Pete Townshend non è solo un fantastico chitarrista, cantante e polistrumentista, ma anche l’autore in quattro anni di ben due opere rock (e mezzo). Il che lo pone su un piano compositivo superiore rispetto a molti altri colleghi ben più tecnicamente dotati. Jimmy Page e Jimi Hendrix (tecnicamente su un altro pianeta) hanno registrato dischi immortali, ma Townshend (nato Peter Dennis Blandford il 19 maggio 1945 a Chiswick, Londra) ha coniugato rock e teatro, letteratura e cinema, rendendosi trasversale tra varie espressioni artistiche. A consegnarlo ai posteri basterebbe solo quello che ha composto tra il 1969 e il 1973.
«So che non mi crederà nessuno, ma io sto davvero pensando di scrivere un’opera rock che abbia per protagonista un giocatore di flipper sordo, muto e cieco. Non sto scherzando, anche se per ora è solo un’idea che ho in testa. Non c’è niente di definito.»
Dichiarazione a Rolling Stone, 14 settembre 1968.
Tommy è la prima opera rock della storia ad essere diventata celebre presso il grande pubblico. All’uscita del disco, nel 1969, ne fu fatta subito una versione teatrale che spopolò a Broadway e divenne un fenomeno di costume. La notte che Matt Murdock diventa Devil nel fumetto della Marvel, è andato a teatro a vedere Tommy.
Sordo, muto e cieco dalla nascita per reazione a quello che non vorrebbe percepire, Tommy da fanciullo complessato e vittima di abusi diventa un mago del flipper e quindi una sorta di messia riluttante. Il film del visionario Ken Russell (1975) con Roger Daltrey protagonista racconta la sua odissea tra personaggi indimenticabili, Pinball Wizard (Elton John), lo zio Ernie (Keith Moon), Acid Queen (Tina Turner), il predicatore (Eric Clapton), lo psichiatra (Jack Nicholson). Nello stesso anno il disco fu rieditato con i musicisti del cast.
Quadrophenia (1973) è un racconto a tratti autobiografico, il romanzo di formazione di un giovane arrabbiato londinese nell’era dei mod, ma anche una riflessione sulla vita del gruppo, quattro individualità diverse unite in una delle più grandi band di tutti i tempi, come suggerisce il titolo, e una punta di schizofrenia. Una storia di follia e droghe, ribellione generazionale (quella che gli Who avevano cominciato a cantare dal 1965 con My Generation) amore non corrisposto, disillusione e faticosa maturazione personale. Più di quella di Tommy, indissolubilmente legata alla performance di Woodstock nel 1969, la musica di Quadrophenia resiste all’usura dei tempi, è epica senza essere magniloquente, piena di maximum r&b, riff incisivi e paesaggi sonori. Nel 1979 arriva la versione cinematografica di Frank Roddam, con bravi attori poco conosciuti e l’apparizione di Sting nei panni di Ace, l’altezzoso capo dei mod che in realtà è un servile Bell Boy. Film culto, da vedere assolutamente, con un finale memorabile.
Subito dopo Tommy, nel 1970 Pete aveva cominciato a scrivere Lifehouse che sarebbe stata la terza opera rock, ma vide la luce solo parzialmente nel 1971 sullo stupendo Who’s Next. Che risulta essere dunque (ma lo abbiamo scoperto solo molto più tardi) disco di meravigliosi scarti, tra cui Baba O’ Riley, Behind Blue Eyes, Won’t get Fooled Again, Getting Mobile per dirne qualcuno.
L’opera sarebbe stata completata solo molti anni più tardi, con frammenti apparsi su Who Are You (1978) e successivamente nel box set Lifehouse Chronicles (2000), all’interno di una discografia solista spesso non all’altezza dei capolavori espressi col gruppo madre.
In questo lavoro Townshend va addirittura a prefigurare una società distopica dominata da comunicazioni che avvengono su una rete di computer. E questo nel 1971. Nel 2007 Pete aveva messo on line il sito web The Lifehouse Method (ora defunto) in cui ogni navigatore poteva creare un suo “ritratto musicale”.
Oltre alla straordinaria capacità compositiva, ci sarebbe da dire – ma quella è sotto gli occhi di molti – della sua esplosività sul palco, con quelle braccia roteanti sulla chitarra a mo’ di pale di mulino, i salti acrobatici in aria a sottolineare i riff assassini. La voce nasale e penetrante che si contrappunta alla perfezione con quella potente e a volte angelica di Roger Daltrey, anche nell’album che ha segnato il loro ritorno nel 2019, tredici anni dopo Endless Wire.
Gli anni passano (sono settantacinque), Keith Moon e John Entwistle non ci sono più ma Pete, che ha scritto anche racconti ed una gustosa autobiografia (Who I am, 2012), ri-Pete ancora oggi i suoi numeri circensi sul palco. Così si fa presto a dimenticarsi che quel matto dagli occhi saettanti, percosso da scariche elettriche, è anche il più grande scrittore-musicista che il rock abbia mai avuto.
ascolti
Tommy (1969)
Live at Leeds (1970)
Who’s Next (1971)
Quadrophenia (1973)
Lifehouse Chronicles (2000)
visioni
Woodstock, di Michael Wadleigh (1969)
Tommy, di Ken Russell (1975)
Quadrophenia, di Frank Roddam (1979)
parole
Who I am (Rizzoli, 2013)