Rickie Lee Jones: la duchessa di Coolsville, voce inconfondibile tra jazz e blues, pop e hip hop

In una carriera artistica lunga quasi cinquant’anni, Rickie Lee Jones è stata di volta in volta la compagna beatnik di avventure musicali (e alcoliche) di Tom Waits, la nuova Joni Mitchell, la musa jazz del trip hop, la sophisticated lady del pop, la fata blu di Pinocchio, l’attivista del rock and roll attraverso alti e bassi da far paura, amori irrequieti, montagne russe che avrebbero scoraggiato chiunque altra (o altro) al suo posto. Ha sfornato capolavori e dischi dimenticabili, segnando comunque pagine importanti nella storia della musica, attraversando impavida i generi, dal blues al jazz, dal rock al folk, dal country al trip hop, vincendo anche un paio di Grammy. Ed è tuttora sulla breccia.

Voce inconfondibile e particolare (purtroppo a volte miagolante) a volte usata come strumento sull’esempio delle grandi cantanti jazz, come Willy De Ville è stata apprezzata più in Europa che in America, beatnik fuori dal tempo e raffinata lady dalle armonie sofisticate. Degna erede di Laura Nyro e Carole King.

Nata a Chicago l’8 novembre 1954, viene da una famiglia di artisti. Il padre Richard Jones era pittore, cantante e autore, suonava la tromba. I nonni paterni, Frank “Peg Leg” Jones e la moglie Myrtle Lee, facevano vaudeville a Chicago con numeri che includevano canto accompagnato dall’ukulele, recitazione, acrobazie, danza.

Con ascendenti così, la giovane Rickie, trasferitasi in Arizona a 14 anni con i genitori, non poteva che darsi all’arte. Ha 21 anni quando inizia a cantare standard jazz e sue composizioni nei locali di Venice, Los Angeles. Qui conosce il pianista e cantautore Alfred Johnson con cui scrive i suoi primi pezzi, Weasels and the Boy Cool e Company, che più tardi finiranno sull’album di esordio.

Al Troubadour nel 1977 scocca la scintilla. Incontra Tom Waits, si innamorano e staranno insieme per due anni, fino al 1979. Con lui condivide strade, musica e bottiglie. Ma una volta finita la loro storia, la Jones ha saputo affrancarsi da una presenza che poteva diventare ingombrante costruendosi una carriera personale degna di rispetto, pur tra alti e bassi da montagne russe.

A marzo di quell’anno, sforna il primo album, omonimo. Ottiene subito successo di pubblico e critica, andando al terzo posto nella Billboard 200 con il singolo Chuck E. ’s in Love, dichiarazione d’amore telefonica da parte di un altro dropout come il cantautore Chuck E.Weiss, amico di lei e Waits. E Rickie Lee Jones, con ospiti come Dr.John, Randy Newman e Michael McDonald è un album blues pervaso da atmosfere waitsiane (Coolsville su tutte) che diventa di platino e le vale un Grammy come Best New Artist nel 1980, su quattro nominations. Il disco sbuca come un fulmine nel panorama cantautorale americano alla fine di una decade controversa. Come Waits, la Jones sposa atmosfere blues e jazz, ha un’attitudine beat nella rincorsa alla vita, esprime nei testi solitudine e malinconia nelle pieghe di un sogno americano che spesso diventa incubo, canta di losers e ubriaconi, costruisce un’epica di perdenti che colpisce dritta al cuore.

Nello stesso anno appare in tv, da quasi sconosciuta, al Saturday Night Live e finisce subito sulla copertina di Time. E’un momento magico.

