Nick Drake, arte lunga e vita breve di un cantautore fondamentale

Nick Drake, vissuto appena 26 anni, è stato uno dei cantautori britannici fondamentali per le generazioni successive. Della sua breve vita il ricordo più grosso – per parafrasare Lucio Dalla – è tutta questa musica che ci portiamo addosso. Drake ha influenzato decine di cantautori a venire, con il suo songwriting intimista e misurato, lievemente dark, e tre gioielli che rimarranno nella storia come Five Leaves Left (1969), Bryter Layter (1971) e Pink Moon (1972) ai quali sarebbe opportuno, ogni tanto, andare ad abbeverarsi.

Nato a Yangon (Birmania) dove il padre Rodney Shuttleworth Drake era al lavoro come ingegnere, il piccolo Nicholas tornò in Inghilterra con la famiglia quando aveva due anni a Tanworth-in-Arden, borgo a sud di Birmingham. Entrambi i genitori erano appassionati di musica e scrivevano canzoni, così Nick e la sorella Gabrielle che divenne poi attrice di successo nella serie tv UFO, crebbero nell’arte. E il giovane Drake fu influenzato dalla scrittura della madre Molly Lloyd, come dimostrano le registrazioni trovate dopo la morte di lei, simile fragilità vocale, timbro malinconico e stesso fatalismo.

Il Drake adolescente era tutt’altro che fragile, praticava con successo l’atletica ed era capitano della squadra di rugby. Chi lo ha conosciuto all’epoca lo descrive come una persona sicura di sé, distaccata e in qualche modo autorevole. Imparati anche il clarinetto e il sassofono, oltre al pianoforte che conosceva già, formò i Perfumed Gardeners con alcuni compagni di studio. Nel 1965 si comprò la prima chitarra acustica e cominciò a familiarizzare con il fingerpicking e le accordature aperte.

Iscritto al college, malgrado il suo rendimento peggiorasse perché sempre più preso dalla musica, frequentò per sei mesi l’università di Aix-Marseille in Francia e poi andò con degli amici in Marocco dove cominciò a fumare cannabis e tornato in Provenza, anche a prendere l’Lsd in funzione ispirativa, come dimostra la canzone Clothes of Sand

Le droghe gli fecero perdere interesse per lo sport, ma non per la musica. Aveva scoperto il folk americano e britannico, Van Morrison e Bob Dylan, Donovan, Phil Ochs e il country blues di Josh White. Nel 1968 Ashley Hutchings dei Fairport Convention, che lo aveva visto suonare a supporto di Country Joe and the Fish al Roundhouse di Camden, rimase impressionato dalla sua tecnica chitarristica ma anche dalla sua immagine. “Sembrava una stella. Sembrava meraviglioso, sembrava alto due metri”. Hutchings lo presentò al produttore Joe Boyd, che aveva scoperto John Martyn e i Fairport ed era stato manager dei primi Pink Floyd. Lui e Drake si intesero subito e Boyd gi fece registrare l’album di debutto, Five Leaves Left

Drake saltò le lezioni per partecipare alle sessions con Boyd che voleva ottenere un suono simile a quello studiato da John Simon per Leonard Cohen. Voleva che la voce venisse catturata in uno stile intimo, “senza riverbero pop sfavillante” e incluse un arrangiamento d’archi “non sdolcinato”. Alle registrazioni parteciparono musicisti della scena folk britannica come Richard Thompson, chitarrista dei Fairport e Danny Thompson, bassista dei Pentangle, ma non andarono bene e sorsero delle divergenze artistiche. 

Nick volle che a creare un suono “più organico” fosse chiamato l’amico di college Robert Kirby, studente senza nessuna esperienza e, malgrado le perplessità di Boyd, si rivelò la persona giusta. L’arrangiamento del pezzo forte, la bellissima River Man, fu però affidato all’esperto compositore Harry Robertson. L’album ricevette recensioni contrastanti e fu passato poco in radio, se non nelle trasmissioni progressiste di John Peel.

