Ci sono voci che superano la dimensione del suono, arrivano dritte al cuore e accendono le emozioni di generazione in generazione, superando la barriera del tempo e rimanendo immortali. Una di queste appartiene ad Otis Redding, che nella sua breve ma intensa vita è riuscito come pochi a conquistarsi un posto nell’olimpo degli indimenticabili della storia della musica soul.
Otis Ray Redding Jr. nasce a Dawson in Georgia il 9 settembre del 1941. Il padre era un predicatore e lui stesso cantava nel coro della Chiesa Battista di Vineville, dove ha imparato da bambino a suonare la chitarra e la batteria. Subì come molti l’influenza musicale dello scatenato rock’n’roll di Little Richard, originario peraltro di Macon, la cittadina dove Redding aveva vissuto durante l’infanzia. Più tardi si lasciò prendere anche dal soul di Sam Cooke e di James Brown.
Non fu un’infanzia facile la sua: a causa dei problemi di salute del padre dovette lasciare presto la scuola per andare a lavorare. Il sacro fuoco della musica deve avergli scaldato comunque il cuore, cosicché in quegli anni riuscì a suonare la batteria in alcuni gruppi gospel di domenica mattina. Continuò a coltivare il suo sogno, muovendosi in tournée con gli Upsetters, l’ex gruppo di Little Richard. La svolta della sua carriera avviene alla fine degli anni ‘50 grazie un concorso per talenti, il Teenage Party.
Otis Redding vince per quindici settimane consecutive e soprattutto incontra il chitarrista Johnny Jenkins, il quale gli offre di unirsi al suo gruppo per un tour. Attraverso Jenkins, conosce anche Phil Walden che diventerà il suo manager e lancerà definitivamente la sua carriera. Walden aveva interrotto gli studi per i contrasti con il padre, che non approvava le sue scelte. Negli anni successivi Redding ripagò il debito di riconoscenza, sovvenzionando egli stesso i suoi studi. Gli consentì così di laurearsi e lanciare la propria attività, la “Phil Walden & Associates”, una delle più importanti agenzie di R&B dell’epoca.
Nel 1960 Otis Redding incide le sue prime canzoni. Shout Bamalama è una dichiarazione d’amore in musica per lo stile energico ed elettrizante di Little Richard. La sua carriera decolla quando, sotto la mitica etichetta Stax/Volt, vedono la luce brani come Mr. Pitiful e Respect. I Rolling Stones fecero una famosa cover negli stessi anni di Mr. Pitiful e Otis Redding ricambiò l’omaggio con una personale versione di (I can’t get no) Satisfaction. Aretha Franklin a sua volta incise nel 1967 una indimenticabile cover di Respect, portando il brano ad un eccezionale successo. La versione della Franklin è tuttora considerata la migliore canzone di tutti i tempi nella classifica della rivista Rolling Stone.
Otis Redding ha un timbro unico e avvolgente, energico e al tempo stesso vellutato. C’è energia nella sua voce e passione per la vita. Nell’America ancora dilaniata dalla segregazione razziale il suo messaggio di amore universale non rimase di certo inascoltato. Insieme ad altri portò il soul nero ai bianchi, contribuendo con il potere della musica ad un cambiamento culturale. Insieme a Jerry Butler e il superlativo Steve Cropper alla chitarra diede vita ad uno dei suoi brani più famosi I’ve been loving you. Sono liriche semplici dedicate all’amore, forse ispirate da vita vissuta, più probabilmente inneggianti a una dimensione più universale del sentimento del bene.
Questo messaggio di rispetto e amore fraterno traspare infatti in maniera più chiara in una delle sue storiche esibizioni al Monterey Pop Festival nel 1967, in quella che potremmo considerare un’anticipazione storica dell’evento di Woodstock. “This song is that we are all the same sometimes. This is the love crowd, we all love each other. Don’t we?” (Questa canzone è sul fatto che a volte siamo uguali. Questa è la folla dell’amore, ci amiamo l’un l’altro, non è vero?) dichiarò introducendo il brano al vasto pubblico. Otis Redding è l’unico rappresentante R&B in una manifestazione completamente rock. La sua performance è straordinaria e quel suo modo incomparabile di comunicare con l’anima attraverso la voce lo consacra definitivamente.
