Joker: da vittima a carnefice nel film di Todd Phillips

Dopo mesi di grandi aspettative, finalmente ho avuto l’occasione di vedere il tanto acclamato Joker di Todd Phillips, che si allontana dalla tradizione regalandoci una lenta e profonda analisi dell’animo del cattivo più celebre dei fumetti.
 
A parte la fotografia, straordinaria, i cui colori riflettono il suo tormentato stato psicologico, e la colonna sonora a tratti delirante e consapevolmente disturbante, la cosa che mi ha colpita maggiormente è il modo in cui Joker viene rappresentato nella sua fragile e straziante realtà, in cui egli non vive – bensì sopravvive – quotidianamente.
 
Se nei film di Batman, per quanto ci piaccia il villain, speriamo sempre che venga battuto, questa volta ci viene quasi naturale parteggiare anche per le azioni più orribili, perché la natura del personaggio si plasma più alla nostra che a quella di Bruce WayneAbbandono, delusione, bullismo, umiliazione, sopravvivenza: il film ci mostra in modo crudo e violento le cause che hanno portato il protagonista Arthur, da vittima, a diventare cioè che a noi è noto come Joker, il carnefice. 
 
Che dire poi dell’interpretazione di Joaquin Phoenix, ormai il tristemente designato erede di Leonardo DiCaprio nella mancata aggiudicazione (più volte meritata) del Premio Oscar? Partendo dal presupposto che, a mio avviso, avrebbe già dovuto vincere la tanto agognata statuetta grazie alla meravigliosa performance nei panni dell’iconico Johnny Cash in Walk the line – Quando l’amore brucia l’anima, posso azzardare questo pensiero: per due ore ho dimenticato le – seppur incredibili – versioni di Jack Nicholson e Heath Ledger (NB: si tratta comunque di film e caratterizzazioni del personaggio completamente differenti e imparagonabili!).
 
Ho sempre pensato che il fratello minore del compianto River Phoenix (le cui prove attoriali mi hanno fatta innamorare di uno dei miei attuali registi preferiti, Gus Van Sant) fosse un attore eccelso, ma a seguito di quest’ultima interpretazione lo inserisco a pieni voti nel novero dei più grandi della sua generazione. 
 
Joker, in conclusione, non è un film per tutti: è necessario aver sperimentato una certa dose di sofferenza, solitudine e senso di inadeguatezza nel corso della propria vita, o quantomeno possedere una spiccata empatia per poterlo apprezzare appieno. Durante la proiezione, infatti, si è risucchiati in un buco nero fatto di orrore misto a compassione che lentamente ti induce a riflettere su cosa sia realmente giusto o sbagliato, su cosa sia il bene e cosa sia il male.
 
E alla fine sorge spontanea la domanda: è Arthur ad essere intrinsecamente pazzo e spietato, o è la società – iniqua e corrotta – ad averlo trasformato in Joker?
 
Alessandra Valentini

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