“Esiste un’espressione “In Lak’ech” che nella cultura Maya non è solo un saluto ma una visione della vita. Può essere tradotta come “io sono un altro te” o “tu sei un altro me”. Che si parta dalla mistica o dalla fisica quantistica si arriva sempre alla conclusione che l’altro è imprescindibile nella nostra vita e che siamo solo particelle di un tutto insondabile. Allora l’empatia diventa non solo un dovere etico, ma l’unica modalità per sopravvivere, l’unica materia che non dovremmo mai dimenticarci di insegnare nelle scuole. Conoscere e praticare i punti di vista degli altri è una grammatica esistenziale, come riuscire ad indossare i loro vestiti, perché sono stati o saranno i nostri in un altro tempo della vita”.
Io sono l’altro
Recita così la presentazione del nuovo singolo di Niccolò Fabi, Io sono l’altro, una splendida ballad folk tutta chitarre e percussioni che ci viene raccontata dal cantautore romano con la solita dolcezza vocale e interpretativa.
L’importanza del prossimo e del confronto con esso. Un processo fondamentale per la sopravvivenza stessa dell’uomo, in un’epoca che fa invece dello scontro il passaggio fondamentale per l’affermazione del proprio ego e che è in realtà indice di profonda insicurezza. Spesso paradossalmente proprio sul terreno dei social, uno strumento nato teoricamente per unire.
Interessante il totale ribaltamento di prospettiva su cui invita a riflettere il brano, arrivando addirittura a mettersi nei panni del “Presidente del consiglio” e quindi rifuggendo lo stereotipo ideologico. In fin dei conti se principio deve essere, è giusto che sia universale, privo di parzialità.
“Quelli che vedi sono solo i miei vestiti
Adesso facci un giro e poi mi dici”
Al di là dell’amore
Ma l’empatia è anche il sentimento che emerge dal singolo Al di là dell’amore di Brunori Sas, in cui attraverso un vestito electro-pop inedito per il cantautore ci si interroga su ciò che distingue il bene dal male in una società che ha smesso di porsi il problema, occupata a gridare il proprio interesse invece che protendersi all’ascolto, al dialogo. Un testo tagliente e di forte critica in cui i sintetizzatori scandiscono il ritmo delle strofe e del ritornello, giungendo alla stessa conclusione del collega romano: l’insieme è più importante dell’uno. Il rapporto e il legame con il prossimo ciò che conta davvero. Ciò che ci salverà.
Qui i toni sono decisamente meno dolci e più accusatori, in linea con gli splendidi arrangiamenti di Taketo Gohara.
“E vedrai che andrà bene
Andrà tutto bene
Tu devi solo smettere di gridare
E raccontare al mondo con parole nuove
Supplicando chi viene dal mare
Di tracciare di nuovo il confine fra il bene ed il male
Fra il bene ed il male”
Accetto Miracoli
Seppur su un altro terreno di gioco, quello dei sentimenti, anche il nuovo singolo di Tiziano Ferro, Accetto miracoli, fa dell’empatia il perno su cui costruire un discorso più che mai attuale.
E’ infatti paradossale come in un presente caratterizzato dall’essere tutti iperconnessi, i crimini di natura cosiddetta “amorosa” riempano le pagine dei quotidiani. Come è possibile che l’amore generi una simile ondata di violenza? Siamo diventati categoricamente incapaci di accettare un rifiuto o la fine di una storia?
Pur non parlando di questo, il testo del cantautore di Latina ci suggerisce uno spunto interessante. In Accetto miracoli si parla innanzitutto di sapere accettare la possibilità che le cose evolvano come devono, in maniera naturale. Senza possessività o promesse irrealizzabili. Si parla anche di trarre il meglio da una relazione finita, di come uscirne arricchiti aggirando un naturale sentimento di rancore iniziale. Di individuare tutti i motivi per cui in virtù del rapporto con l’altro, oggi la propria vita è migliore.
Ci suggerisce la possibilità di uscirne maturati, invece che sopraffatti, sconfitti o feriti nell’orgoglio. Tutto questo grazie ad una domanda tanto semplice quanto fondamentale:
“Cosa mi lasci di te? E di me tu cosa prendi?”
Empatizzare anche nel momento in cui è più difficile farlo.
La ballad, struggente, prodotta ancora una volta da Timbaland, si avvale di un arrangiamento minimale piano e voce (con un lieve accenno di beat elettronico ad accompagnare la ritmica) in cui fa capolino nella seconda metà un accompagnamento orchestrale di archi.
Un pezzo decisamente raffinato e di classe, in cui il buon Tiziano torna ai suoi potenti acuti dopo una fase canora più votata alla comfort zone.
Insomma dopo mesi e mesi di reggaeton made in Italy e banalità radiofoniche che hanno provato in tutti i modi di attentare alla nostra capacità di riflettere ascoltando una canzone, distogliendo l’attenzione dell’ascoltatore da ciò che realmente lo circonda, ecco arrivare 3 gioielli pop tanto diversi quanto simili nel parlare di umanità e attualità con un certo spessore. Non solo musicale.