Massimo Altomare ci parla della sua Orkestra Ristretta

Non si può che definire un concerto particolare quello andato in scena giovedì mattina, il 10 ottobre. Un’esibizione unica, eccezionale. A renderla tanto singolare non solo il fatto che si sia tenuta la mattina, ma anche il luogo in cui si è svolta, il carcere di Sollicciano, il sovraffollato penitenziario fiorentino, e i musicisti che si sono esibiti: cinque o sei giovani detenuti provenienti dal Sud del mondo (Africa, Cuba, Sicilia…) accompagnati da professionisti di grande esperienza come Massimo Altomare, Federico Pacini, Andrea Gozzi e Lorenzo Lapiccirella: insomma, in due parole l’Orkestra Ristretta. Un concerto emozionante, a tratti commovente, impreziosito da qualche fuoriclasse come Daniel, cantante dalla bellezza di un giovane Miles Davis e dalla voce profonda e vellutatacome quella di Fela Kuti.

Ben vengano iniziative di questo tipo, e anzi l’augurio è che venga presto il tempo in cui le persone che sbagliano non siano più rinchiuse in gabbie come belve feroci.

Al direttore dell’Orkestra Ristretta, Massimo Altomare, che da tanti anni porta avanti questo interessante progetto in collaborazione con Tempo Reale, abbiamo rivolto qualche domanda.

Come nasce il progetto dell’Orchestra ristretta?

La mia prima volta a Sollicciano risale al 1996. Un’associazione che organizzava incontri in carcere mi propose di tenere un corso sui testi delle canzoni italiane. La cosa funzionò e il direttore dell’area pedagogica mi propose un rapporto continuativo. Ero impegnato soprattutto al femminile dove lavoravamo sulla scrittura di parodie in stile Cetra (Dracula, Cyrano, Dr Jekyll e Mr. Hyde, il libro Cuore, ecc.). Con la sezione maschile mi limitavo ad una serie di incontri in occasioni particolari, tipo la Giornata della Memoria o la Festa della Musica.

Da quanti anni curi questo progetto?

Nella forma attuale l’Orkestra Ristretta nasce nel 2008. 

Quali sono le difficoltà più rilevanti che incontri nel portarlo avanti e quali le più grandi soddisfazioni?

Le difficoltà sono tante, siamo in galera e ogni cosa è complicata, poiché tutto deve essere autorizzato e controllato. I tempi di prova sono blindati: mai che si possano fare, che ne so, venti minuti di prova in più o simili. Anche la manutenzione degli strumenti è complicata…Insomma, le condizioni non sono certo confortevoli. Io però mi ritengo fortunato, nel corso degli anni ho costruito un rapporto di stima e rispetto con gli agenti dell’attività che, per quanto possibile, mi danno un supporto sia tecnico che umano per me decisivo. Le soddisfazioni invece sono guardare i ragazzi quando cantano, suonano o rappano e vederli trasformarsi, sorridere, vivere grazie alla nostra musica, ritrovare un minimo di fiducia, di dignità e rispetto verso se stessi.

Qual è il rapporto umano che si instaura con e tra i detenuti?

Io mi pongo come band leader che si conquista la loro fiducia prova dopo prova, cercando di contagiarli con la forza salvifica della musica. Se c’è da alzare la voce non mi tiro indietro. Non sono una dama di San Vincenzo e non vado da loro perché mi fanno pena, ma per fare un’esperienza artistica.

Come ti sembra che vivano la musica i detenuti?

Per i detenuti dell’Orkestra Ristretta la musica è la cosa più importante, dopo l’amore.

Ti è mai successo di trovarti davanti a un vero e proprio talento?

Raramente, tre o quattro volte forse, ma nessuno di loro poi ha vissuto di musica.

Come credi si potrebbe migliorare o diffondere un progetto del genere?

Attrezzare adeguatamente il teatro, migliorare la manutenzione, acquistare strumenti quando serve migliorerebbe la qualità musicale. Poi trovare la maniera di farli esibire all’esterno tutti insieme, ma è quasi un’utopia.

Che cosa ha aggiunto questa esperienza al tuo bagaglio artistico e, perché no, umano?

Il mio lavoro con l’Orkestra Ristretta mi ha dato molto sul piano musicale, trascinandomi nel mondo hip hop per poter dialogare con loro, mi ha impedito di fossilizzarmi sul passato per quanto bello e glorioso esso sia. Invece sul piano umano per  riuscire ad ottenere il loro rispetto e a farmi seguire ho imparato a tirare fuori le palle, scusa ma non lo so dire in modo più educato!

C’è una sorta di selezione tra i detenuti per l’esibizione?

Una volta l’anno faccio una sorta di casting chiedendo un po’ di talento musicale e la voglia di mettersi in gioco e di seguirmi, accettando la mia visione sacra del lavoro musicale.

Chi ti affianca nel tuo lavoro?

Tempo Reale, che di volta in volta mi trova le collaborazioni di cui ho bisogno

Al di là del tuo lavoro nel carcere, al momento hai nuovi progetti artistici?

Se mi svegliassi una mattina senza progetti sarebbe dura: io vivo di progetti, ma non sono pronto a sbilanciarmi ora. Sono superstizioso.

 

Elisa Giobbi

 

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