Lasciata definitivamente la scuola, malgrado il parere contrario del padre, Drake si concentrò sulla musica, andò a vivere per un po’ di tempo nell’appartamento della sorella a Kensington, ma soprattutto dormiva su divani e pavimenti di amici. Per dargli un po’ di stabilità, Boyd gli trovò e pagò un monolocale a Belsize Park, Camden. Dopo qualche apparizione deludente in show della BBC e in qualche folk club, poiché la gente si aspettava qualcosa di meno intimista, decise di ritirarsi dalla scene e registrare il secondo album. Drake sembrava spesso scontroso e riluttante, si fermava spesso ad accordare alla chitarra e questo spazientiva spesso il pubblico. In realtà era solo concentrato su un’arte che sarebbe stata capita solo anni dopo.

Bryter Layter (storpiatura di “Brighter Later”, frase con cui si concludevano spesso le previsioni del tempo in tv) fu pubblicato nel 1971. Boyd aveva insistito per introdurre basso e batteria, ottenendo un suono più ottimista e jazz, meno pastorale. Fu registrato ancora con musicisti dei Fairport e John Cale diede il suo contributo a canzoni come Northern Sky e Fly che risentono delle sue strutture sonore. Cale usava eroina in quel periodo e gli amici ritengono che anche Drake la prendesse

Boyd era sicuro che l’album sarebbe stato un successo, ma vendette solo tremila copie. Poco dopo l’uscita il produttore, deluso, si trasferì a Los Angeles.

Perso così il suo mentore principale, insoddisfatto dei riscontri, Drake cominciò a precipitare nella depressione, favorita anche dalle droghe. A Londra era infelice e insicuro, a disagio nei concerti dal vivo. Fece una delle sue ultime apparizioni all’Ewell Technical College, nel Surrey. Ralph McTell, cantautore che era con lui quella sera, lo descrive così: “Nick era monosillabico. In quel particolare concerto era molto timido. Ha fatto il primo set e deve essere successo qualcosa di terribile. Stava facendo la sua canzone Fruit Tree e se n’è andato a metà del pezzo”.

Nel 1971 la famiglia lo convinse a rivolgersi ad uno psichiatra che gli prescrisse antidepressivi. Ma lui esitava a prenderli, visto che fumava quantità incredibii di cannabis e temeva gli effetti collaterali. La casa discografica lo spingeva a promuovere il disco con interviste, trasmissioni radio e show dal vivo ma Drake, che stava cominciando a mostrare i primi segni di psicosi, se ne infischiava. Si ritirò in se stesso e lasciava l’appartamento solo per qualche raro concerto o comprare droga. “Fu un momento molto brutto. Una volta mi disse che tutto cominciò ad andare male da allora e penso sia stato proprio così”, confermò la sorella.

La Island non si aspettava né voleva un terzo album. Ma Drake era determinato a “rimediare” e incise in solo due notti in studio con John Wood Pink Moon, disco in cui ritornava all’intimismo di Five Leaves Left, rinunciando al suono “troppo pieno, troppo elaborato” di Bryter Layter. C’è solo una sovrincisione di pianoforte nella title-track per il resto sono solo lui, la sua voce inconfondibile e la sua chitarra. Come sottolineò più tardi Wood “Era molto deciso a fare questo disco, spoglio e crudo. Sicuramente voleva che lo impersonsasse più di ogni altra cosa. E credo che, per certi versi, Pink Moon sia probabilmente più simile a Nick che gli altri due dischi“.

Anche Pink Moon, oggi considerato capolavoro assoluto, non fu compreso in un’ epoca dominata da cantautori dalla vena pop come Elton John e Cat Stevens. Tuttavia Chris Blackwell, il boss della Island era convinto che avesse il potenziale per portare Drake verso il grande pubblico. Ma la sua voglia di promuoverlo si dovette scontrare con la riluttanza di Nick. Come scrisse il critico Connor McNight “Drake è un artista che non finge mai. L’album non fa alcuna concessione alla teoria secondo la quale la musica dovrebbe essere evasione. È semplicemente la visione della vita di un musicista al momento, e non si può chiedere di più”

Nuovamente deluso, perse ancor di più la fiducia nelle sue capacità di scrittura. Diventò sempre più asociale e distante, tornò a vivere con i genitori, rendendo spesso loro la vita difficile. “Non mi piace stare a casa, ma non potrei essere da nessun’altra parte”, confidò alla madre. Viveva con 20 sterline alla settimana che gli passava la casa discografica e spesso non aveva i soldi nemmeno per un paio di scarpe. Appariva di sorpresa in casa di amici, senza alcun preavviso, come racconta Kirby: “Arrivava e non parlava, si sedeva, ascoltava musica, fumava, beveva qualcosa, dormiva lì la notte, e due o tre giorni dopo non c’era più, se ne andava. E tre mesi dopo sarebbe tornato”.

