Al talento spesso misconosciuto di Rory Gallagher rende omaggio il libro di Fabio Rossi, dal significativo titolo: “Il bluesman bianco con la camicia a quadri” (Chinaski, 2017). Perché l’irlandese Gallagher, strumentista eccezionale (non solo chitarra, ma anche banjo e sassofono), ottimo compositore e grande performer dal vivo, era soprattutto un uomo semplice come il suo abbigliamento, lontano mille miglia dal cliché della rockstar.
Basti dire che quando un giornalista domandò a Jimi Hendrix che cosa si provava ad essere il miglior chitarrista al mondo, lui rispose: “Che ne so? Chiedetelo a Rory Gallagher”. Frase diventata storica e che campeggia su un murales a Cork, città natale della madre Monica dove aveva conosciuto il padre Daniel.
Il libro di Rossi racconta con partecipazione la breve ed intensa vita (1948-1995) del bluesman bianco che, come un predestinato, nacque al Rock Hospital e fu battezzato alla Rock Church di Ballyshannon, nel Donegal. Rossi segue Gallagher dagli inizi con i Fontana all’esplosione con i Taste al Festival dell’Isola di Wight del 1970 per poi analizzare, album per album e brano per brano, la sua carriera solista, facendo da preziosa guida al lettore attraverso una discografia spesso intricata, come quella dei live postumi. E raccogliendo le testimonianze di chi fu presente ai suoi concerti italiani, così come quelle di colleghi illustri quali Eric Clapton, The Edge, Gary Moore, Johnny Marr, Brian May, Slash e altri.
La storia di Gallagher è quella di un musicista umile e appassionato, che ha suonato con Muddy Waters e i Rolling Stones, ma si fermava volentieri a chiacchierare con i fans dopo un concerto. Nonostante sia considerato uno dei migliori chitarristi che il rock abbia avuto è spesso stato relegato in secondo piano rispetto a nomi più famosi o abili a gestire la propria popolarità.
“Tutto quello che desidero è salire su un palco e suonare fino alla fine”, diceva.
Per Rory Gallagher esisteva solo la musica, era rimasto malgrado il successo un proletario irlandese che rifuggiva dalle luci dello star system. Che amava poco la sala di registrazione e spesso incideva i propri dischi come se suonasse dal vivo, all’insegna del “buona la prima”. Forse per questo suonano così diretti e genuini, alcuni di essi non dovrebbero mancare in una collezione rock che si rispetti.
Fabio Rossi, con un lavoro altrettanto appassionato, ha colmato una lacuna finora evidente, pubblicando la prima biografia italiana su Gallagher e tracciando un percorso dettagliato che consigliamo di seguire a tutti coloro che vogliono avvicinarsi ad un musicista tanto fondamentale nella storia del rock quanto spesso ingiustamente ignorato.
Paolo Redaelli