Mercoledì 18 marzo è uscito I Buoni Spropositi dell’artista milanese Micol Martinez, che potete trovare su tutti gli store online. L’autrice lo descrive così:
“Un album che raccoglie pezzi di vita, sguardi sul mondo, racconti privati e fotografie di ciò che mi circonda. Canzoni sempre diverse per andamento, emotività e temi. Si va dalla canzone d’amore, a brani che incitano ad una riflessione sull’essere umano e sulle sue dinamiche, da canzoni liberatorie a testi che sono narrazione di storie di vita altrui. Un album sfaccettato, proprio perché scritto nell’arco di un tempo più lungo. La nostra voce cambia a seconda del momento della giornata, della persona con cui parliamo, dello stato emotivo in cui siamo: per un album, se scritto con sincerità, è lo stesso. In questo disco ci sono canzoni per riflettere, per gioire, per giocare, per fluttuare nell’aria, per commuoversi, per ricordare. Amo la diversità, sempre, di qualunque diversità si tratti, e amo la complessità resa semplice…”.
Oggi (che è il compleanno di Micol) le abbiamo rivolto un po’ di domande…
Ci racconti un po’ di questo tuo ultimo lavoro, com’è nato e cosa ti sei prefissata…
È nato nel tempo. Si scrive scrive scrive, poi un giorno viene la voglia di raccogliere il materiale. Al nono brano, ho trovato una completezza generale che mi ha soddisfatta, una compattezza del lavoro. Sentivo che i brani erano pronti per essere raccolti in un album. Così ho iniziato la ricerca di una produzione artistica adeguata ma non sono andata lontano: Giovanni Calella, il mio ex chitarrista e già produttore di altri progetti nati a Milano, era perfetto per la tipologia di canzoni che avevo scritto. Cosa mi sono prefissata? Di fare un lavoro di qualità nella semplicità più assoluta, e di farlo uscire al meglio.
Puoi descrivere I buoni spropositi con tre aggettivi?
Arioso, ironico, apparentemente semplice ma complesso. Posso aggiungerne un altro fondamentale? Pieno di luci, ombre, situazioni, sogni, fatti, metafore…
Da cosa nasce il titolo, cosa significa?
Il titolo è arrivato per ultimo. Ho notato che ciò che caratterizza il disco è la visione su due piani contrapposti. Uno in cui si racconta la realtà di situazioni più o meno specifiche, usando soluzioni metaforiche, e un altro in cui si racconta una realtà immaginata, usando soluzioni più ironiche. I Buoni Spropositi si pone tra desideri avverabili nella realtà (buoni propositi) e desideri avverabili nel luogo dell’immaginario (spropositi), quindi eccessivi e fuori da una possibilità di attuazione nella vita di tutti i giorni. Un esempio? “Buon anno amore mio”, dove è percepibile che il lungo elenco di promesse non troverà attuazione, è un sogno impossibile, o “Il 32 di dicembre”, giorno in cui “addirittura noi ci sposeremo, il 32 di dicembre”, fatto ancor più improbabile.
Qual è il tuo modo di scrivere, che differenza c’è tra lo scrivere canzoni e storie?
Per quello che riguarda il testo scrivo in modo immediato, senza ragionare. È un flusso che si srotola quasi inconsapevolmente e che, in modo del tutto naturale, ha già metrica e composizione. Questo mi accade che io scriva una canzone o che io scriva un racconto o un romanzo. Solo dopo vado a limare il testo, se reputo ne abbia davvero bisogno. La parte musicale segue lo stesso iter ma il lavoro di lima è più forte: a volte mi capita di mettere insieme parti scritte in momenti diversi, o mettere insieme il ritornello di un brano e la strofa di un altro. Succede di rado ma accade anche questo.
Di solito sono le mie stesse esperienze a ispirarmi, altre volte la musica di altri autori che amo, (un tempo Pj Harvey e Fiona Apple mi influenzavano molto), altre ancora possono essere fumetti, romanzi letti, il tg.
Quali sono le tematiche che affronti in questo lavoro?
Indubbiamente il rapporto con se stessi e la consapevolezza dei propri limiti (In “Mai io Mai”, “Non vedi che”), la leggerezza dell’accettarsi per quel che si è (cioè complessi, nel caso di “Di me e di te”), le occasioni perse che non torneranno (in “Una buona occasione”), la ricerca della propria identità e dell’affermazione della propria identità, la
discriminazione (“Il pirata Jade”), ma anche la spinta positiva, la consapevolezza che siamo in trasformazione perenne (se intelligentemente ce la permettiamo), che quindi nulla può davvero scalfirci, perché nel mentre siamo già altro.
Quali sono le persone e gli artisti che ti hanno più influenzato, i tuoi maestri?
Sicuramente tra i musicisti italiani De André e Fossati, tra gli stranieri i The Cure, che ho ascoltato per tutta la mia adolescenza, Pj Harvey, Fiona Apple, i Doors, Leonard Cohen (ma la lista è lunghissima, ho vissuto ascoltando musica ventiquattro ore su ventiquattro); in poesia Marina Cvetaeva, Sylvia Plath, Emily Dickinson (anche qui, ce n’è tante/i). In cima a tutti però metto William Shakespeare. Poi c’è tanto altro che amo in letteratura, dai grandi classici (Tolstoj e Garcia Márquez). Perec ha cambiato la mia concezione di letteratura. Fra gli autori contemporanei seguo da quando sono adolescente McEwan e Coe. Come personaggio storico, da sempre, Giovanna D’Arco (tant’è che ne sto facendo uno spettacolo teatrale: non su Giovanna in sé, ma tratterà dell’incontro fra la pulzella d’Orléans e una cantautrice milanese).
