolazione. “We all had a reason to be there/We all had a thing or two to learn/We all needed something to cling to/So we did” rappresenta l’urlo disperato di una generazione di ragazzi, e parla direttamente ad entrambi i sessi.
Insieme a You Oughta Know, Forgiven si presenta come il brano più violento del disco a livello di arrangiamenti, di testo e di strumentazione, qualcosa di molto diverso dall’ultima traccia, non segnalata, Your House, intonata totalmente a cappella, senza un suono che non sia interno ad Alanis Morissette. Si tratta di un pezzo dal testo atipico, autobiografico, sulla sua autrice che affronta una porzione del proprio passato, in parte romanzata: vittima della gelosia, era entrata di nascosto nella casa di un suo ex, aveva frugato nel suo guardaroba, indossato i suoi vestiti, ascoltato i suoi CD. Non è comune pensare a dinamiche del genere se chi compie gli atti è una ex-partner. Si è soliti pensare che gesti del genere siano appannaggio esclusivo degli uomini.
La cantautrice canadese scardina tutto questo, e scrive un brano che non banalizza la tematica dello stalking o dell’invasione di campo. La sua voce a tratti sembra rompersi, sembra non farcela, eppure a ogni verso si fa forza, e si avverte che è guidata da un obiettivo, da un forte desiderio di essere, di dire, di fare, di non celare.
È in una chiusa come Your House il senso di tutto un album. Jagged Little Pill è un manifesto intimo e (sovra)generazionale, personale e universale, un dialogo-scontro continuo. La musica sostiene una storia e una voce che non potevano raccontarsi in altri termini. Vestita Adidas, ventunenne, con il fantasma di una ragazzina destinata al macello, come idolo teen pop, alle spalle, Alanis Morissette con la sua “pillolina frastagliata” concepisce il suo Nevermind, ma è un “chissenefrega” che contiene consapevolezza e responsabilità, perché la vita, con i suoi pro e contro, va affrontata a costo di tanto dolore. Jagged Little Pill è il racconto di una maturazione in essere, di una ragazza che per esprimere ciò che ha dentro prende folk, psichedelia, grunge, alternative, trip hop, ma soprattutto prende la sua voce e porta tutto sulla montagna più alta. L’Everest? No, sé stessa.
Ascolti
- Jagged Little Pill (edizione originale, 1995)
- Jagged Little Pill Acoustic (edizione per il decennale, 2005)
- Jagged Little Pill (Collector’s Edition 4 CD, 2015)
Parole
- Jagged Little Pill Songbook for Piano, Vocal and Guitar (Hal Leonard, 1995)
Visioni
- Jagged (Alison Klayman, 2021)