Una vita da disadattato, per un grande artista incompreso. Prendeva l’auto della madre e se ne andava a zonzo per ore finché finiva la benzina e chiamava i genitori per essere recuperato. Spesso si rifiutava di tagliarsi i capelli e le unghie. Era regredito ad uno stato quasi adolescenziale, da uomo fatto. All’inizio del 1972 ebbe un esaurimento nervoso e rimase in ospedale cinque settimane. Il suo ex terapeuta sospettava che soffrisse di schizofrenia, non di depressione.

In ogni caso, nel febbraio del ‘73 convocò John Wood dicendo che era pronto a incidere di nuovo e anche Boyd si convinse ad assistere alle registrazioni, iniziate nel luglio 1974. Il produttore nella sua autobiografia del 2006 scrive: “Ero colpito dalla sua rabbia e dalla sua amarezza. Gli dissi che era un genio, e altri gli altri concordavano. Perché non era famoso e ricco? Questa rabbia deve essere rimasta per anni sotto quell’aspetto inespressivo”

Boyd e Wood notarono un peggioramento nelle prestazioni musicali e lo convinsero ad incidere separatamente voce e chitarra. Tornare a registrare sembrò comunque un toccasana per Drake. “Eravamo così entusiasti a pensare che Nick fosse felice, perché non c’era stata alcuna felicità nella sua per anni” disse la madre.

Alla fine del 1974 i soldi della Island erano finiti e la sua depressione lo portò a rapportarsi solo con amici intimi. Finì anche la sua relazione con Sophia Ryde, per i biografi “vicina ad essere una fidanzata” ma che si definiva “migliore amica”. O meglio, lei ci provò, una settimana prima della morte: “Non riuscivo ad affrontarlo. Gli chiesi un po’ di tempo. E non l’ho più rivisto”

Nick venne trovato morto il 25 novembre 1974 in casa dei genitori e la diagnosi fu overdose di amitriptlina, un antidepressivo. Era andato a letto presto dopo aver fatto visita ad un amico. Sua madre disse che l’aveva sentito spostarsi dalla sua stanza per andare in cucina, era una cosa che faceva molte volte. Aveva preso delle pillole per “aiutarsi a dormire”. Troppe. Nessun messaggio di suicidio, anche se una lettera indirizzata a Sophia fu trovata accanto al suo letto.

La settimana prima Nick era sembrato sollevato e quasi felice. Fu comunque confermata la diagnosi di suicidio. Che abbia deciso di porre fine alla sua vita o cercasse aiuto nei medicinali per riuscire a terminare l’album, poco importa, in fondo. Il mondo fu privato di un grande artista, incapace però di fare i conti con la realtà del mondo, come molti. 

L’eredità musicale di Nick Drake è enorme. John Martyn ha raccontato nella bellissima “Solid Air” (1973) la depressione dell’amico, la canzone “Life a Northern Town” (1985) dei Dream Academy parla di lui, con relativa dedica in copertina. Artisti come Robert Smith dei Cure (il nome del gruppo verrebbe addirittura da un verso di Time Has Told Me), Peter Buck dei R.E.M. e David Sylvian hanno dichiarato di essere stati influenzati dalla poetica di Drake. E a loro si può aggiungere Jeff Buckley. In Italia tracce di Nick Drake si trovano in autori come Marco Parente (gli ha dedicato la canzone “Sempre” del 2011 con una sezione archi arrangiata da Kirby) e Cristina Donà.

Sulla sua tomba, dove è sepolto insieme ai genitori, è scritto “Now we rise/and everywhere”, un verso di From the Morning da Pink Moon.

Nel 2014, il numero di suoi album venduti tra Regno Unito e Usa superò i due milioni di copie. Un moderno Van Gogh, incompreso in vita, amatissimo (e acquistato) dopo la morte.

Ma ogni volta che si ascolta Nick Drake, gocce di poesia cadono sulla terra arida.

Paolo Redaelli

Ascolti

Five Leaves Left (1969)

Bryter Layter (1971)

Pink Moon (1972)

Parole

Joe Boyd – Biciclette Bianche (2006)

Giampiero La Valle – Voci da una nuvola, il segreto di Nick Drake e e Tim Buckley (2015)

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