Simone Cristicchi e Amara con Battiato al Duse: viaggio in cerca di un centro di gravità permanente

Tutti in piedi a ballare, con e per Franco Battiato, alla fine del “concerto mistico” che per due ore ha ammaliato il pubblico del Teatro Duse di Bologna, ad opera di Simone Cristicchi e Amara. Brani scelti tra i più spirituali del maestro catanese, musicista che ha sfondato le barriere tra classico e pop, folk ed elettronica, per giungere ad una ricerca interiore, di quel “centro di gravità permanente” che dà il titolo ad uno dei più grandi successi e che appropriatamente conclude, saggio nella sua leggerezza, con la gente tutta in piedi a muoversi e a cantare.

Un concerto di grande raffinatezza ed eleganza, aperto da un canto sacro indiano sul dio Ganesh dalla testa di elefante, che aggiunge profumo d’oriente proprio come l’incensiere acceso tra i due. Ben accompagnati nel viaggio dai solisti dell’Accademia Naonis di Pordenone diretti da Valter Sivilotti al pianoforte: tre archi (Lucia Clonfero, Igor Dario, Alan Dario) e percussioni (U.T. Gandhi), una line-up che si ispira agli ultimi concerti acustici di Battiato, con una voce di soprano (Franca Drioli ) ad infondere accenti “morriconiani”.

Simone Cristicchi che si è dedicato con successo anche al teatro, invita al primo applauso per colui che ha ispirato tutto, canta con Amara intervallando con brani che hanno illuminato la strada del cantautore (ma è abbastanza riduttivo definirlo così) siciliano: Gurdjeff, Rumi, Ramana MaharshiWilligis Jager ,Guidalberto Bormolini. C’è profondo rispetto nel trattare la materia, con la personalità di due voci differenti che talvolta si fondono, perfettamente, in una sola. La famosa unità del tutto che è uno dei principi del misticismo.

Gli echi orientali si sciolgono nelle premonizioni de L’Era del Cinghiale Bianco in veste quasi pop balcanica. Poi Amara intona, accorata, E ti vengo a cercare, da lei definita “canzone bussola a cui ricorro nei periodi di smarrimento”. La vetta del concerto arriva presto ed è L’ombra della luce, fuso con un canto in aramaico, una sorta di Padre Nostro ancora recitato nelle chiese ortodosse, con la potenza vocale di Amara e Cristicchi che si dispiega, trascinandoci sui cavalli del maestrale. E ancora, Gli uccelli, osservazione filosofica della natura in volo, con un Cristicchi quasi filologico nell’interpretazione.

La voce davvero splendida di Amara, che alterna sussurri e grida, delicatezza ed energia, si esalta su un brano poco conosciuto come Stage Door, Simone si occupa con affetto de La cura, dialogo con un tu che in realtà è un io, canzone bellissima che sembra rivolta ad altri mentre in realtà parla di se stessi perché una delle chiavi del misticismo è abbattere ogni divisione tra le persone in nome di un’unità superiore. Cristicchi sottolinea come Battiato “È stato l’unico cantore di un divino che non ha mai saputo di incensi e sagrestie”.

La stagione dell’amore è un altro picco scalato con apparente semplicità da Amara, davvero una delle più belle voci sentite negi ultimi tempi, a dimostrazione che anche dai talent possono uscire artisti che sanno diventare importanti, sottolineata da applausi, urla e entusiasmo di molti presenti. Rompe un po’ l’atmosfera, questo affetto tributato in maniera sonora, ma fa parte del gioco dei live show e Amara sembra a tratti commossa dall’accoglienza bolognese.

C’è spazio, con misura, anche per alcune composizioni dei due. Che tu sia benedetta scritta da Amara per la Mannoia, scatena l’entusiasmo generale e canti in coro, Abbi cura di me che rivela le influenze di Battiato su Simone, viene definita da uno spettatore ad alta voce “un capolavoro”. Poi i due propongono Le poche cose che contano, composta insieme, tutti brani che invitano alla riflessione esistenziale sul “qui ed ora”, a loro modo in linea con il leit-motiv del concerto in una sequenza che non disturba. Anzi.

Immancabile, ad un certo punto, la liberatoria, Voglio vederti danzare (e il pubblico non si fa pregare, alzandosi dalle poltrone), fatta confluire in Centro di gravità permanente. E siamo tutti lì a muoverci, a cantare di “gesuiti euclidei vestiti come bonzi alla corte degli imperatori della dinastia dei Ming” in questo pezzo epocale che ha segnato gli anni Ottanta e buona parte della nostra vita, guidato da archi sapienti che scatenano la danza collettiva. Boato finale e applauso lunghissimo con il dito di Simone puntato in alto, verso l’immensità.

Cristicchi ci invita a rimanere in piedi per l’ultimo pezzo che, appropriatamente è Torneremo ancora, il congedo spirituale del maestro, un’ emozione intensa

Si esce nella notte bolognese con la sensazione di essere tornati da un viaggio collettivo tra le profondità dell’animo umano, demonio e santità, rigore e fantasia, asperità e dolcezze, “voli imprevedibili ed ascese velocissime”.

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