Ultra dei Depeche Mode, la storia di un viaggio all’inferno e ritorno 

Si può attraversare l’inferno e riuscire a ritrovare la via del ritorno? È possibile lasciarsi cadere in un baratro e risalire comunque la china? A volte succede, ma quando accade di sicuro non si è più gli stessi di prima. Nella loro lunga carriera i Depeche Mode hanno affrontato uno dei loro periodi più difficili fra il 1995 e il 1996. Alle spalle avevano il Devotional Tour che aveva stritolato i rapporti interni, trascinando ognuno di loro nel proprio inferno personale. Il Times finì per scrivere: “I Depeche Mode si sono lanciati in una vita di Classic Rock Debauchery con un tale fervore che il resoconto degli infortuni del Devotional Tour sembrava questo: Martin Gore – convulsioni; Andrew Fletcher – esaurimento nervoso; Alan Wilder – abbandono per un progetto solista; Dave Gahan – dipendenza da eroina culminata in un tentativo di suicidio”.

Quando Alan Wilder abbandonò il gruppo fu una vera doccia fredda per il resto della band quanto per i loro sostenitori. Lo sbalordimento ed il rammarico di Martin, Andy e Dave è evidente sui loro volti ad anni di distanza, quando raccontano le vicende di quel periodo nel documentario Depeche Mode 95-98. “Ricordo che ero di ritorno in treno e ho pensato, questa è la fine della nostra band” dice Martin Gore. Il contraccolpo sugli equilibri interni fu inevitabile come spiegò Andy Fletcher “Dave si sentiva un po’ più isolato con Alan che se ne andava, perché prima eravamo due e due: Dave e Alan da una parte, Martin e io dall’altra”

Dave Gahan era all’epoca alle prese con la devastante dipendenza dall’eroina. Si aggiunse un emblematico quanto bizzarro momento di autolesionismo in cui si incise i polsi, li avvolse in un asciugamano e tornò in salotto a parlare con la sua ospite come se nulla fosse. “In un certo senso è stato difficile per me toccare il fondo. È qualcosa a cui arrivano molti drogati quando non hanno assolutamente più niente, ma il problema era che io avevo una scorta infinita di denaro” ebbe a dire successivamente lui stesso. Eppure anche Dave arrivò al punto più basso e fu forse la sua fortuna, perché determinò una svolta decisiva nella sua vita.

Nel maggio del 1996 subì un arresto cardiaco per un’iniezione di speedball (un mix di eroina e cocaina), così da rimanere clinicamente morto per quasi tre lunghissimi minuti. Dimesso dall’ospedale, venne arrestato per possesso di droga e trascorse due giorni in galera a Los Angeles. Lui stesso la definì a posteriori un’esperienza orribile. La decisione di disintossicarsi fu obbligata, poiché la legge glielo impose come condizione per continuare a vivere negli Stati Uniti. Ma l’aver toccato così da vicino la morte e l’essere additato come un criminale deve aver smosso la sua coscienza. Un pizzico di fortuna gli fece incontrare proprio in un centro di riabilitazione Jennifer Sklias, la donna che diventò la sua seconda moglie e lo ancorò definitivamente alla vita.

Mai come allora i componenti del gruppo ebbero paura di perdere il loro frontman. “Ci sono stati dei momenti in cui se avessi ricevuto una telefonata che mi diceva che Dave era morto non sarei stato sorpreso” dichiarò più avanti Andy Fletcher. Sembrava quasi un destino segnato, a cui però nessuno di loro riusciva davvero ad arrendersi. Quel senso di sfiducia e devastante malinconia finì però per riversarsi sul loro lavoro, così come traspare nell’ascolto del loro album Ultra del 1997. La produzione di Tim Simenon fu provvidenziale sia per dare respiro ai loro rapporti umani, che per conferire a quelle canzoni un ritmo definito e minimale che le salvasse dall’apparrire mediocremente disperate. Il titolo di per sè è già un programma. Ultra è un po’ come dire di andare ‘oltre’ tutte le sventure che stavano attraversando, nell’intento di ritrovare sè stessi e l’unità della band. Martin Gore con grande coraggio dipinse in quelle canzoni il tremendo momento che stavano vivendo.

