Daft Punk, il duo che ha riscritto la dance elettronica a misura di animo umano

Il rapporto fra uomo e macchina è senz’altro una delle più grandi sfide dell’umanità moderna. Si discute molto ultimamente della possibilità che la musica, in particolare quella elettronica, possa essere prodotta dall’intelligenza artificiale. La cosa ha entusiasmato alcuni illustri produttori di musica dance, ma ha spinto invece i Daft Punk a mettere fine alla loro avventura. Il duo francese a partire dagli anni novanta ha riscritto la musica dance elettronica, conferendole gradevolezza nell’ascolto e rendendola capace di toccare profondamente l’animo umano.

Thomas Bangalter e Guy-Manuel de Homem-Christo si conoscono nel 1987 sui banchi di scuola del Liceo Carnot di Parigi. Quello che li unisce fin da subito è la musica. Da lì a poco iniziano a registrare demos fino a formare nel 1997 una band indie-rock, i Darlin’. Bangalter al basso, Homem-Christo alla chitarra e l’amico Laurent Brancowitz alla batteria. Il nome è ispirato da un brano dei Beach Boys che eseguono insieme ad una loro composizione originale. Le due tacce vengono pubblicate in un EP insieme ad altri artisti per un’etichetta indipendente inglese, la Duophonic Records. Melody Maker non è per niente tenera con i ragazzi e li etichetta come “uno stupido punk spazzatura (a daft punk trash)”. Dopo soli sei mesi la band si scioglie e Brancowitz prende altre strade. I due amici invece traggono ispirazione da quella critica che li ha stroncati per formare una nuova band, chiamandosi appunto Daft Punk. 

Nel 1993 partecipano ad un rave ad EuroDisney e consegnano un loro demo a Stuart McMillan dell’etichetta discografica indipendente scozzese Soma Quality Recordings. Uno dei due brani è Alive che farà parte del loro primo album. Registrano però anche Da Funk che regalerà loro i primi successi. Nel frattempo si esibiscono nelle discoteche di mezzo mondo, comprese quelle statunitensi. I loro DJ-set sono molto ricercati, perché capaci di incorporare al loro interno differenti stili musicali.

Diverse etichette discografiche major si fanno avanti, ma i due ragazzi prendono tempo per decidere perché non vogliono rinunciare al controllo creativo. “Viviamo in una società in cui il denaro è tutto ciò che le persone vogliono, quindi non riescono ad avere il controllo. Noi abbiamo scelto. Il controllo è libertà. La gente dice che siamo maniaci del controllo. Ma non stiamo cercando di manipolare le persone, solo controlliamo ciò che facciamo noi stessi. Molti artisti sono vittime, non hanno il controllo e non sono liberi. E questo è patetico”

Nel 1996 firmano per la Virgin Records. L’anno successivo esce il loro album di debutto Homework. Avrebbero in realtà dovuto pubblicare solo dei singoli, ma ad un certo punto decisero di riunirli in un vero e proprio album. Il titolo si riferisce al fatto che molte canzoni furono fatte in casa “a buon mercato, molto velocemente e spontaneamente, cercando di fare cose interessanti”. Da Funk è la traccia trainante che apre loro la strada del successo. Basato su un motivetto insulso, si sviluppa in maniera inusuale su un loop ripetitivo e accattivante. Around the world si spinge oltre. Costruito a strati intorno ad un unico ritornello orecchiabile, aggiunge e toglie i suoni dei vari strumenti donando un’intensità stroboscopica. Intriso di influenze house, ha il suo punto di forza nella linea di basso boogie.

Il video è ancora più incredibile, poiché è a tutti gli effetti la rappresentazione visuale della musica. Nella coreografia i personaggi a gruppi di quattro si muovono intorno ad una piattaforma e ognuno di loro interpreta uno strumento. Gli atleti il basso, le disco girls le tastiere, le mummie la drum machine, gli scheletri le chitarre e i robot il cantato. Sul finire tutti seguono gli stessi movimenti quasi a rappresentare nell’insieme il concetto di coralità musicale. Il brano divenne un hit in molti paesi europei e negli Stati Uniti, consacrando il duo francese al successo internazionale.

Fra il 1998 e il 2000 compongono il secondo album, Discovery. E’ un’espressione ancor più elevata del loro talento e del desiderio di dare una cornice più ampia alla loro musica. Se il primo album era ispirato a sonorità elettroniche grezze, questo affonda le radici nella dance anni settanta con spunti di R&B e ha una struttura più complessa dei brani. È un vero e proprio concept album la sui missione è ritrovare l’entusiasmo fanciullesco nell’ascolto della musica. Bangalter si riferisce all’infanzia, periodo in cui si ascolta la musica senza giudicarla con un’apertura mentale che sfortunatamente si tende a perdere con il passare degli anni. “Homework era un modo per dire ai ragazzi del rock, tipo: ‘La musica elettronica è figa. Discovery era l’opposto, come dire ai ragazzini patiti di elettronica: ‘Il rock è figo, sai? Può piacerti.’”

