Il sound di Seattle dei primi anni novanta è una delle più intense e brevi fiammate della storia del rock. Ha regalato tanti talenti bruciati in fretta. Andy Wood, Kurt Cobain, Mike Starr, Layne Staley, Shannon Hoon sono solo alcuni di coloro che ci hanno salutati veramente troppo presto. In mezzo a loro regnava Chris Cornell, non a caso definito negli ambienti più amichevoli il ‘re Sole’. Come un vero regnante, Cornell ha resistito negli anni deplorando i cattivi costumi che si erano portati via i suoi amici e inneggiando alla vita. Il re sembrava indistruttibile e noi pensavamo che sarebbe rimasto per sempre a gloriarci con la sua stratosferica voce e dimostrarci che quella generazione non era perduta. Chris Cornell non ha mai fatto mistero dei suoi problemi depressivi e nel 2017 ci è stato strappato via dal suo stesso destino maledetto.
Christopher John Boyle nasce a Seattle il 20 luglio del 1964. La sua fu un’infanzia infelice segnata dal catastrofico rapporto con il padre. Alla separazione dei genitori decise di togliere il proprio cognome e sostituirlo con quello della madre. L’approccio con la musica fu decisamente migliore. A soli otto anni si impossessò dell’intera discografia dei Beatles che un suo vicino voleva cestinare dopo un’alluvione. Chris buttò via le copertine marcite e si prese cura dei vinili che ascoltò incessantemente. E poi venne il rock di Alice Cooper, dei Led Zeppelin e dei Pink Floyd.
La madre intuì il suo interesse per la musica e lo incoraggiò a suonare il pianoforte. Ci voleva però troppa disciplina e Chris non andava molto d’accordo con le regole. L’amore esplose quando si sedette dietro una batteria: quello strumento gli restituiva con immediatezza il vulcano di energia che aveva dentro. La sua voce straordinaria fu notata a scuola quando un’insegnante di canto lo mise alla prova. “Ricordo di aver cantato la scala e che lei quasi è balzata giù dallo sgabello e mi ha guardato in un certo modo. Me lo ricordo perché era la prima volta che succedeva: nessuno mi aveva mai guardato così” raccontò anni dopo lo stesso Chris.
Nella Seattle degli anni ottanta si approcciò a modo suo saltando da una band all’altra, fino all’incontro con Hiro Yamamoto e Kim Thayil. Iniziarono come trio e dopo un brevissimo periodo di rodaggio si diedero il nome di Soundgarden. Chris era il batterista e il vocalist del gruppo e nonostante l’insolita formazione senza un vero frontman, le loro primitive esibizioni creavano una discreta curiosità perché furiose ed energiche.
Era un tipo solitario Chris Cornell, che però non disdegnava le amicizie. Descritto come tranquillo e cordiale, amava trascorrere del tempo da solo fin dall’infanzia. È facile intuire come non sia stato semplice per lui lasciare la batteria e afferrare il microfono per affrontare la platea. Eppure sul palco diventava un’altra persona. Aveva una voce baritonale che però raggiungeva acuti inimmaginabili.
E un’incredibile presenza scenica: si presentava sempre a torso nudo come nella migliore tradizione punk e si dimenava senza risparmiarsi. “Going the full Cornell” commentava Krist Novoselic dei Nirvana, definendo in questo modo l’essenza di un ragazzo che si donava completamente al pubblico senza alcuna riserva.
In quel periodo condivise la sua casa con Andy Wood, lo sfortunato frontman dei Mother Love Bone. Avevano personalità diametralmente opposte, tanto introverso era l’uno quanto espansivo l’altro. Eppure strinsero un’amicizia profonda in cui la musica era il collante principale. Suonavano in gruppi diversi, ma trascorrevano un’incredibile quantità di tempo assieme a confrontarsi su quello che facevano. E un esempio Island of Summer, un demo casalingo pubblicato nei decenni successivi in cui è possibile apprezzare le loro voci che cantano assieme.
L’arrivo di Matt Cameron alla batteria sancisce una nuova storia, quella che porterà i Soundgarden nel giro di qualche anno al successo internazionale. Hiro Yamamoto abbandonò il gruppo per divergenze artistiche e anche il suo sostituto Jason Everman avrebbe avuto vita breve nella band.
È l’ingresso di Ben Shepherd che determina la formazione definitiva. Louder than love del 1989 è l’album che introduce al grande pubblico e mette in mostra il loro sound. È un messaggio d’amore, inteso come motore della vita, che passa dalla condanna alle armi in Gun, alla pungente critica in Sex Dumb al desiderio di sesso travestito d’amore, in voga nelle canzoni di quel periodo.
