Dal blues delle origini al pop jazz più sofisticato, passando per la California psichedelica della Steve Miller Band, il pochissimo conosciuto (in Italia) Boz Scaggs ha permeato di sé gran parte della storia della musica americana degli ultimi decenni. Una voce particolare, un modo efficace di suonare la chitarra e la capacità di contornarsi di grandissimi musicisti, da Duane Allman a Jeff Porcaro, da Donald Fagen a Michael McDonald (recentemente nei Duke of September), Scaggs resta uno dei cantautori più interessanti della scena statunitense, fedele alle radici ma in grado di rinnovarsi continuamente nel corso di una carriera lunga quasi sessant’anni, con alterne fortune ma sempre nel segno di una qualità elevata.
William Royce Scaggs è nato a Canton (Ohio) l’8 giugno. Impara a suonare la chitarra a dodici anni e presto entra nei The Marksmen, gruppo di Steve Miller. Qualche anno dopo lo ritrova all’Università del Wisconsin e Steve lo invita a far parte degli Ardells.
Dopo aver cantato come solista, debutta con un album semplicemente intitolato Boz, nel 1965. Lo registra a Stoccolma, dove è arrivato dopo vagabondaggi per l’Europa come busker, un misto di blues e ballate dylaniane. E’un fallimento commerciale. Scaggs torna negli Usa meditando sull’insuccesso via India e Nepal, richiamato da Miller. E’con lui che compie il grande passo, partecipando alla registrazione di due album della Steve Miller Band del 1968, Children of The Future (per cui scrive Baby’s Callin’ Me Home) e Sailor (My Friend, con Tim Davis e Overdrive) , nello stile psichedelico tipico dei gruppi della San Francisco dell’epoca. Poi, lascerà per diversità di vedute e contrasti con l’amico.
Nel settembre del 1969 incide per la Atlantic Boz Scaggs, un superbo album di blues con Duane Allman alla chitarra e la sezione fiati dei mitici Muscle Shoals Horns, nel cui omonimo studio dell’Alabama viene registrato. Anche Scaggs suona piuttosto bene la sua chitarra, come si può sentire in Loan Me a Dime. Dodici minuti in cui emerge la maestria e la capacità di suscitare emozioni di Skydog nei duetti con Boz, in crescendo prima dell’esplosione fiatistica finale. Rimane forse il miglior disco della sua carriera solista che ottiene giudizi positivi dalla critica, ma vendite moderate. Deluso, si unisce brevemente alla blues band della Bay Area, Mother Earth
Seguirà Moments (1971), con ospiti come Ben Sidran, Coke Escovedo e Rita Coolidge, più improntato ad un soft-rock raffinato e confidenziale con i singoli Near You e We Are Always Sweetheart che si piazzano in classifica nella Billboard Hot 100, anche se non nelle primissime posizioni (96° e 61°). Nello stesso anno esce Boz Scaggs & Band in cui compaiono percussionisti del giro di Carlos Santana come Jose Chepito Areas e Mike Carrabello, in Flames of Love che è il brano di maggior impatto.
E’ del 1972 My Time, in cui l’elenco dei collaboratori si estende a David Brown, bassista di Santana che scrive Slowly in the West. Scaggs ondeggia tra soul bianco, ryhtm and blues e rock senza far breccia nel cuore della critica e del pubblico. Così come in Slow Dancer del 1974 che fatica ad entrare in classifica.
Ma è nel 1976 che arriva il botto. Un pezzo, Lowdown che arieggia atmosfere disco su una base di funk soul elegantissimo, colpisce stavolta nel segno. E trascina l’album Silk Degrees alla seconda posizione di quell’anno dominato dalla Saturday Night Fever dei Bee Gees. Inizialmente, Lowdown doveva essere incluso nella soundtrack, John Travolta ci aveva studiato sopra coreografie, ma poi la produzione spinse per tenerlo fuori perché era già nella colonna sonora di Looking for Mr.Goodbar
Il successo dell’album spinge nelle charts anche altri brani come Lido Shuffle (11°) It’s Over (38°) e What Can I Say (42°). Niente male, per uno che le classifiche, malgrado la qualità della propria musica, finora aveva scalarle. Il disco ha una lista impressionante di musicisti, tra cui il tastierista David Paich (che collabora alla scrittura di Lowdown e altri pezzi) e il batterista Jeff Porcaro che poi formeranno i Toto.
Il 13 luglio 1977, nel tour promozionale di Lowdown, Scaggs si trovò a suonare al Lincoln Center di New York durante il famoso blackout. Dopo un quarto d’ora la corrente andò via e Boz invitò il pubblico a conservare i biglietti per la ripetizione che si sarebbe tenuta pochi giorni dopo. Tra il 1976 e il 1977 si esibì diverse volte con i Fleetwood Mac, allora all’apice della fama.