E nell’album c’è posto per tutto, dalla dance intrisa di R&B di Too Long, agli intermezzi strumentali di Nightvision e Vendis Quo che danno ancor più lustro a questo lavoro di per sè ammirevole nella sua complessità. C’è posto per drum machine, sintetizzatori, chitarre e software correttori vocali, a volte usati non nella maniera convenzionale. L’obiettivo era “far suonare le cose come qualcosa di diverso da quello che sono. Ci sono chitarre che suonano come sintetizzatori e sintetizzatori che suonano come chitarre” raccontò Bangalter.

Il singolo One More Time lancia definitivamente il duo nell’olimpo del successo. Il fenomeno Daft Punk esula però la semplice dimensione commerciale; la loro musica è più complessa, densa di pathos nonostante le coloriture elettroniche e futuriste. E contiene una tensione drammatica in cui si racchiude tutta la complessità del rapporto fra umanità e progresso. One more time era il trade union fra il primo e il secondo album. La voce di Romanthony, Dj e cantante americano, viene compressa con il processore Auto-tune. La scelta attirò i giudizi impietosi di alcuni critici, ma non toccò più di tanto la band. “La cosa salutare è che la gente l’amava o lo odiava. Almeno le persone non erano neutrali. La cosa peggiore quando fai arte è che le persone non ne siano nemmeno commosse. L’amore e l’odio sono interessanti perché sono qualcosa di profondo e intenso” commentò seccamente Bangalter.

Rolling Stone ha incluso Discovery fra i 500 più grandi album di tutti i tempi. L’album segnò anche il debutto dei loro distintivi costumi da robot e la narrazione mitologica dei personaggi incarnati. “Ci fu un incidente nel nostro studio. Stavamo lavorando con un campionatore che esattamente alle 9 e 9 minuti del 9 settembre del 1999 esplose. Quando riprendemmo conoscenza ci accorgemmo che eravamo diventati dei robot”. In verità il travestimento era solo un modo per non distrarre in alcun modo l’attenzione dell’ascoltatore dalla musica, ma a posteriori non è detto che sia andata davvero così.

L’album ispirò Leiji Matsumoto, famoso autore di serie animate fra cui ‘Capitan Harlock’, il quale editò per esso un intero film d’animazione, Interstellar 5555. “I musicisti sono maghi, è quello che dico sempre. Ho sempre avuto questo sogno da quando ero bambino e il sogno stesso è venuto verso di me” sono le parole di Matsumoto che introducono il film. L’anime è privo di dialoghi e racconta il rapimento interstellare di quattro musicisti, deportati dalla galassia sulla terra per arricchire un discografico malvagio. C’è un cameo dei Daft Punk, presenti in versione animata alla cerimonia di premiazione della band aliena sul pianeta terra. La favola ha un lieto fine, con la band che ritorna sul proprio pianeta e sancisce con la propria musica un patto di pace con i terrestri. 

Il 2005 è l’anno del terzo album, Human After All. Prodotto in sole sei settimane, è un lavoro fortemente ispirato alla robotica e all’elettronica che si tirò dietro diverse critiche per l’eccessiva ripetitività e minimalismo nei suoni. Fu creato con due chitarre, un sintetizzatore vocale, una drum machine e registrato su un eight-track machine. Tacciato come noioso da alcune riviste specializzate, in realtà è un esperimento sonoro che esprime volutamente un sentimento di alienante desolazione. “È su questa sensazione di paura o paranoia, non è qualcosa destinato a farti sentire bene” chiarisce Bangalter. Robot Rock è una dance rock impreziosita da un riff aggressivo di chitarra. È una specie di tributo alla musica rock e un tentativo di inglobarla nella dance.

Technologic rappresenta in pieno il timore del dominio del progresso e la perdita dell’identità dell’uomo. “Scrivilo, taglialo, incollalo, salvalo, caricalo, controllalo, riscrivilo velocemente. Collegalo, giocalo, brucialo, strappalo, strappalo…Tecnologico”. Gli ordini sono sparati in successione ritmica da una voce robotizzata e creano un senso di paranoica alienazione. Nel video che accompagna la canzone un’inquietante bambola robot guarda smarrita gli ordini proiettati su uno schermo. È un agghiacciante manifesto di come la tecnologia rischi di annientare tutto ciò che ci rende umani. 