Chi apprezzi nel panorama musicale italiano contemporaneo?
Ho la sensazione che attualmente manchi completamente la scrittura della parte musicale, è inesistente (a parte qualche raro caso, come Brunori sas). La musica leggera più beceramente pop non l’ho mai seguita perché non mi piace. Da un punto di vista invece testuale, credo sia un periodo ricco perché sono tanti i giovani che si approcciano alla scrittura (hiphop e trap), il che è positivo. Anche se i risultati sono spesso tragici, c’è fra questi qualcuno che ha il dono. Però non saprei farti i nomi qui e ora.
Che ruolo riveste Milano nel tuo percorso artistico, quali esperienze sono state cruciali per la tua crescita di donna e d’artista?
Milano e i mille concerti che ho avuto la possibilità di veder già in giovanissima età, i centri sociali, i teatri e gli spazi teatrali che ho frequentato fino ad approdare a La Casa 139, dove ho conosciuto artisti quali Cesare Basile a tanti altri musicisti, il concerto in piazza a San Remo prima di Max Gazzé, tutta l’esperienza del Cafè Bandini, che mi ha permesso di vivere il palco con continuità per ben sette anni e di trovarmi sul palco con artisti del calibro di Paolo Rossi, Cristiano Godano e tantissimi altri, il contatto con il pubblico ai miei djset (l’ho fatto per ben otto anni)… Tutto questo flusso è stato cruciale, e mi ha formato.
Cosa ha significato far uscire questo album al tempo del coronavirus peraltro nella regione più colpita? Cosa ne pensi della risposta dei tuoi corregionali e concittadini a questa sciagura?
Come tanti artisti, ho pensato di non farlo uscire. Poi mi sono resa conto che l’avrei fatto solo per me, quindi che sarebbe stata una scelta egoistica. Siccome non faccio musica solo per me, l’ho fatto uscire nonostante il Coronavirus, consapevole che non avrebbe avuto la giusta promozione e che soprattutto non avrei potuto fare dei live (dove il disco può essere venduto). I live te li danno se hai il disco in promozione, quindi, con questa mossa, rimango lavorativamente “fregata” anche per il futuro. Ma non farlo uscire sarebbe stato a mio avviso un vero atto egoistico. L’ho fatto uscire per chi lo stava aspettando e sono fiera della mia scelta. Il solo canale di contatto con gli altri ad oggi è internet, e i social. Ho visto scatenarsi l’inferno sui social, tra tuttologi che sanno tutto di politica, di scienza, di virologia (ma cosa gli vuoi dire, sono umani!) e gente che diceva “musica sì” e “musica no”. Io non ho molta voglia di fare musica da quando è cominciata tutta questa storia, ma sono per la libertà individuale e credo che se non hai voglia di sentire un amico che fa la diretta banalmente non l’ascolti, se invece ti fa bene al cuore perché, che ne so, soffri di depressione e di solitudine costretta, lo andrai ad ascoltare.
A livello politico, invece, in Lombardia credo che si sarebbe potuto fare molto di più e farlo decisamente meglio (sono fin troppo morbida). Per quanto io tenda a voler vedere tutte le variabili delle singole situazioni e mi renda conto che il Covid-19 è un virus sconosciuto, il cui percorso è imprevedibile, sono stati commessi troppi errori, grossolani a volte, e nessuno ancora si prende (temo che non accadrà nemmeno più avanti) delle responsabilità a riguardo.
Che importanza riveste la musica e la creatività in generale nel tuo modo di affrontare le difficoltà della vita?
Fondamentale. Quando ero piccola, il sentimento e il confronto trovavano voce e condivisione nelle canzoni, nei romanzi, nella poesia, non in altro e l’imprinting è rimasto forte e radicato. Non posso fare a meno di scrivere. Allo stesso tempo, scrivere diventa frustrazione quando non vuoi adeguarti al commerciale che ti circonda. E io non ho mai voluto piegarmi al commerciale che mi circondava, nonostante ne abbia avuto in continuazione la possibilità.
Sei un’artista completa: cantautrice, dee jay, donna di spettacolo, autrice. In cosa ti piacerebbe cimentarti adesso? Quale sarà la tua prossima tappa? Cosa dobbiamo aspettarci?
Avrei voluto raccontarti dello spettacolo teatrale cui accennavo prima, e dei possibili live, ma non credo che prima di sei mesi si potranno fare concerti. O magari sono pessimista? Vedremo… Ma posso dirti che sto proseguendo il romanzo, spero di terminarlo a breve e farlo uscire il prima possibile.
Com’è cambiata la tua città? Cosa ti manca?
Le piccole cose, i giri in bicicletta, i caffè volanti perché incontri qualcuno, gli amici. Non i grandi eventi. Mi mancano i piccoli eventi quotidiani.
Sei soddisfatta di questo tuo lavoro?
Moltissimo.
A chi dedichi questo tuo nuovo album?
Tutto ciò che ho fatto in precedenza l’ho dedicato a qualcuno, sempre. I primi due dischi hanno più ringraziamenti di quante siano le lyrics. Questo è un album che nel mio cuore lego a una persona che è parte di me, ma lo dedico solo a me, so per certo che è giusto che sia così.
Tanti auguri per tutto, Micol. Che tu possa realizzare tutti i tuoi buoni spropositi.
Elisa Giobbi