La vena creativa è ribadita da Pirates (1981), autentico capolavoro tra storie di solitudine, amori rubati, vite difficili e felicità a momenti, la foto di Brassai in copertina e la lunga suite jazz-fusion Traces of The Western Slopes scritta con Sal Bernardi a chiudere in bellezza un disco di cui è impossibile non innamorarsi. Il brano ispirerà nel 2007 anche l’artista francese Jacques Benoit per una serie di dipinti su Los Angeles. Pirates va al quinto posto e diventa disco d’oro. Poi lei diventa dipendente non solo da alcol, ma anche eroina e cocaina, e ci sarà da aspettare tre anni per un nuovo album. Nel 1983 viene pubblicato l’EP Girl at Her Volcano con belle versioni di Walk Away Renee e Up On The Roof che mostrano però una voce incrinata da troppo whisky.

Ho cominciato a bere, molto più pesantemente di quanto non avessi fatto prima. Ho bevuto per quasi sei settimane. Quando mi svegliavo e bevevo in pieno giorno, cominciavo a pensare: uhm, brutte notizie. Non so come ho fatto a smettere. Credo che una notte avessi bevuto troppo e ho detto: “Ok, è abbastanza, è terribile”. Sono andata a Parigi a rimettermi in sesto. Dovevo stare in un ambiente assolutamente estraneo per riprendermi”, confidò anni dopo a Musician.

Durante la residenza a Parigi scrive in parte The Magazine (1984), ambizioso e meno omogeneo che comunque contiene gioielli come Juke Box Fury e Gravity. L’album però è appesantito da ricercate composizioni strumentali quali Rorscach e Theme for The Pope (firmate ancora con Bernardi) che confermano l’idea di una certa perdita di direzione. Prelude to Gravity che apre il disco era stata concepita originariamente come una fantasia per ragazzi su “due ragazzine che cercano di tenere i loro maggiori affetti, pensieri e sogni dentro vasi speciali”.

Occorreranno altri cinque anni per un nuovo album, Flying Cowboys che viene pubblicato nel 1989 e mostra una Rickie Lee ripulita da eccessi e tornata in forma. “Con questo disco la Jones abbraccia l’età adulta ed entra nella vita reale senza sacrificare il suo lato cool e bohemienne”, scrive un critico. E Time Io definisce: “una sorta di confessione mistica, piena di allusiva autobiografia e riflessiva nonchalance”.

Il disco è prodotto da Walter Becker, di cui Rickie Lee ha sempre apprezzato il lavoro con gli Steely Dan, lui scrive con lei l’iniziale The Horses e chiama uno stuolo di musicisti importanti come Peter Erskine, Rob Wassermann, Greg Phillinganes e Michael Omartian. Altri pezzi, tra cui la title track, sono scritti dalla Jones insieme a Pascal Nabet-Mayer che nel frattempo è diventato suo compagno e le ha dato una figlia, Charlotte Rose. C’è anche una bella cover di Don’t Let The Sun Catch You Crying, classico merseybeat di Gerry and The Pacemakers.

L’anno dopo Rickie vince nuovamente un Grammy per il duetto con Dr. John su Making Whopee, classico jazz del 1928 che figurava anche nella colonna sonora del film i Favolosi Baker con i fratelli Jeff e Beau Bridges, cantato da Michelle Pfeiffer sdraiata su un pianoforte.

Nel 1991 pubblica Pop Pop, prodotto da Don Was, album di standard rivisitati, prevalentemente jazz e blues, da My One and Only Love a Bye Bye Blackbird, ma c’è anche Up From the Skies di Jimi Hendrix. Il disco ottiene buone recensioni, ma poche vendite. La lista dei musicisti anche in questo caso è di prim’ordine, in testa a tutti il contrabbassista Charlie Haden.

