Filippo Tapparelli, veronese del 1974, è stato il vincitore della XXXI edizione del Premio Italo Calvino con il romanzo “L’inverno di Giona”, ora edito da Mondadori. Abbiamo avuto il piacere di fare quattro chiacchiere con lui, così da saperne di più sia sulla sua persona e sia sul suo esordio.
Filippo, tu hai vinto il Premio Calvino nel 2018, con “L’inverno di Giona”. Trattasi di una tua opera prima e a questo riguardo mi piacerebbe farti due domande. La prima è: cosa ti ha spinto, a un certo punto della tua vita, a scrivere un romanzo? La seconda, invece, è: cosa ti ha spinto a tentare la sorte con il Premio Calvino? Avevi già tentato altre strade, prima di quella? Era un manoscritto che avevi da tempo nel cassetto o l’hai scritto appositamente per partecipare al premio? Sì, lo so, le domande sono diventate più di due ma la curiosità è tanta. Raccontaci un po’.
Ciao Gabriele e grazie mille per volermi ospitare sul tuo blog. Sì, hai barato e le domande sono ben più di un paio. Cominciamo dalla prima: ho una formazione da istruttore di scherma e anni fa ho aiutato qualche autore a rendere più verosimili le scene di battaglia e/o i duelli all’interno dei romanzi che scrivevano. A un certo punto, uno di questi scrittori, che poi è diventato un mio carissimo amico, mi ha testualmente detto: «Perché non scrivi qualcosa che sia davvero tuo, invece di star qui a correggere sbudellamenti?» e così è stato. Ho iniziato con un racconto che, a un certo punto ha cominciato a chiedermi più spazio. Gliel’ho concesso così, il 21 marzo 2013 è nato L’inverno di Giona.
Per quanto riguarda il premio Italo Calvino, prima di arrivare a provarci avevo tentato con molte case editrici, ma senza alcun risultato. Il cammino è stato lungo e a volte molto stancante, poi mi è stato suggerito il Calvino e ho deciso di accettare il consiglio.
Tempo fa lessi un articolo interessante che metteva in luce come gli scrittori si dividano solitamente in due categorie: quelli che hanno qualcosa da dire e quelli che hanno qualcosa da raccontare.Tu a quale dei due gruppi ti senti di far parte? Parti da un messaggio che vuoi trasmettere, attorno a cui ricami una storia, o da una trama che poi trasmetta qualcosa a ogni lettore in maniera involontaria?
Francamente non so a quale categoria appartengo. Le definizioni mi vanno sempre strette e scomode. Non so se ho qualcosa da dire oppure da raccontare. Ogni cosa che scrivo nasce da sé, senza alcuna pianificazione. Sono allergico alle scalette e ai progetti, ma quando comincio a mettere le mani sulla tastiera con l’intenzione di cavarne fuori una storia, in quel momento i personaggi cominciano tutti a sussurrarmi le loro avventure. Sì, sembra una cosa da matti (e lo è), ma credo che ognuno di noi inspiri ed espiri storie insieme all’ossigeno e all’anidride carbonica. Quello che scrivo compone il 10% del romanzo. Il restante 90% lo mette il lettore.
I social stanno diventando un aspetto fondamentale per il rapporto scrittore-lettori. Tu sei molto attivo sotto questo aspetto. La trovi un’attività faticosa o lo vedi come un mezzo di comunicazione spontaneo e positivo?
I social sono il mezzo – talvolta eccessivo- attraverso il quale i lettori comunicano con lo scrittore (e viceversa, ma solo in parte). A me piace rendere pubblici alcuni miei pensieri e riflessioni, ma non vado a caccia di consensi per aumentare il numero di potenziali lettori. Credo che Instagram, Facebook, Twitter e compagnia bella siano strumenti di comunicazione eccezionali, ma penso anche che tutto quello che c’è da sapere del pensiero di uno scrittore lo si possa trovare senza molta fatica tra le pagine di ciò che scrive o davanti a una pizza insieme a lui più di quanto non si possa reperire nelle caselle impermanenti dei social network.
Quali romanzi hanno segnato rispettivamente: la tua infanzia, la tua adolescenza e la tua scrittura?
Domanda facile facile, eh? Sono un divoratore di libri. Ne posseggo a migliaia e, di conseguenza, sono posseduto da essi. Non so dire quali libri abbiano segnato le varie fasi della mia vita, anche perché ho una memoria orrenda. Diciamo che mi sono avvicinato alla lettura attraverso i libri fantasy, per poi cominciare a spaziare oltre quel genere. Per citarne giusto un paio, ho amato ogni cosa scritta da Terry Pratchett, che reputo uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi. Vado matto per la produzione letteraria di Chuck Palahniuk e ho un’adorazione per ogni cosa sia stata scritta da David Grossman, Italo Calvino e Irvine Welsh, che mi hanno aiutato a capire, insieme a tutti gli autori che ho letto, che esistono solo due tipi di letteratura: quella onesta e quella meno onesta.
Raccontaci de “L’inverno di Giona”, dandoci una chicca in più rispetto a quello che possiamo leggere nella quarta di copertina.
L’inverno di Giona parla di guarigione. Sotto tutte le croste di violenze psicologiche e fisiche che il protagonista subisce, il libro parla unicamente di come si può guarire dal male. Mi hanno chiesto se i luoghi del romanzo sono reali o inventati e la risposta è sempre la medesima: sì. Questo romanzo è ambientato in un paese senza nome divorato dalla nebbia e dalla solitudine che posso raggiungere in meno di un’ora d’auto. Qualcun altro mi ha domandato se sono storie vere o di fantasia e anche stavolta sono costretto a rispondere che sì, si basa su fatti che sicuramente sono accaduti e che hanno depositato qualcosa dentro la mia testa, fino a quando non sono usciti, filtrati da quello che è il mio modo di sentire le cose.
Hai ulteriori progetti? Ti piacerebbe proseguire il cammino dello scrittore con un secondo romanzo?
Ho un altro paio di romanzi in canna, ma non so se vedranno mai la luce sotto forma di parallelepipedo cartaceo infilato nello scaffale di una libreria. Prima devo riprendermi dalla pubblicazione di Giona, che ancora oggi mi sembra impossibile.
Ringrazio Filippo per la sua disponibilità. L’inverno di Giona lo potete trovare QUI o, ancor meglio, dal vostro libraio di fiducia.