Per volontà di Dave Gahan si trasferirono a New York, dove iniziarono le registrazioni negli Electric Lady Studios. Le sue condizioni fisiche ed emotive erano penose e tutto ciò che riuscì a cantare fu un unico brano. “L’unica canzone dell’album che ho registrato all’Electric Lady è stata Sister Of Night. Ancora oggi riesco a sentire quanto ero spaventato. Sono contento che quella canzone sia lì per ricordarmelo”. A posteriori sembra paradossale che divorato dai suoi tormenti sia riuscito a cantare proprio quella canzone. “Oh sorella, vieni per me. Abbracciami. Rassicurami. Hey, sorella, lo sento anch’io. Dolce sorella, toccami. Sto tremando. Tu mi guarisci”.

Che l’invocata sorella sia l’alcool o l’eroina, la salvezza o il desiderio della fine è incredibile con quanta audacia Martin Gore sia stato capace di tuffarsi nella parte più buia della sua psiche con la consapevolezza che bisogna toccare il fondo per riemergere. La voce insolitamente lamentosa di Gahan e lo strascico elettronico che lo accompagna come una nenia creano un mix tremendamente commovente. Il brano è stato più volte eseguito dal vivo da Martin Gore e di sicuro non deve essere facile per Dave Gahan confrontarsi con quello che è il ricordo del momento più brutto della sua vita.

Barrel of a gun è il primo singolo estratto. Ha un testo violento accompagnato da una melodia cupa e opprimente. “Un appetito maligno mi visita ogni notte e non sarà soddisfatto, non sarà rinnegato… qualunque cosa abbia fatto, stavo fissando la canna di una pistola”. Chi ha vissuto quegli anni ricorda bene come Dave fosse ovunque riconosciuto come un tossico e molti di noi ascoltandolo pronunciare quelle parole hanno provato un brivido. “Cosa ti aspetti da me? Cos’è che vuoi? Qualunque cosa tu abbia progettato per me, non sono la persona adatta”. 

Più avanti Martin Gore dirà che quelle parole erano scritte dalla sua prospettiva, perché anche lui combatteva i suoi problemi di alcolismo. Molti di noi però ci hanno visto il dramma di Dave che affondava nella sua tossicodipendenza. Con un divorzio alle spalle, viveva in preda alla paranoia. Girava per le strade di Los Angeles con una P38 e pensava che i suoi compagni fossero interessati a lui solo perché se avessero perso il frontman, i Depeche Mode sarebbero finiti. Il senso di angoscia è ancora più devastante nel videoclip, prodotto con la regia di Anton Corbjin. Andy Fletcher appare in preda ad una crisi di fame d’aria e Martin Gore se ne sta terrorizzato e raggomitolato in un angolo. Dave Gahan se ne va in giro con due bulbi oculari dipinti sulle palpebre e ricoperto di lucine, visibile ma incapace di vedere. C’è un senso di solitudine quando Martin e Andy poggiano la testa sulla sua spalla ad occhi chiusi e poi in piedi con tenera fermezza la loro mano sulla sua spalla. È un quadro familiare che in un vortice di angosciante disperazione sancisce un legame davvero profondo.

Home è una delle ballate più toccanti scritte ed interpretate da Martin Gore. “E ti ringrazio per avermi portato qui, per avermi mostrato la mia casa, per aver cantato queste lacrime. Finalmente ho scoperto che appartengo a questo posto. Mi sento come a casa, avrei dovuto saperlo fin dal mio primo respiro”. Apparentemente melensa, questa canzone conserva l’amarezza del rimpianto e la dolcezza del perdono. Ma soprattutto nasconde un bisogno insaziabile di speranza. “Tra le mie canzoni preferite in assoluto c’è Home. A quel tempo bevevo davvero troppo, e quello è stato il modo in cui ne ho preso coscienza” dirà più avanti lo stesso Gore

It’s No Good è il terzo singolo estratto dall’album. Decisamente più pop degli altri brani, è quello in cui si è possibile riconoscere il sound caratteristico della band. Ci sono molti dance-remix di questo brano, ma resta nella memoria soprattutto il videoclip sempre ad opera di Anton Corbijn. Il fotografo e regista olandese ricostrusice in maniera caustica la realtà in cui la band si sentiva intrappolata. C’è il senso di onnipotenza e la negazione ostinata di chi non vuole riconoscere la propria caduta in rovina. “Anton l’ha portato all’estremo –  spiegò Dave Gahan – e mi ha fatto vestire con questo completo di lamé verde. I miei capelli erano lunghi all’epoca, quindi abbiamo creato questa pettinatura anni ’50 alla Teddy Boy. Dovevo davvero recitare un ruolo e una parte: la vera star del rock’n’roll che finisce per suonare in questi postacci, ma pensa ancora di essere sempre più grande della vita stessa”