Il successivo album Down To Then Left (1977) non ebbe lo stesso successo, anche se arrivò ai margini della top ten di Billboard (undicesimo) con una line-up favolosa che schierava ancora Porcaro, Michael Omartian alle tastiere, Jay Graydon, Ray Parker jr. e Steve Lukather alle chitarre, futuro Toto così come il bassista David Hungate. La copertina è del fotografo di moda Guy Bourdin e illustra efficacemente lamusica di Scaggs, diventata un jazz-pop sofisticato che riecheggia i lavori degli Steely Dan a cui aggiunge una voce bluesy.
E’fatta? Nemmeno per sogno. Middle Man (1980) scivola presto nel dimenticatoio, pur contenendo due hits come Breakdown Ahead e Jojo così come Other Roads (1988) che chiudono i suoi controversi anni Ottanta. Segue un periodo di ansia, in cui stenta a trovare la sua direzione perché sente che “la musica mi sta abbandonando” e tentativi di registrazione finiscono nel nulla. Nel 1988 ripiega su altro, aprendo un nightclub a San Francisco, lo Slim’s che chiuderà solo nel 2020.
Negli anni Novanta Scaggs pubblicherà solo tre album, Some Change (1994), Come On Home (1997) e Fade into Light (1999). Ma nel 1992 suona al tribute concert per Jeff Porcaro con gente come Eddie Van Halen, Donald Fagen, Michael McDonald, Don Henley e George Harrison. Nel 1998 va in tour come supporter di Stevie Nicks.
Il terzo millennio inizia con un nuovo album, Dig che ottiene buone recensioni, ma esce in un giorno alquanto sfortunato, l’11 settembre 2001.
Vive un momento di rinnovata popolarità con la compilation jazz But Beautiful, pubblicato nel 2003 che va al numero uno nelle classifiche di genere. E’ del 2008 l’interessante Speak Low in cui esplora le idee di Gil Evans “in una sorta di progressivo, sperimentale sforzo” come scrive nelle note di copertina.
Nel 2013 esce Memphis che contiene molte cover, tra cui Cadillac Walk di Moon Martin resa celebre da Willy De Ville, Mixed Up Shook Up Girldello stesso Willy (così, i due stili vocali gareggiano a distanza), Rainy Night in Georgia di Tony Joe White e You Got Me Crying di Jimmy Reed. Per promuoverlo va in tour tra Usa, Canada e Giappone, aggiungendo date anche in Australia. Alla fine del 2015 pubblica A Fool to Care, altro album soprattutto di cover come Whispering Pines di Lucinda Williams e con un blues, Hell To Pay, in compagnia di Bonnie Raitt. L’album va al numero 1 delle classifiche blues di Billboard e rilancia Scaggs.
Nel frattempo si è unito ad altri due elegantoni musicali come Donald Fagen e Michael McDonald nei Duke of September (una riedizione della loro New York Rock and Soul Revue del 1989-1992 con Phoebe Snow) che danno vita a strepitosi concerti, ripresi dalla PBS e visibili su You Tube in cui interpretano brani dei rispettivi repertori. I Duchi non hanno pubblicato nessun album, ed è un vero peccato. Ma per fortuna esiste un ottimo dvd di 90 minuti, Great Performances, registrato al Lincoln Center di New York nel novembre (non potevano farlo due mesi prima?) del 2012.
L’ultimo disco, ad oggi, è del 2018. Out of The Blues, anch’esso al top delle classifiche blues di Billboard, è una dichiarazione quasi programmatica del suo autore, a metà tra un recupero delle origini e la necessità, quasi vitale, di andare oltre. Per un musicista che ha cavalcato, con alterne fortune, quasi sei decenni, un imperativo kantiano che si impone alla coscienza. Scritto per metà insieme con l’amico Jack Walroth, contiene una bella versione di On The Beach di Neil Young.
Un anno prima, negli incendi che avevano devastato la California Occidentale, la casa di Scaggs e della moglie Dominique Gioia in Napa Valley va completamente distrutta. I due si salvano, ma Boz perde tutti i suoi vigneti di pregio, automobili e oggetti di valore sentimentale come decenni di blocchi per appunti e tovagliolini su cui aveva scritto i testi di canzoni.
Scaggs unisce energia ed eleganza, scartando come un purosangue tra i generi. La sua voce inconfondibile è piena di pathos come i grandi del soul, racconta storie dimenticate che ogni tanto sarebbe bene andare a riascoltare.
Difficile aspettarsi un altro rinnovamento, ora che gli anni avanzano. Ma ci sentiamo di dire che Boz, sul fronte del cambiamento musicale, ha già dato abbondantemente.
ascolti
- Steve Miller Band – Children of The Future (1968)
- Boz Scaggs (1969)
- Silk Degrees (1976)
- Memphis (2013)
- Out of the Blues (2018)
visioni
- The Duke of September – Great Performances (dvd, 2012)
parole
- Boz Scaggs – Other roads (1988, ing.)