Tony Hadley a Bologna: da new romantic a old romantic, una voce soul sempre intatta

Da new romantic ad old romantic, Tony Hadley è sempre lui, anche se gli anni passano. Lo ha dimostrato anche a Bologna, in un Teatro Duse gremito di nostalgia canaglia, tappa del tour quarantennale degli Spandau Ballet, il gruppo che lo ha fatto conoscere al mondo.

Nell’Inghilterra dei primi anni Ottanta, Duran Duran e Spandau erano come Beatles e Stones, si contendevano il favore delle masse mentre soffiava il vento di una nuova musica romantica, pop elettronico dopo la sfuriata punk, dolcezze easy e tanto ritmo, spesso venato di funk.

Gli Spandau non ci sono più, i Duran Duran sì. Ma Tony Hadley è sempre lì, leader di una band in spolvero in cui spicca la vocalist e percussionista Lily Gonzales, autentica macchina da guerra, voce incredibile, colonna sonora cui appoggiarsi anche se a dirla tutta, le corde vocali di Tony sono decisamente al posto loro. Hadley è in forma, a dispetto del tempo che trascorre e di qualche chilo in più. Sfodera una voce tenorile e vellutata, tra vibrato soul e gorgheggi, da far invidia a coetanei sfiatati come Bono.

Uno show ben costruito, di grande professionismo. Tony tributa gli Spandau Ballet, ciòè se stesso, con le hit di un passato glorioso, riconoscendo umilmente, in un italo-inglese comprensibile: “Senza gli Spandau, senza di voi, senza di loro, non sarei dove sono”. E giù, alla grande, tutte le canzoni famose di un repertorio collaudato. dall’iniziale, pulsante, Instinction. Prima esplosione del teatro, che risuonerà di good vibrations per tutto il concerto, con To Cut a Long Story Short. Poi, via via, arrivano Only When You Leave e I’ll fly For You, Primo boato per la ballad Round and Round, con la gente che comincia ad alzarsi in piedi e dondolare.

Tony canta e scherza con il pubblico, sorride spesso, agita un bicchiere di bourbon che presenta come “Jack Daniels”, sesto membro del gruppo a tutti gli effetti. Ma il whisky fa bene alla voce, a quanto pare. Su un brano come Through Barricades, canta, suadente, vellutato: “facciamo l’amore sulla terra desolata”. Che è sempre meglio che farsi la guerra, purtroppo, ancora oggi, come nel 1986 in cui il brano fu scritto, un invito a non combattersi, a superare le barriere.

Anche sulle impervie carezze di True, con il pubblico che canta in coro i versi che conosce a menadito, la voce è ben salda. Anche quando si cimenta con le discese ardite e le risalite di Somebody To Love in omaggio a Freddie Mercury, a qualche giorno dal triste anniversario. “Ci ha lasciato un grande cantante, una persona speciale, un uomo e un amico magnifico. Questa è per lui”. Ed è un tributo più che degno, alla memoria dell’indimenticata Regina.

Poi la funkissima, ribollente, Chant n.1, anche questa con un repeat molto attuale, considerati i tempi (“I don’t need this pressure on”) che si salda con Lifeline. La TH Faboulous band pompa energia, con chitarra, basso, tastiere e batteria, ricama le hit e richiama il tempo che fu, che non se n’è mai andato. E amore scorre tra Hadley e il pubblico, con la gente che si alza a ballare dai palchi e in platea. Una nuova esplosione saluta True, cantata in coro con rimandi reciproci dal palco, ballad senza tempo (si sente però l’assenza di un sax), quasi inevitabilmente seguita da Gold, altro successone che parte lieve e poi si snoda pompando soul con potenza controllata.

E poi si chiude con un altro tributo, Santa Claus is Coming To Town dal repertorio di Bruce Springsteen (ma è una vecchia canzone natalizia degli anni Trenta) ,in un paragone vocale meno arduo del precedente, per salutare ad una ad una le signore accalcate sotto il palcoscenico, augurando Merry Xmas a tutti. Non ci sarà bis, ma va bene così. Tony Hadley ha cantato quasi senza interruzione per quasi due ore, non si è risparmiato. Non è solo una reliquia degli anni Ottanta, ma un artista vivo e consapevole. To cut a long story short, gente: un bel concerto.

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