Bryan Adams è un boomer, e come lui tanti altri grandi della storia della musica. Pensate a qualunque band rock o singolo artista divenuto immortale; probabilmente – anzi, quasi sicuramente – sarà un boomer.
Quante volte nell’ultimo periodo avremmo letto “OK BOOMER” sui vari social networks? Per chi non lo sapesse, il termine “boomer” indica i nati nell’epoca del c.d. “Boom economico” (ossia tra il 1945 e il 1964), e viene utilizzato dai giovanissimi in senso meramente dispregiativo nei confronti di coloro che – presumibilmente – hanno l’età dei loro genitori ed interagiscono con loro su Internet. “Boomer” ha, pertanto, assunto la triste accezione di “disadattato”, “fuori luogo”, “anacronistico”.
Bryan Adams è tornato ad esibirsi nel nostro Paese all’Unipol Arena nella prima delle due date italiane del “Shine a Light Tour”, eseguendo brani intramontabili quali “Haeven”, “Run to you”, “Summer of 69”, “Everything I do (I do it for you)”, nonché nuovi pezzi tratti dall’ultimo album che dà il nome al tour stesso.

Il cantante canadese. che ha da poco spento 60 candeline, ha dimostrato non solo un’invidiabile forma fisica, ma anche una notevole energia e una carismatica presenza scenica che nulla hanno da invidiare ai Millennials (parola di una ventiquattrenne).
Così, di ritorno dal concerto, quasi con una spontanea e amara rassegnazione, mi chiedo: chi ricorderà tra 30 anni gli artisti della mia generazione? Chi riempirà gli stadi e i palazzetti di tutto il mondo?
Allora inevitabilmente penso che forse siamo proprio noi giovani i veri “sfigati” in questa situazione, dove l’“OK” di “boomer” può tranquillamente invertire le proprie lettere, traslarsi in “KO” e riferirsi, invece, a noi.
Alessandra Valentini