Difficilmente il nome di Gary Duncan (e tanto meno quello vero di Gary Gray Rubb) dirà qualcosa al popolo rock del terzo millennio. Eppure il chitarrista scomparso il 29 giugno all’età di 72 anni (era nato il 4 settembre 1946) è stato tra gli artefici di uno dei grandi capolavori sonori di tutti i tempi, l’album Happy Trails (1969) dei Quicksilver Messenger Service, capisaldo dell’acid rock californiano.
La sua chitarra e quella del grande arpionatore John Cipollina (lui ci ha lasciato esattamente e curiosamente proprio trent’anni fa, il 26 maggio del 1989) si intrecciano e si inseguono, corrosive e potenti, in un disco con una facciata registrata dal vivo, interamente occupata dalla rivisitazione lisergica di un classico del rock and roll come Who Do You Love?. Il pezzo di Bo Diddley, dall’andamento jungle tambureggiante, è dilatato in una suite in cinque movimenti, in cui ognuno dei componenti esprime un’individualità pur sempre al servizio del collettivo. Album di improvvisazione quasi jazzistica, musica totale che attinge ai suoni orientali e a quelli dello spazio, il refrain diventa quasi un mantra, trasforma un rock and roll tutto sommato basic in un’ esplorazione sonora dei confini della realtà.
La seconda facciata si apre ancora con una tonante cover diddleyana (Mona) poi le chitarre contorte e stridenti di Duncan e Cipollina disegnano le desolazioni alla T.S.Eliot di Maiden of The Cancer Moon e Calvary, tra asperità e dolcezze flamenco sembrano accompagnare l’atterraggio su un pianeta sconosciuto, ostile, prima che la conclusiva ballad country rock Happy Trails ci riconduca alla realtà.
Se sali sull’astronave dei Quicksilver (come del resto in quella dei Grateful Dead di Dark Star o St.Stephen’s), difficilmente quando ritorni a terra sarai ancora quello di prima. Provare per credere.
Significativo che Duncan sia partito per gli spazi interstellari proprio nel cinquantesimo di quell’album epocale, definitivo, uscito in un anno tanto significativo per la musica come il 1969. Lui che provò senza grandi risultati, dopo essere uscito dal gruppo per troppa droga nello stesso anno, a mantenere in vita a metà degli Ottanta la storia dei Quicksilver, facendo proprio il nome ma senza grandi risultati, in tempi assolutamente cambiati, riunendosi occasionalmente con l’antico compagno David Freiberg, ancora fino a poco tempo prima della morte. Addio ad un grande della chitarra, fabbricante di sogni e deliri.
Happy Trails, Gary!
Paolo Redaelli