Durante il 1992 va in tour con Rob Wassermann, con cui collabora dal 1988. L’anno seguente pubblica Traffic From Paradise, ultimo disco con la Geffen che nel frattempo ha portato in tribunale il gruppo ambient house The Orb per avercampionato la sua voce senza autorizzazione nel brano Fluffy Clouds. Anche questo album non è un successo commerciale e si segnala soprattutto per una cover di Rebel Rebel di David Bowie che citò spesso la versione di Rickie Lee tra le sue preferite. Il film doveva apparire nella colonna sonora del film Boys Don’t Cry

In questo periodo, altre sue canzoni vengono utilizzate in film e serie tv, da Frankie and Johnny a Jerry Maguire, da Thirtysomething a Dr. House. Jones duetta anche con Lyle Lovett in North Dakota sull’album del 1992 Joshua Judges Ruth e canta nei dischi di Leo Kottke e Arlo Guthrie.

Cambia etichetta, nel 1993 firma con la Reprise e fa uscire un album di suoi brani reinterpretati in chiave acustica, Naked Songs.

Ma è tempo di una svolta. La Jones si interessa sempre più all’elettronica e il risultato è Ghostyhead, album realizzato nel 1997 con il producer canadese Rick Boston in cui si misura con beat, loop e drum machines, mettendosi in connessione con il movimento trip hop degli anni Novanta. La critica la acclama, ma i vecchi fan sono disorientati e non la premiano con le vendite.

Lei non si perde d’animo e torna sui suoi passi, dopo essersi presa una lunga pausa. Fa uscire per l’etichetta indipendente Artemis nel 2000 un secondo album di cover, It’s Like This, con brani di Beatles, Steely Dan, Marvin Gaye e George Gershwin che stavolta va in classifica e le vale una nomination ai Grammy.

Nel novembre del 2001 la Artemis pubblica Live at Red Rocks con la copertina disegnata da un fan morto giovane in un incidente stradale. Dopo la sua scomparsa, ad uno show in Oregon i genitori le consegnano i cavalli volanti disegnati dal figlio e lei deciderà di ricordarlo in questo modo.

Per un paio d’anni Rickie Lee si ritira nel privato, dedicandosi al giardino e alla figlia Charlotte, adolescente. Ma nel 2003 pubblica, quasi a sorpresa, The Evening of my Best Day in cui mescola influenze jazz, celtiche, blues, r&b, rock e gospel e se ne va intensamente in tour a promuoverlo. Invita il bassista-icona punk Mike Watt a suonare su It Takes You There e critica il regime di George Bush jr. in Ugly Man, evocando le Black Panthers in un arrangiamento stile Hugh Masekela e invocando “rivoluzione, dovunque non te l’aspetti”.

E’una rinascita artistica, dopo tanti inciampi. L’antologia Duchess of Coolsville che viene pubblicata dalla Rhino Records, specialisti nel recupero, conferma la statura della Jones, con canzoni dagli album, brani dal vivo, demos collaborazioni e tributi da parte di artisti come Randy Newman, Walter Becker, Quincy Jones e Tori Amos.

Sempre nel 2005, insieme al suo compagno e collaboratore Lee Cantelon lavora ad una versione musicale del suo libro The Words, sulle parole di Cristo. L’idea di Cantelon era di avere vari artisti a recitare i testi su una semplice base rock, ma la scelta di Rickie Lee va su qualcosa di mai fatto prima: improvvisa le sue impressioni sul testo, tra melodia e parole, in una sorta di “flusso di coscienza” che fa molto poesia beat. Le sessions si tengono in un loft dell’artista a Exposition Boulevard, a Culver City e quando Cantelon non riesce più continuare il lavoro, la Jones lo fa proprio e chiama Rob Schnaf a finire la produzione al Sunset Sound. Il risultato è il disco The Sermon of Exposition Boulevard realizzato nel 2007 dall’etichetta indipendente New West.L’album comprende Circle in the Sand registrato per il film del 2006 Friends with Money per il quale Jones aveva inciso anche Hillbilly Song.

