Wave Goodbye, l’omaggio di Chris Cornell per l’amico Jeff Buckley

Ci sono amicizie che resistono al tempo e alle avversità della vita, relazioni che nemmeno la morte riesce a spezzare. Chris Cornell e Jeff Buckley amavano la musica ed erano entrambi dotati di uno straordinario talento compositivo e vocale. La passione per la musica che li ardeva e li rendeva unici e speciali, li avvicinò con semplicità. Cornell ricordava con piacere quanto potesse essere importante avere un vero amico all’interno dello star-system.

“È molto raro trovare qualcuno a cui puoi telefonare e spiegare quello che stai passando come autore, cantante o membro di una band o quello che ti capita nell’industria musicale e sapere che dall’altra parte c’è qualcuno che capisce perfettamente. Credo che quella fosse una componente importante del nostro rapporto. C’era, tra noi, una specie di terreno comune” raccontò in un’intervista a Guitar One nel 1999.

Chris Cornell ha sempre mostrato interesse per i vocalist e i frontman di altre band del periodo, basti pensare all’amicizia che lo ha unito a Andy Wood, Shannon Hoon, Layne Staley e Eddie Vedder. Aveva bisogno di confrontarsi e forse anche di misurarsi con gente che fosse dotata di altrettanto carisma e di un talento come il suo.

Nel 1997 Jeff Buckley scomparve prematuramente per annegamento in un incidente inspiegabile, che a distanza di anni ci lascia ancora attoniti e addolorati. Il destino privò così Cornell del suo caro amico e il mondo intero della sua bravura. Non deve essere stato semplice per Chris affrontare quella tragedia. Nella sua giovane vita aveva già dovuto superare il lutto per l’improvvisa scomparsa di Andy Wood e di Shannon Hoon. Ancora una volta però cercò di dare un senso al dolore, restituendo alla vita quel rapporto e rendendolo in qualche maniera immortale. E lo fece attraverso la musica.

Come aveva già fatto per Andy Wood, scrisse anche per Jeff Buckley una canzone, Wave Goodbye.
Il brano ha un’atmosfera funky con coloriture blues, leggera eppure dolcemente malinconica. La voce di Cornell, baritonale e potente, si sviluppa in un cantato lieve e mesto. Con sincerità e semplicità descrive l’esperienza universale del dolore della perdita. Lo smarrimento e il vuoto sono quelli che si provano, quando qualcuno a cui vuoi bene ti viene strappato dal destino.

“Le parole si aggrovigliano sulla tua lingua e inciampi nei tuoi piedi quando ti manca qualcuno. E pensi di vederli ovunque camminando per strada… Dici a te stesso che andrà tutto bene. Cerchi di rialzarti forte e coraggioso, ma tutto quello che vorresti fare è sdraiarti e morire”

Parla per esperienza personale, quando dice di aver avuto l’impressione di vedere l’amico perduto per strada e di ricordare solo successivamente che non ci fosse più. Un’esperienza che Chris Cornell aveva già provato con la scomparsa di Andy Wood e che il destino gli ripropone con cattiveria.

“Dopo la sua scomparsa, diverse volte mentre guidavo ho guardato fuori dal finestrino e ho creduto di vederlo. Mi ci volevano tipo cinque minuti per ritornare al presente e rendermi conto che no, che Andy era morto”.

Capace di grandi slanci di generosità, Chris Cornell si offrì di aiutare la madre di Jeff Buckley, Mary Guibert, a completare il suo album postumo Sketches (For My Sweetheart The Drunk). La madre di Buckley fu così toccata dall’impegno che ci mise, che gli regalò una delle chitarre di Jeff, una Rickenbacker 360 a dodici corde.

Wave Goodbye rimase nel cassetto e non venne subito registrata. Chris Cornell aveva un rapporto molto privato con le sue canzoni ed era quasi geloso di quelle che narravano vissuti personali.
Non amava che il pubblico attribuisse ad esse significati differenti, proiettandovi emozioni e vicende a loro volta personali. La seconda metà degli anni novanta fu un periodo piuttosto complesso della sua vita: aveva lasciato i Soundgarden determinandone lo scioglimento e si avviava incerto alla carriera da solista. Diede vita al suo primo album solista nel 1999, Euphoria Mourning, e si lasciò convincere ad inserire quella canzone. 

Nel 2011 Chris Cornell iniziò un tour in cui si esibiva da solo con versioni acustiche del suo repertorio. Portava sempre con sè sul palco un telefono rosso durante le serate. Una volta, a Houston, dal pubblico gli chiesero perché lo facesse e lui raccontò candidamente di averne avuto uno uguale che aveva distrutto in un raptus di rabbia da ubriaco. Aggiunse che quello che aveva accanto era appartenuto a Jeff Buckley e che gli era stato regalato da sua madre dopo la sua prematura morte. Se lo era ritrovato per errore nell’attrezzatura degli strumenti che si portava in tour e da allora aveva voluto che gli fosse sempre accanto sul palco. “Lui lo usava per parlare con Dio… io lo uso per parlare con Jeff” aggiunse Cornell, come a sottolineare quanto quel rapporto continuasse a contare, superando nel suo cuore i confini dello spazio e del tempo.

Ancora oggi, a distanza di anni, la storia della loro amicizia è capace di evocare stupore, ammirazione e commozione. Per mezzo della musica Chris Cornell ci ha regalato uno stralcio di vita personale, attraverso cui è possibile riflettere sul significato profondo ed universale dell’amicizia. E soprattutto ci ha lasciato una canzone che riflette e respira ancora oggi di quel profondo sentimento.


parole

Total Fucking Godhead – la biografia di Chris Cornell

Ti potrebbe interessare