Concerto davvero strepitoso quello dei Calibro 35 al Teatro Celebrazioni di Bologna. Un omaggio al genio di Ennio Morricone, compositore tra i massimi del Novecento, strumenti elettrici ma anche violino, flauto, vibrafono, clarinetto, armonica, musicisti che sanno il fatto loro come una piccola orchestra affiatata e potente.
I suoni prodotti dai magnifici sette sul palco vengono da colonne sonore e composizioni contemporanee. E’ la musica che usciva da tutte le parti quando eravamo ancora giovincelli ignari, da Carosello, dai film in tv, dalla radio e che oggi, maturi (forse) possiamo apprezzare in tutta la sua magnificenza.
La interpretano in chiave moderna, tra accenti psichedelici e perfino industrial, costruendo muri di suono e armonie celesti, rumore e melodia, i Calibro 35,band italiana di spessore internazionale. Perché la proposta del gruppo diretto e prodotto da Tommaso Colliva va ben oltre i generi, spazia dalle sonorità ispano-messicane amate da Morricone a dissonanze teutoniche, dall’acid-rock alla sinfonica, nella celebrazione di un’ intelligenza musicale assoluta che tutto il mondo ci invidia.
Il viaggio sonoro inizia dal silenzio. I Calibro 35 appaiono sul palco e non parlano, ma si lanciano in un itinerario musicale che tocca soundtrack celebri e canzoni famose (Se telefonando grande successo della prima Mina, storia di un amore “appena cominciato che è già finito” scritta da un Maurizio Costanzo in vena poetica), i paesaggi western desolati di Il Buono il Brutto il Cattivo (quelli che hanno ispirato Dire Straits e Metallica, Ry Cooder e Calexico, Brian Wilson e Bill Frisell e centinaia di altri), bossanova (Metti, una sera a cena) e periferie urbane dove si svolgono sparatorie e indagini poliziottesche su “cittadini al di sopra di ogni sospetto” mentre chitarra e basso si inseguono come in un pedinamento.
Calibro 35 non presentano i brani, lasciano la parola a spezzoni audio dai film e a dialoghi dello stesso Morricone dal bellissimo film Ennio di Giuseppe Tornatore. E’una scelta intelligente che non rompe il ritmo del concerto con inutili discorsi, spezza il risaputo rito live dell’artista che interviene su se stesso, talvolta a sproposito.
Enrico Gabrielli (tastiere, voce, flauto traverso, sax, clarinetto) e Max Martellotta (tastiere e chitarra) sono i poli opposti e complementari sul palco, anche visivamente, del suono, Fabio Rondanini (batteria) e Luca Cavina (basso) la macchina ritmica che sostiene il tutto. Un ensemble compatto, determinato e capace di svolte improvvise, finezze sonore e disturbanti, questi Calibro 35 arricchiti da altre presenze. Valeria Sturba vocalizza, suona il violino e manovra con destrezza il theremin, il trombettista Paolo Raineri interviene in modo misurato ed efficace a colorire il suono, Sebastiano De Gennaro, sapiente percussionista, somiglia anche fisicamente a Morricone, con quegli occhiali neri e spessi, dietro il vibrafono.
Insomma, si gode e non poco. E’una musica totale quella che sgorga dai Calibro 35, colonna sonora di inquietudini e dolcezze, galoppate nel deserto, incontri clandestini e surf sulle onde dell’Oceano. Musica mirabile, sospesa tra l’inferno e il paradiso, come è spesso la vita, opera di un trombettista mancato che sognava di diventare compositore contemporaneo (partendo da esperimenti al limite dell’udibile, qui saggiamente riverberati) e lo fu, attraverso il cinema e le canzoni, veicolo che ha trasportato fino a noi una musica immaginifica e in fondo semplice (molti dei temi morriconiani possono essere fischiettati sotto la doccia) ma capace di scolpirsi indelebilmente nella memoria collettiva.
Suonano in silenzio, i Calibro 35 e producono musica magnifica, come nel concerto di un’orchestra classica. Solo alla fine Gabrielli presenta i membri del gruppo e raccoglie uno scroscio di applausi, con inevitabile richiesta di encore.
Quando nel bis le note dell’armonica introducono C’era un volta il West e dipanano la lunga vendetta del cowboy solitario, è tutta un’epica western che si schiude davanti a noi, si innalza in una cascata di emozioni e si conclude nella meritatissima standing ovation.
Un’ora e quaranta di enorme intensità, sottolineata da un sapientissimo gioco di luci, i concerti che piacciono a noi. Senza fronzoli e senza ma. Dritti al cuore.