Arrivederci anche a Jeff Beck. Con Eric Clapton e Jimmy Page, dopo la morte di Jimi Hendrix, ha costituito per decenni la magnifica trimurti dei grandi chitarristi del rock, tra l’altro tutti usciti da quella grande fucina di talenti che furono gli Yardbirds.
Se l’è portato via a 77 anni una meningite, resta ora per sempre nell’Olimpo dei maestri, sicuramente per l’enorme tecnica ma anche per la capacità di costruire riff straordinari che fanno parte della storia del rock.
Da For Your Love, primo hit degli Yardbirds fino al terzo millennio, Beck è stato caposcuola del genere rock blues, ma anche chitarrista heavy metal e fusion, innovatore e sperimentatore, dopo aver raggiunto il successo con la band a proprio nome, il Jeff Beck Group che aveva agli inizi un cantante come Rod Stewart.
Geoffrey Arnold Beck era nato a Londra, quartiere di Wallington, il 24 giugno 1944. Fin da piccolo cantava in chiesa e a dieci anni aveva già imparato a suonare abbastanza bene la chitarra acustica. Aveva vent’anni quando iniziò a fare il turnista nel 1964 con la Parlophone incidendo il singolo I’m not Running Away/So Sweet conFitz and the Starz.
Già l’anno dopo veniva reclutato dagli Yardbirds che dovevano sostituire Eric Clapton passato con i Bluesbreakers di John Mayall. Con lui in breve tempo, che suonava anche il violino, il gruppo diventò famoso sulla scena british degli anni Sessanta e sfondarono con brani come Four You Love, Shapes of Things e la futuribile Over, Under, Sideways, Down.
Jeff compare anche al cinema in Blow Up di Michelangelo Antonioni dove viene ripreso mentre si esibisce con il gruppo e poi sfascia la chitarra come Pete Townshend degli Who che erano la prima scelta del regista. Confesso che anch’io, adolescente, sono andato a vedere il film solo per quella scena.
Nel 1966 arrivò Jimmy Page e Beck condivise con lui per un po’il ruolo di chitarra solista poi fu rimpiazzato da Page nell’ultimo album in studio, Little Games (1967)
in cerca di nuove esperienze, Beck formò un gruppo a proprio nome, il Jeff Beck Group con l’allora semisconosciuto Rod Stewart, cantante dalla voce roca e bluesy. Ron Wood al basso, Nicky Hopkins al piano e Mick Waller alla batteria. La band incise due album, Truth (1968) e Beck-Ola (1969) che ponevano le basi dell’hard rock. Poi attriti interni portarono Wood e Stewart ad abbandonare il gruppo per formare i Faces e Beck diede il via ad una seconda formazione con Bob Tench alla voce, Clive Chapman al basso, Max Middleton al piano e Cozy Powell alla batteria, orientandosi verso sonorità più r&b e jazz, una sorta di fusion anticipatrice. Due album, Rough and Ready (1971) e Jeff Beck Group (1972) e anche questo gruppo si sciolse.
Nel 1972 Jeff si unì a due ex Vanilla Fudge, il bassista e cantante Tim Bogert e il batterista Carmine Appice per formare il power trio Beck Bogert and Appice che andò in classifica con una versione tirata di Superstition di Stevie Wonder. In realtà, Wonder aveva scritto il pezzo proprio per Beck, ma i discografici lo convinsero ad inciderlo a proprio nome e, per ricambiare, Steve anni dopo donò a Jeff la sua Cause We’Ve Ended as Lovers (composta per la moglie Syreeta) che lui trasformò in uno strumentale da manuale di cinque minuti per tocco, tecnica, dinamica e armonie.
Il brano comparve sull’album Blow By Blow (1975), prodotto da George Martin, che indicava la nouova direzione intrapresa da Jeff Beck: un jazz rock raffinatissimo che sorprendente ebbe un grosso successo di pubblico e critica in anni in cui la fusion (da lui anticipata con qualche capitolo del JBG) cominciava a dettare legge. Il disco segnava la rinascita artistica di un grande dopo alcuni alti e bassi ed è a tutt’oggi tra le sue cose migliori.
Nell’album successivo, Wired (1976) collaborò con il tastierista cecoslovacco Jan Hammer, ottenendo ancora grandi apprezzamenti dalla critica musicale. Dal rock blues al jazz rock, Beck si confermava come uno dei più grandi chitarristi del mondo, capace di creare affascinanti strumentali pur mantenendo la sua predisposizione al riff incisivo e tagliente.
Da qui in avanti, Beck ha inciso in modo molto sporadico, dedicandosi soprattutto all’attività live che è proseguita fino a poco tempo fa. Ha fatto emergere il talento giovane di Tal Wilkenfeld, cantante e bassista che è stata a lungo con lui in tour e sui dischi. Nel 1980 ci fu There & Back, ancora con Hammer e il batterista Simon Phillips. In Flash (1985) ritornava a suonare con l’antico compagno Rod Stewart e il disco si ricorda per una bellissima versione di People Get Ready di Curtis Mayfield.
Negli anni successivi gli album furono pochi e non tutti memorabili. Parsimonioso nelle sue uscite, Beck ha inciso dieci dischi in quasi cinquant’anni di carriera solista, l‘ultimo dei quali, Loud Hailer, risale al 2016. Ha collaborato con celebri colleghi chitarristi come Les Paul (a cui deve un po’ del suo stile pulito), Carlos Santana e Brian May ma anche con Roger Waters (Amused to Death), Cyndy Lauper e altri artisti di fama mondiale.
E’tornato alla ribalta nel 2022 incidendo un album, “18“, insieme a Johnny Depp, attore ma anche cantante e chitarrista, con un singolo di successo, Isolation, dalle sonorità decisamente vintage.
Il suo ruolo nella storia del rock è determinante, anche se lui non è mai stato troppo sotto i riflettori, a differenza dei colleghi Clapton e Page (eccezionale con gli Zeppelin, mediocre da solo), preferiva suonare e non fare la rockstar, rinunciando agli ingranaggi perversi del successo.
Rifiutò di unirsi ai Rolling Stones che nel 1975 dovevano sostituire Mick Taylor affermando “Sarei diventato ricco, ma non felice”.
Mick Jagger lo ha comunque ricordato con affetto e riconoscenza. “Con la scomparsa di Jeff perdiamo un uomo meraviglioso e uno dei migliori chitarristi del mondo. Mancherà moltissimo a tutti noi”.
Una mente brillantissima uccisa da una forma letale di meningite batterica. Ma le sue opere, come avviene con i grandi artisti, rimarranno per sempre.
ascolti
- Yardbirds – For Your Love (1965)
- Yardbirds – Roger the Engineer (1966)
- Jeff Beck Group – Truth (1968)
- Beck Bogert and Appice (1973)
- Blow By Blow (1975)
- Wired (1976)
- Loud Hailer (2016)
visioni
Blow Up (1966) di Michelangelo Antonioni