Freestate è un’esortazione, la preghiera di un amico che ti vede scivolare via e che cerca come può di trattenerti e legarti alla vita. Martin Gore ha cucito quei versi intorno a una ballata grezza, dove il ritmo la gioca forte e gli sprazzi di chitarra country la rendeno cruda e selvaggia come l’istinto vitale. “Lasciati andare, lascia che il tuo spirito cresca. Esci dalla tua gabbia e sali sul palcoscenico. È il momento di incominiciare a recitare la tua parte. La libertà ti aspetta. Apri i cancelli, apri la tua mente. La libertà è uno stato mentale”

Useless è un manifesto di rabbia in cui due interlocutori di un dialogo impossibile assumono posizioni estreme ed irraggiungibili. “Tutti i miei consigli inutili, tutto il mio girarti attorno, tutto il mio minimizzare, tutto il mio demoralizzarti”. “Eccomi qua, l’accusato. Con il tuo pugno contro la mia faccia. Mi sento stanco e ferito con il gusto più amaro”. È facile cedere alla suggestione di vedere in quelle parole i membri della band che non riescono più a ritrovare la giusta sintonia, ormai alla deriva per i propri problemi personali. Eppure ha tutta l’aria di essere un dialogo interiore in cui l’istinto e la ragione si scontrano senza riuscire a trovare un equilibrio. Il riff che accompagna è quasi cattivo ed esita in un assolo minimale che ha qualcosa di straziante, proprio come la depressione. 

The bottom line invece è l’inizio della fine di questo viaggio nei bassifondi di una psiche sofferente. Musicalmente sembra quasi un gospel in cui la voce lamentosa di Gore delinea la strada verso l’uscita. La linea finale appare e scompare quasi come in un sogno, ma desta la speranza e infonde la forza per continuare a lottare. “Come una pedina sull’eterna scacchiera che non è mai abbastanza sicura di come verrà mossa, cammino avanti senza vedere. E il paradiso è di fronte a me. Il tuo paradiso mi chiama e m attrae, ma quando arrivo è scomparso

In un certo senso Dave, Martin e Andy si ritrovano proprio nel momento in cui decidono di affrontare i loro fantasmi e combatterli. Ed è come se i Depeche Mode rinascano e ci vengano restituiti in una nuova veste, più matura, consapevole ma sempre assolutamente autentica. Insight sigilla proprio quella rinascita. Quel verso finale ripetuto allo spasimo “give love, you gotta give love” sancisce nella perentorietà della ripetizione infinita l’indistruttibilità dei loro legami, in maniera forse persino più intensa del passato. 

L’album fu pubblicato il 14 aprile del 1997. Per la prima volta nella storia della band all’uscita del disco non seguì alcun tour, perché Dave Gahan non era di certo nelle condizioni di salute per affrontarlo. Ci furono solo due mini esibizioni a Londra il 10 aprile e a Los Angeles il 16 maggio. Ultra debuttò al primo posto nella UK Chart e al quinto posto nella US Billboard 200 e raccolse importanti consensi fra il pubblico e opinioni contrastanti nella critica. Eppure proprio quando tutti però pensavano che era finita e che la band non aveva più nulla da dire, i Depeche Mode tirarono fuori un lavoro originale e sincero. Dimostrarono al mondo di essere vitali, uniti e capaci di continuare a regalare emozioni.

Nel maggio del 2022 Martin Gore e Dave Gahan hanno subìto l’ennesimo affronto dalla vita, vedendosi portare via prematuramente l’amico Andy Fletcher. È stato uno shock tremendo per loro e per tutti i fans della band di Basildon. Eppure ancora una volta i nostri eterni ragazzi hanno rialzato la testa ed annunciato un nuovo album che uscirà il 17 marzo, Memento Mori (titolo particolarmente sentito dalla band quanto dai loro fans) e un tour che partirà il 23 marzo dalla città di Sacramento. Martin e Dave ci restano accanto e continuano a raccontarsi per dimostrarci che la vita e la morte, il buio e la luce, la gioia e il dolore sono solo due dimensioni complementari della nostra più profonda essenza.

ascolti

  • Ultra – Depeche Mode (1998)

parole

  • Depeche Mode. Touch Faith – Antonio Puglia (Ed. Arcana, 2011)
  • Stripped. I Depeche Mode messi a nudo – Jonathan Miller (Ed. Arcana 2013)

visioni

  • Depeche Mode 95–98 (Oh Well, That’s the End of the Band…) (documentary)

Ti potrebbe interessare