Nel 1990 Chris era in tour con la band a New York quando ebbe la notizia dell’overdose di Andy Wood. Le macchine che tenevano in vita l’amico furono staccate solo dopo il suo rientro, affinché potesse dirgli addio. Non ci fu però il tempo per elaborare il lutto. I Soundgarden partirono in tour per l’Europa. “Ho pensato che sarebbe stato una cosa buona, perché rimanendo lontano da casa non avrei visto continuamente posti o cose che mi ricordavano di lui. Invece è stato tremendo”, raccontò poi Chris. La dimensione di quanto quell’esperienza fu per lui devastante può essere colta nella perfomance in Germania a solo un mese dal tragico evento. Nell’incipit Chris urla disperato ‘Jesus is my friend’ e ha gli occhi lucidi di lacrime, mentre il riff della chitarra di Kim apre in maniera funerea una delle sue più indimenticabili performance canore di Beyond the Wheel.
Qualche mese dopo decise di onorare la memoria di Andy Wood insieme ai suoi amici Jeff Ament e Stone Gossard, dando vita al progetto Temple of the dog. Il brano di apertura è Say Hello 2 Heaven, un commovente addio che nella sua semplicità lascia trasparire la purezza dei sentimenti che univano quei due ragazzi. La performance vocale di Chris regala brividi a distanza di più di trent’anni.
L’album Badmotorfinger è la vera affermazione internazionale. Il primo singolo monta un’incredibile polemica intorno al gruppo. È difficile capire quanto Chris Cornell fosse religioso, sebbene di origine cattolica irlandese. Eppure Gesù è una figura ricorrente nei suoi versi e ne è un esempio il fumante brano metal Jesus Christ Pose, in cui attacca il modo di usufruire della religione a scopi personali. “Lo vedete benissimo nella gente che sfrutta la croce per lasciar intendere che sono sia delle divinità, ma anche dei perseguitati in qualche modo dal loro pubblico. Quindi si tratta di una canzone antireligiosa che esprime rabbia verso questa situazione”. Il video fu accusato di blasfemia e MTV lo censurò sia per i riferimenti religiosi nel testo che per le immagini della ragazza sulla croce.
Il 1992 è l’anno delle magiche performance al festival di Lollapalooza, ma è quello in cui esce il film Singles di Cameron Crowe. Chris Cornell avrebbe dovuto esserne il protagonista, ma all’ultimo si tirò fuori e il suo posto venne preso da Matt Dillon. Compare in un cameo e con una delle sue più appariscenti esibizioni di Birth Ritual. Ma soprattutto compone Seasons, un brano inedito per la colonna sonora che è anche un regalo per il regista. È una delle canzoni in cui si tocca più da vicino quella sua incredibile capacità di suonare ad orecchio e strutturare i suoni in maniera inesplorata.
La consacrazione dei Soundgarden arriva con Superunknown, il loro più grande capolavoro. Durante la registrazione Chris Cornell distrusse cinque microfoni con la potenza della sua voce. Il produttore Micheal Beirnhorn ricorda come il suo cantato fosse così energico da essere udito dall’esterno delle cabine isonorizzate. Dotati entrambi di un ossessivo perfezionismo, misero alla prova la pazienza degli altri membri del gruppo, ma il risultato però fu eccezionale. Black Hole Sun, il terzo singolo estratto, vince il Grammy come miglior perfomance hard rock nel 1995 e diventa l’icona della band negli anni a venire.
Il successo commerciale non corrisponde però alla soddisfazione personale. Down on the Upside è il loro l’ultimo album, la band si scioglie e Chris avvia la carriera da solista. Euphoria Mourning è un lavoro incredibilmente diverso rispetto al passato. Depositate le atmosfere metal, Chris Cornell riscopre la melodia e questo consente di poter apprezzare ancora meglio le mille sfaccettature della sua voce. When I’m Down è un’incantevole blues che è impossibile ascoltare senza sentire bruciare gli occhi di lacrime, tanto la sua voce riesce a toccare il cuore.
Dopo qualche mese l’inquieto Chris si getta in una nuova avventura con Tom Morello e quel che rimane dei Rage Against the Machine. La nuova superband prende il nome di Audioslave. È un momento d’oro per la produzione artistica, ma non si può dire altrettanto della sua vita personale.
La morte di Layne Staley fu un evento che peggiorò e di molto le sue condizioni psichiche, spingendolo ancor di più verso la dipendenza dai farmaci. Tom Morello e gli altri lo costrinsero ad entrare in riabilitazione e pubblicamente Chris li ringraziò di avergli salvato la vita. Uscì da quella clinica solo per le riprese del videoclip di Cochise e ci tornò per completare il programma.
Il loro primo album omonimo si chiude con The Last Remaining Light. La voce di Chris scolpisce con maestria una sorta di gospel in cui si coglie quella lotta che quotidianamente metteva in atto contro i suoi fantasmi. Un ritratto della depressione, una voce che si strazia, ma non si arrende e che cerca ancora di avere una speranza. “E se non credi che il sole sorgerà, resta da solo e saluta la prossima notte nell’ultima luce che rimane”.