L’anno successivo i Daft Punk continuano questa loro crociata contro i rischi dello sviluppo indiscriminato della tecnologia e producono un film, Electroma. I protagonisti sono loro stessi, non ci sono dialoghi e la colonna sonora non contiene loro brani originali. Ci sono invece canzoni di Brian Eno, Curtis Mayfield, il Misere di Gregorio Allegri e passaggi di Hayden e Chopin a testimoniare la cultura musicale classica e tradizionale dei due ragazzi. Il film si apre con il duo che guida una Ferrari targata ‘Human’ e approda in una città abitata da robot come loro. Entrambi sono insoddisfatti della loro natura e attraverso delle maschere assumono sembianze umane. L’esperimento non solo desta lo sdegno degli altri robot, ma fallisce miseramente quando le maschere si sciolgono al sole. A quel punto i due robot raggiungono il deserto e mettono fine alla loro esistenza autodistruggendosi.

I robot sono metafore della tecnologia, del conflitto tra tecnologia e umanità, e di come la tecnologia oggi stia completamente invadendo le nostre vite, dai nostri iPod ai nostri cellulari e di come sia super-pratica. Ed è vero che i robot sono personaggi molto eccitanti e interessanti perché sono un paradosso: sono super-sexy ed eleganti e cool, ma sono anche terrificanti e potrebbero sostituire l’umanità e questo è piuttosto spaventoso” spiegò Bangalter a proposito della proiezione. La narrazione muta del film è un crescendo di angoscia che commuove fino alle lacrime. Nasconde tematiche più profonde come quelle dell’inclusione e della diversità, in un mondo che inneggia ipocritamente all’unicità dell’individuo, ma in fondo tende ancora ad uniformare il pensiero comune. 

Nel 2010 i Daft Punk compongono la colonna sonora del film Tron: legacy per la Walt Disney Records. Dando sfogo alla loro smisurata ambizione, dirigono un’orchestra di cento elementi con la collaborazione del compositore e produttore americano Joseph Trapanese. “Sapevamo fin dall’inizio che non c’era modo di fare questa colonna sonora con due sintetizzatori e una drum machine” commentò Homem-Christo. Anche questo lavoro divise il mondo della critica musicale, sebbene fosse ormai evidente il loro intento di creare una musica che avesse un correlato visivo.

Il 2013 è l’anno del quarto album, il più importante e purtroppo ultimo dei Daft Punk, Random Access Memories. E’ il desiderio di ritornare al passato, di riprendere le fila di qualcosa che si sta perdendo con l’avanzare indiscriminato della tecnologia. “Stavamo cercando un parallelismo fra il cervello umano e l’hard-drive, la modalità casuale in cui i ricordi vengono archiviati”. Come da loro stessi chiarito, un hard-ware può avere una capacità illimitata di immagazzinare informazioni, ma questo non aumenta la qualità della produzione degli artisti. E allora si tuffano in sonorità che sono meno artefatte e riducono al minimo l’uso di drum machine. Recuperano l’uso della batteria, fanno maggiore ricorso a chitarre e distorcono meno le parti cantate in nome di sonorità più aperte e meno compresse. Per raggiungere questo ambizioso progetto si avvalgono di prestigiose collaborazioni: da Nile Rodgers a Pharrell Williams, Giorgio Moroder, Paul Williams e Julian Casablancas

La hit dell’album pluripremiata anche con due grammy è Get Lucky, composta insieme a Pharrell Williams e Nile Rodgers. Il demo era architettato intorno ad una traccia di pianoforte elettronico. Rodgers chiese di escludere tutti gli strumenti tranne la batteria per costruirci il suo prezioso riff di chitarra funky che lo rende unico e indimenticabile. Sulla stessa scia è Lose yourself to dance, in cui è ancora più esplicito il tentativo di riconnettersi alle sonorità dance degli Chic

Touch è una traccia più complessa, caricaturale e toccante al tempo stesso. Eseguita da Paul Williams, attore e compositore di colonne sonore celebri come quella del film ‘Il fantasma del palcoscenico’, mantiene una sottile tensione fra realtà e finzione, umanità e mondo artificiale. “Tocco, ricordo il tocco. Con il tocco vennero immagini” è un richiamo ai cinque sensi, quanto di più umano ancora ci distingue. Secondo Homem-Christo “è il nucleo del disco e i ricordi degli altri brani ruotano attorno ad esso”.  Giorgio Moroder è un brano in cui fu chiesto a Moroder di registrare un monologo in cui raccontava la sua carriera. Non gli fu concesso però di collaborare alla musica. Si tratta di un omaggio musicale che riprende in pieno il suo stile. E’ anche un manifesto sulla libertà dell’arte, attraverso le parole di un uomo che senza darsi dei limiti diventò uno dei padri fondatori della disco-music.