All’apice della sua carriera scrive un’altra incredibile canzone, (Sittin’ on) The dock of a bay, successo ancor più universale ed iconico. “Seduto qui a riposare le mie ossa e questa solitudine non mi vuole lasciare. Ho girovagato per duemila miglia solo per fare di questo molo la mia casa. Ora mi siederò sul molo della baia a guardare l’arrivo della bassa marea.”
La semplicità di questi versi, intimi e al tempo stesso universali, si rispecchia nell’armonia altrettanto lineare degli accordi. Traspare l’apatia e una nota di sconforto tipica dei momenti di riflessione su sè stessi. Redding scrisse questa ed altre canzoni mentre la sua attività era ferma per un intervento alle corde vocali. Successivamente la sua voce apparve persino più morbida e vellutata che in precedenza.
Il fischiettio finale aggiunge una nota di leggerezza alla dolce malinconia del brano e restituisce un senso di rassegnata accettazione del corso della vita.
Il suo album The dock of the bay avrebbe dovuto determinare ciò che lui stesso definiva “il nuovo Otis Redding”. Lo stile musicale è infatti diverso dalle precedenti produzioni ed indubbiamente ancor più individuale e personale. Era il suo momento di maturità artistica e come uomo. Si sentiva determinato a raggiungere un maggiore controllo sulla propria musica e sul proprio lavoro in generale. Fu proprio in quel periodo che acquistò un bimotore e pensò di utilizzarlo per velocizzare e rendere meno faticosi gli spostamenti durante i tour. E nel momento in cui dominava la sua vita come non mai, il destino ce lo ha strappato via in quell’incidente aereo il 10 dicembre del 1967 all’età di soli ventisei anni. Il suo bimotore precipitò nel lago Monona nello stato del Wisconsin. Aveva inciso (Sittin’ on) The dock of the bay solo tre giorni prima. Il brano fu pubblicato l’8 Gennaio del 1968 e la commozione per la sua scomparsa lo spinse fino al primo posto nella Billboard Hot 100.
Il 26 dicembre del 1967 Jim Morrison fece un tributo ad Otis che avrebbe dovuto aprire per il concerto dei Doors e cantò un verso che divenne l’overture di Runnin’Blue: “Poor Otis dead and gone, left me here to sing his song” (il povero Otis morto e andato, mi ha lasciato qui a cantare la sua canzone). Nel 1969 la canzone The dock of the Bay vince il Grammy. Come tutti i migliori, anche Redding finisce essere un artista postumo, realmente apprezzato dal mainstream musicale solo dopo la sua morte. Eppure persino i Beatles traevano ispirazione dal suo stile in Rubber Soul del 1965, dichiarandolo apertamente e senza fare mistero di apprezzare la sua musica. Era un rapporto di amore reciproco testimoniato dal alcune strepitose interpretazioni dello stesso Redding di famosi brani dei quattro di Liverpool. Basti ricordare l’incredibile cover di Daytripper in cui il rock’n’roll si tinge di soul e testimonia in pieno il senso del R&B.
Nel 1989 Otis Redding viene introdotto alla Hall of Fame proprio da Little Richard. I quindici minuti di dedica nel commemorazione di Redding sono un misto di commozione e cabaret, in cui si ride e si piange per una perdita che brucia ancora come il primo giorno. “Quando ti ho sentito cantare Lucille pensavo di essere io” ricorda fra le risate Little Richard. E quando lui stesso intona le note di The dock of the bay è evidente a tutti quanto avesse infinitamente ispirato Otis Redding perché sembra quasi di risentirlo.
La vedova di Redding sale sul palco a ritirare il premio e lui l’accompagna fuori dal palco fra le sue braccia con una tenerezza disarmante. “Sono passati ventun anni ma sembra ieri, non possiamo dimenticare la sua musica perché era davvero qualcosa di grande” sono le parole commosse di Zelma Redding.
A distanza di tanti anni rimane ancora il rammarico di aver perso troppo presto un personaggio di una tale caratura e carisma. Eppure la memoria di Otis Redding è più viva che mai. Resta la sua voce unica e indimenticabile, l’immagine di quegli occhi che sprizzavano di gioia e inneggiavano alla vita e quelle meravigliose canzoni che continuano a riempire i cuori di generazione in generazione.
LETTURE:
Otis Redding: An Unfinished Life, Jonathan Gould – Crown Editor, 2018