Gianluca Petrella entusiasma con la sua Cosmic Renaissance anche in teatro, chiudendo Correggio Jazz all’interno del ricco programma di Crossroads 2023. Anche in un gioiello come il Teatro Asioli della cittadina emiliana (dove nacque lo scrittore Pier Vittorio Tondelli a cui il concerto sarebbe indubbiamente piaciuto) il Rinascimento Cosmico esprime tutta la sua energia e versatilità nel segno di una musica eterogenea che pesca intelligentemente dal passato per proiettarsi nel futuro. I timori iniziali di racchiudere la potenza espressa dalla band in una tale bomboniera sono subito fugati da un’acustica perfetta e da suoni ben calibrati, in sintonia con il luogo.
Il gruppo rinuncia un poco alla dimensione quasi dance del concerto di ottobre al Locomotiv di Bologna (dove il pubblico era in piedi) per concentrarsi su quella della performance, ma il risultato è comunque eccitante. Petrella e soci danno vita ad una musica totale (Universal Language, appunto, come l’album del 2022), fatta di echi e buone vibrazioni, ritmo e melodia, beat e psichedelia, fughe in avanti e spiritualismo, confermandosi come uno degli acts più interessanti in circolazioni oggi in Italia.
Non possiamo più nemmeno chiamarlo jazz, questo, se non nel senso dell’improvvisazione e dell’interplay che lega i musicisti. Un collettivo solido dove il solista dirige il gioco, senza mai strafare e si pone al servizio del suono. Che è compatto e seducente, meditativo e trascinante. La musica sale piano, con il trombone di Petrella che ronza sornione insieme alla tromba di Mirco Rubegni, gli effetti elettronici che creano un tappeto per i voli strumentali, l’incessante lavorio ritmico di Federico Scettri (batteria), Simone Padovani (percussioni), Riccardo di Vinci (basso elettrico) .Ma quest’ultimo a tratti assume un ruolo solista, conducendo la danza con le quattro corde, pizzicate, percosse e slappate.
L’anima del suono è qui, tra tribalismi africani, spruzzate di acid jazz, la tromba di Rubegni che richiama Jon Hassell e, negli episodi più suggestivi, Mark Isham, muovendosi con agilità e forza melodica, spesso duettando con il leader. Petrella poi, suona in quella sua posizione diventata ormai iconica, inarcando la testa all’indietro finché lo strumento e perpendicolare al terreno, poi si piega a sinistra, assecondando il moto delle note, sempre comunque in movimento.
A metà concerto sale sul palco Anna Bassy, cantante veronese di origini nigeriane e la musica inclina verso un soul elegante, assecondando le evoluzioni di una bellissima voce. Poi c’è un momento di jazz poetry con la vocalist che recita, più che cantare, su una base ritmica, come un mantra, che “siamo fatti solo di acqua”.
Applausi scroscianti e quindi il gruppo riprende il suo caracollare tra generi, un vagabondaggio assoluto che si traduce in un future jazz space beat devoto a celebri maestri ma con un’ originalità spiccata. C’è l’ombra maestosa di Sun Ra che si stende sul sestetto (ma senza la componente circense che ha reso famosa nel mondo l’Arkestra poi guidata da Marshall Allen), c’è Fela Kuti con il suo geniale afrobeat, ma anche il blues, la lezione armonica di Miles Davis, briciole di kraut rock. E’ una musica in cui si può intravedere di tutto, una macchina perfetta che macina chilometri di note, il trombone che spinge la musica in avanti, la tromba che produce un effetto circolare. Il ritmo e la melodia che dominano su tutto, solleticano l’orecchio, vellicano l’anima e fanno muovere la testa a tempo anche se si è comodamente seduti nelle poltroncine rosse.
Per il gran finale torna sul palco la Bassy e con lei un chitarrista aggiunto, di nuovo voce e strumenti insieme a celebrare un’unione riuscita, l’eleganza soul funk e i fiati che pompano, come nel migliore rythm and blues del terzo millennio.