Within è un intermezzo morbido e drammatico, uno dei momenti di maggiore intensità emotiva in cui si avverte con forza quel sentimento di alienante isolamento che pervade sottilmente tutta la produzione dei Daft Punk. “Ci sono così tante cose che non capisco. C’è un mondo dentro di me che non riesco a spiegare. Molte stanze da esplorare, ma le porte sembrano uguali. Mi sono perso non riesco nemmeno a ricordare il mio nome. Sono stato, per qualche tempo, alla ricerca di qualcuno. Ho bisogno di sapere ora. Ti prego, dimmi chi sono”. La base è minimale al pianoforte e la voce è robotizzata a creare il solito mix fra passato e futuro, fra uomo e macchina in una cornice di smarrimento e angoscia.

Istant Crush è una delle più romantiche favole pop-dance mai raccontate. Il ricordo a cui i Daft Punk vogliono dar vita è quello di un amore irrealizzato, l’incontro con una ragazza fantastica e l’occasione perduta di stare con lei. Il videoclip di Warren Fu è ancora più incisivo e percorre la stessa direzione raccontando la storia di un amore impossibile fra due statue di cera esposte in un museo. Quando vengono sostituite da altre statue, i due innamorati finiscono in uno scantinato e a causa di un rogo accidentale si fondono, realizzando nella morte la loro unione. C’è molto romanticismo shakespeariano in questa narrazione e la voce di Casablanca crea un mix drammatico e toccante.

L’album si chiude con Contact, uno dei brani più emblematici dell’album. È incredibile la capacità di questi ragazzi di evocare la sinestesia, quel fenomeno percettivo in cui si riesce a vedere un suono o sentire un colore. Il brano strumentale descrive una collisione. La velocità è così definita che brilla di mille colori fino all’impatto che spegne ogni cosa e restituisce il buio dello spazio cosmico. La voce iniziale è una registrazione della Nasa della missione Apollo 17, l’ultimo viaggio sulla luna. Il brano è impreziosito da una batteria con suoni aperti e rock. Le sonorità che succedono all’impatto sono simili a quelle di chitarre gettate a terra alla fine di un concerto rock. E il ciclo si chiude con una musica che resta elettronica e proiettata nel futuro, ma che affonda le radici in quel mondo in cui le tracce non erano campionate ma venivano suonate a mani nude.

Nel febbraio del 2021 i Daft Punk si sciolgono e lo annunciano con su YouTube con un video intitolato Epilogue, in cui riprendono alcune scene di Electroma. Intervistato dalla BBC Bangalter ha chiarito i motivi della scissione della band: “Daft Punk è stato un progetto che ha offuscato il confine tra realtà e finzione con questi personaggi robotici. È stato un viaggio, un’esplorazione, direi, partito dalle macchine ma alla fine cercavamo di allontanarci dalle stesse. Amo la tecnologia come strumento, ma sono, in qualche modo, terrorizzato dalla natura del rapporto tra le macchine e gli esseri umani”. A sigillare queste affermazioni c’è la nuova esperienza musicale di Bangalter che lo vede passare alla musica classica per comporre Mythologies, un’opera orchestrale che accompagna il balletto omonimo del coreografo Angelin Preljocaj.

Eppure la musica dei Daft Punk continua, perché lo scorso 22 febbraio hanno annunciato la pubblicazione della versione digitale di Random Access Memories per il venticinquesimo anniversario, prevista per il 12 maggio 2023. L’annuncio è stato accompagnato uno streaming della loro esibizione al Mayan Theater di Los Angeles in cui il duo si è presentato insolitamente senza costumi di scena. È il ritorno definitivo alla dimensione umana. Nel frattempo mettono in rete il primo outtake, GLBTM. E chissà che non significhi un rinnovato ritorno alla musica tanto atteso da tutti noi del duo talentoso duo francese. Nessuno meglio di loro ha dato anima ai suoni elettronici e nessuno più di loro può contribuire a conservare umanità e pathos nella musica del terzo millennio. 

ascolti

  • Homework – Daft Punk (1997)
  • Discovery – Daft Punk (2001)
  • Human After All – (2005)
  • Random Access Memories (2013)

parole

Daft Punk. Musica Robotica – Diego Carmignani (ed. Gargoyle, 2014)

visioni

  • Interstellar 5555 – regia Leiji Matsumoto (2003)
  • Electroma – regia Guy-Manuel de Homem-Christo (2007)
  • Tron: Legacy – regia Joseph Kosinski (2010)

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