Ci furono altri due album con gli Audioslave e ci fu soprattutto lo storico concerto a Cuba, il primo di una rock band. Uno dei momenti più toccanti è quando Chris Cornell intona con la sua chitarra acustica I’m the highway. C’è quasi un senso di rivalsa sulla vita in quei versi, il tormento di un uomo che nonostante l’unicità del suo talento e del successo raggiunto deve continuamente fare i conti con le sue fragilità e che lotta senza arrendersi. “Non sono le tue ruote, sono la tua autostrada. Non sono il tuo tappeto volante, sono il cielo. Non sono il vento che soffia, sono il fulmine. Non sono la tua luna d’autunno, sono la notte”
Anche l’avventura con gli Audioslave si esaurisce e Chris torna alla sua attività da solista. Viene chiamato a comporre una canzone per il film di James Bond Casino Royale. L’idea di confrontarsi con Paul McCartney e la sua Live and let die lo tentò e lo tormentò al tempo stesso, così come ammise alla stampa alla prima del film. Tuttavia il brano è anche una strada per prendere nuovamente le distanze dal rock più duro ed esplorare nuove sonorità.
Questa sua voglia di cambiare non sempre lo ha portato in direzioni artisticamente fruttuose, come nell’album Scream in cui si mette alla prova con il pop elettronico con risultati poco incoraggianti. Eppure il rock scorre nel suo sangue, nel 2010 rimette in piedi i Soundgarden e nel 2012 viene alla luce il loro album King Animal. C’è ancora molto del loro sound, ma appare anche evidente che ci sia il desiderio di andare oltre. Halfway There è una splendida ballata che mai avrebbe trovato posto nei lavori precedenti e che testimonia l’intenzione di Chris di continuare ad esplorare i suoni senza ingabbiarsi in nessuno stile.
Nel 2016 decide insieme ai suoi vecchi amici di portare live il progetto Temple of the Dog. Quell’album era stato suonato in una sola occasione nel 1990 e adesso prende vita in otto concerti che sono a tutt’oggi oggetto di culto per gli appassionati. Nelle serate suonano i dieci brani dell’album, ma c’è spazio anche per brani dei Mother Love Bone e per numerose cover. Sono le stesse canzoni su cui da ragazzi avevano costruito i loro sogni da rockstar. Una di queste, eccezionale per la qualità della performance corale, è War Pig dei Black Sabbath.
E poi Chris si è arreso, senza dare preavviso di quel malessere che lo divorava. Il 17 maggio del 2017, dopo un concerto tenuto a Detroit con i Soundgarden, si è tolto la vita nella sua stanza d’albergo.
A distanza di qualche anno, lo sgomento non è per nulla diminuito in chi lo ha amato profondamente.
Il suo ritratto più veritiero lo fa il suo amico Kim Thayil. “La personalità di Chris era un po’ più libera se si trattava di situazioni sociali. Evitava situazioni che lo impegnavano socialmente o emotivamente. Alcune persone pensavano che fosse snob, perché era inaccessibile e non li guardava direttamente negli occhi, ma non credo che fosse a suo agio nel suo modo di essere per la maggior parte del tempo. Non lo avrebbe mai mostrato, perché era piuttosto cocciuto in questo senso. Semplicemente si disconnetteva. Non si è attaccato alle relazioni nel mondo. Ha viaggiato leggero.”
Chris Cornell aveva lasciato un pezzo della sua disperazione in ogni sua canzone. Tutti noi appartenenti alla famosa generazione X, lo ascoltavamo e pensavamo sempre ‘ecco, lui soffre, ma poi ce la fa’. Lo vedevamo sorridere, perché era un tipo divertente che amava gli scherzi. Proverbiale quello in cui si travestì come un manichino denominato ‘Safety Man’, abbandonato su un divano negli studi di registrazione da Mike Mc Cready. Rimase seduto e immobile fino a quando il fonico entrò nella stanza e saltando in piedi lo fece correre via terrorizzato. Chris Cornell aveva un cuore grande, talento da vendere e un animo nobile e puro. La sua mente geniale ma inquieta ci lascia una ricca eredità fatta di musica, di quelle liriche cariche comunque di speranza e di quell’immenso patrimonio che era la sua straordinaria voce.
ascolti
- Soundgarden – Louder than Love (1989)
- Soundgarden – Badmotorfinger (1991)
- Soundgarden – Superunknown (1994)
- Temple of the dog – omonimo (1991)
- Chris Cornell – Euphoria Mourning (1999)
parole
- Total f*ckin godhead, la biografia di Chris Cornell, Corbin Reiff (Ed. Il castello, 2022)
visioni
- Singles, l’amore è in gioco, regia di Cameron Crowe (1992)