Cambiano i protagonisti, ma il buon vecchio Sud resta la locomotiva del rock americano.
E lo fa con la classe e l’energia dei The Black Crowes che hanno incendiato l’Alcatraz di Milano in una notte di ottobre in cui bisognava solo mettere sul rogo il fonico – ammalato di una strana forma di otite che lo ha costretto a portare i volumi a dei livelli inumani – altrimenti sarebbe stata perfetta.
Era una delle tante date di “recupero” dalla pandemia Covid che aveva letteralmente annullato quel magnifico fenomeno che sono i concerti live, almeno quelli che contano. E per fortuna.
Passano gli anni anche per Chris Robinson, ecchecazzo, che fa il guitto nella parte iniziale, per poi calare nella sua frenesia di vero animale da palco, ma non risparmia certo la voce che rimane – unica, sofferta e personale – una delle più belle e sincere in circolazione sui palchi del rock che conta.
Poi la miscela di blues, rock, funk, psichedelia e folk che caratterizza da sempre il sound della band della Georgia fa il resto, e lo fa coi controcoglioni. Un’orgia alla quale manca solo il sesso sfrenato per essere perfetta.
Un concerto che non è il classico greatest hits per portare a casa la pagnotta, ma la celebrazione del loro album Shake Your Money Maker che ci ha riportati a sudare come delle bestie in quel 1990 regalandoci anche alcune perle. I vecchi leoni della Georgia sono ancora in pista, nonostante ripetuti scioglimenti, e a Milano hanno voluto ribadire che loro, assieme alla Tedeschi Trucks Band, restano i capofila, la locomotiva che traina quel bellissimo treno, per nulla sbuffante, che è il rock del Sud degli USA.
Le band leggendarie che hanno codificato quel suono (Allman Brothers, Lynyrd Skynyrd etc.) sono scomparse o, in certi casi, sarebbe meglio che si ritirassero, ma a tener alta la bandiera della buona musica (e, per fortuna, non quella confederata) abbiamo diverse nuove formazioni nate, soprattutto, sulla spinta dei Black Crowes che – sul finire degli anni ’80 – hanno voluto dare una potente scrollata ad un rock che stava diventando una parodia di sé stesso, almeno laggiù nel Deep South.
Ebbene, per farla breve, concerto stellare, purtroppo rovinato da un suono al limite del vergognoso ma che ha permesso ad un pubblico per lo più di teste canute – dove spuntava per fortuna qualche giovane (c’è sempre una speranza nel r’n’r) – di godersi di uno spettacolo quasi insperato.
I fratelli Chris e Rich Robinson si presentano sul palco alle 21.15 (sia lodato l’orario) dopo un breve ed infuocato set del trio olandese De Wolff. Belli carichi, danno inizio al concerto che ripropone, nell’esatto ordine di brani, il loro album d’esordio Shake Your Money Maker che dimostra di non aver subito il passare del tempo. Dall’iniziale Twice As Hard fino a Stare It Could insieme alla Hard To Handle di Otis Redding, particolarmente apprezzata e ballata dal folto pubblico.
Un set infuocato, con l’istrionico band leader a saltare sul palco con le sue tipiche mosse sensuali che si ridimensionano col passare del tempo (non è più un ragazzino nemmeno lui), ma con la voce sempre a dire «sono uno dei migliori».
Ma non finisce qui, arriva una stellare ed acustica Soul Singing (da Lions del 2001) seguita dalla meravigliosa cover di Oh! Sweet Nuthin, cantata come al solito da Rich, per me l’apice della serata, con l’intensità di questa ballata a far scendere sul palco dell’Alcatraz gli spiriti benevoli dei fratelli Gregg e Duane Allman, ancor più che quelli di Lou Reed e John Cale.
Versione da pelle d’oca (col fottuto caldo che c’era, tutta manna dal cielo) Poi Wiser Time da quel gioiello di Amorica, mentre dal capolavoro Southern Harmony & Musical Companion vengono le eccellenti riproposizioni di Thorn In My Pride e l’attesissima Remedy accolta da un boato prima che gli otto lascino il palco per rientrare per l’unico (purtroppo) bis. E, anche se ci aspettavamo Moonage Daydream ad omaggiare David Bowie, ecco Good Morning, Captain (da Before the Frost…Until The Freeze)
Vabbé, mica possiamo volere la luna, ma di concerti come questo la “canuta platea” di ieri sera ha ancora una gran fame. Poi via tutti a casa felici e contenti per aver assistito ad una di quelle notti che sapranno restarti dentro.
I Black Crowes sono una di quelle band di cui non puoi fare a meno, perché non solo tecnicamente sanno il fatto loro, ma hanno quella capacità – non da tutti – di trascinarti all’interno dello spettacolo, di farti sentire quasi uno di loro e, allo stesso tempo, come se si insinuassero nella tua anima che poi – diciamocelo – è il vero potere del rock’n’roll.
It’s Only Rock’n’Roll, But I Like It…