Il “Pesce d’aprile”di Cesare Bocci, nella prima notte di Sanremo, riempie il Teatro Duse di Bologna e cattura il pubblico con una storia di vita vera. E’ lo scherzo del destino che ha colpito il celebre attore e la sua compagna Daniela Spada il 1 aprile del 2000, quando lei ha subito un ictus post parto.
“Era un giorno qualunque”, ripetono spesso all’inizio dello spettacolo Bocci nei panni di se stesso e Tiziana Foschi in quelli di Daniela Spada, ha segnato la partenza di un lungo calvario.
La Foschi è bravissima in una recitazione tutta fisica, nel restituire la sofferenza di un corpo che non risponde più, grande il coraggio di Bocci nel recitare – ormai da due anni – la propria vita e non quella altrui, come di rado capita agli attori. Una materia drammatica che viene smussata spesso dall’ironia, in un’alternanza di momenti difficili e sereni.
Su una scena minimal, con una parete illuminata e oggetti-simbolo del percorso (un letto, una poltrona a rotelle) i due attori si muovono con efficacia. Mostrano i momenti della loro prima conoscenza, la tenerezza dopo la nascita della figlia che viene interrotta dal rombo cupo che annuncia l’ictus. Da qui in poi sarà lotta contro il male, ma anche contro il parere di un Professore che giudica inutili i tentativi di Bocci di far camminare nuovamente la moglie, visto che “la percentuale di guarigione è dell’uno per cento”.
Sarà un “uno-due” quasi marziale a scandire la lenta ripresa della donna, un passo dopo l’altro. La malattia è terribile, ma lo è anche reinserirsi in un mondo dove un disabile deve imporsi per avere il parcheggio che gli spetta di diritto, deve avere a che fare con medici incapaci, deve lottare ogni giorno per riavere il suo posto.
E’terribile la malattia, ma lo è anche aver perso i primi anni di vita della figlia, con quegli abbracci che diventano un po’ forzati, un amore che va riconquistato giorno dopo giorno. E’amore vero, importante, quello che spinge Bocci, contro ogni percentuale, a cercare un recupero che sembra impossibile, e invece avviene.
La scena finale è una danza ritrovata tra due anime che hanno combattuto insieme una dura battaglia e ora recuperano la leggerezza di un tempo. Possono guardare al futuro quasi serenamente, dopo avere affrontato ostacoli di ogni genere, al ritmo di un “uno-due” che ora assomiglia ad un valzer.
Paolo Redaelli