Per l’album Balm of Gilead (2009) Rickie Lee completa brani abbozzati già nel 1986 come Wild Girl e scrive nuovi pezzi come The Gospel of Carlos, Norman and Smith ispirato al celebre podio delle Olimpiadi 1968 col pugno chiuso e Bonfires. Nell’album c’è anche The Moon is Made of Gold che il padre Richard compose nel 1954 e compaiono ospiti come Ben Harper, Victoria Williams, Alison Kraus e Vic Chesnutt.Il disco ribadisce una ritrovata vena creativa. Nel 2010 la Jones si esibisce anche al Vivid Festival di musica contemporanea alla Sydney Opera House.

Un’altra collezione di cover esce nel 2010 con The Devil You Know, prodotto da Ben Harper. C’è una scarna e bellissima versione di Sympathy for The Devil, a ribadire le qualità da interprete della songwriter. Più tardi lei lascerà Los Angeles per trasferirsi a New Orleans, in cerca di ispirazione in una delle città più musicali del mondo.

Nel 2015 realizza The Other Side of Desire, primo disco di originali dopo sei anni, con il brano Jimmy Choos in riferimento al celebre marchio di scarpe. Esce anche un documentario dallo stesso titolo con Rosanna Arquette e David Crosby che racconta il making of dell’album.

Artista di culto, rispettata da più generazioni, la Jones occupa un posto importante nel mondo della musica americana e non solo. Nel 2019 fa uscire una sua versione di Bad Company, scritta da Paul Rodgers e Simon Kirke per il loro gruppo omonimo negli anni Settanta che prelude ad un altro album. Si chiama Kicks e, neanche a dirlo, è un disco di cover. Nel giugno di quell’anno suona, acclamatissima, al Glastonbury.

Anni prima, nel 2001 aveva fondato la web community Furniture for the People che si occupa di giardinaggio, attivismo sociale, scambio di bootleg e politiche di sinistra. Ha prodotto dischi (Peculiaroso di Leo Kottke) ed è stata la voce della Fata Turchina nel cartone animato Pinocchio and the Emperor of The Night (1987), concepito come un seguito del libro di Collodi. E’ anche la voce narrante del film indipendente Shit Year (2010) di Cam Archer con Ellen Barkin nella parte di un attrice in ritiro che cerca invano la sua tranquillità.

La Jones ha raccontato se stessa, la sua vita musicalmente e sentimentalmente irrequieta in un’autobiografia, Last Chance Texaco. Chronicles of an American Troubadour, pubblicata dalla Groove Press, che Simon & Schuster ha trasformato in audiolibro.

La definizione le si attaglia perfettamente: vagabonda esistenziale e tra i suoni di vario genere, cantautrice originale e interprete straordinaria, Rickie Lee Jones è veramente una “trovatrice” che ha girato per l’America (e non solo) a proporre la sua musica.

I suoi primi dischi sono autentici capolavori di sentimento e passione e anche nel corso degli ultimi decenni la Duchessa ha piazzato colpi interessanti. Ascoltare uno qualsiasi dei titoli della sua lunga discografia per credere.

Il nuovo album appena uscito, Pieces of Treasure, prodotto da Russ Titelman, lo stesso di Pirates, segna un ritorno al jazz con una serie di standard interpretati in una veste scarna e suggestiva, con la voce sempre più vicina a quella di Billie Holiday, ricca di malinconica espressività.

Lo scorso aprile Rickie Lee è tornata in concerto al Birdland di New York per tre date speciali. La Duchessa di Coolsville, dopo tanti anni, è ancora sul trono.

ascolti

  • Rickie Lee Jones (1979)
  • Pirates (1981)
  • Flying Cowboys (1989)
  • The Sermon of Exposition Boulevard (2007)
  • Balm of Gilead (2009)
  • The Other Side of Desire (2015)
  • Pieces of Treasure (2023)

parole

  • Last Chance Texaco. Chronicles of an American Troubadour (2021)

visioni

  • Rickie Lee Jones: The Other Side of Desire, di Gail Harvey (2015)
  • Shit Year, di Cam Archer (2010)

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