“Sul racconto”. Maurizio Vicedomini ce ne parla a 360 gradi

Robert Louis Stevenson, Edgar Allan Poe, Italo Calvino, Isaac Asimov, Ernest Hemingway, David Foster Wallace, Stephen King, sono soltanto alcuni, tra gli scrittori più famosi, che si sono cimentati nell’arte del racconto. Di certo non è impresa facile racchiudere una storia in poche pagine e darle potenza e intensità, eppure questi grandi autori hanno saputo stregarci con brevi spiragli di storie che sono riuscite perfino a ispirare pellicole famose.

Ma quali sono le caratteristiche fondamentali di un racconto? Cosa lo differisce tanto da un romanzo, oltre alla lunghezza? Maurizio Vicedomini, scrittore (Ogni orizzonte della notte, Augh! Edizioni), editor e direttore della rivista online “Grado Zero”, ha da poco pubblicato con Les Flâneurs Edizioni un saggio che sviscera in profondità questa tipologia di narrazione.

Maurizio, tu sei editor e anche scrittore. Innanzitutto ti chiediamo: da dove nascono le tue passioni?

Immagino dipenda da una moltitudine di fattori. La passione per la lettura si aiuta da sola, leggendo, ma credo abbia contribuito anche una tendenza all’introversione, l’amore per il silenzio, e una serie di esperienze che mi hanno formato così come sono. L’aver approcciato poi alla scrittura e all’editing è frutto di due medaglie ben distinte: da una parte la necessità di espressione, che ha trovato nella parola scritta la mia forma privilegiata; dall’altra la voglia di continuare a studiare, a comprendere, a capire i meccanismi, i processi.

Sei anche direttore del magazine online Grado Zero. In questa rivista apri spesso le porte agli autori, accettando e valutando racconti da pubblicare. Quali devono essere gli elementi essenziali per un racconto di qualità?

Un grande racconto deve avere in sé un’idea forte, uno stile consapevole, un’attenzione per la scelta lessicale. Questi sono – a mio avviso – i cardini principali su cui si regge una narrazione breve. Talvolta qualcosa è più debole, ma gli altri aspetti possono sopperire. Trovo che l’aspetto più difficile da acquisire per un autore sia la consapevolezza dello stile.

Da dove nasce l’esigenza di scrivere un saggio sul racconto?

Studio la cosiddetta ‘forma breve’ dai tempi dell’università, e notavo come alcune nozioni fossero date per certe e scontate, pur senza avere alle spalle solide valutazioni critiche. Il nocciolo di “Sul racconto” – edito da Les Flaneurs – è una domanda: “cos’è un racconto?” E questo si traduce in: “In che modo possiamo distinguere un racconto da un romanzo, se non in chiave esclusivamente quantitativa?”.

L’esigenza, se così vogliamo chiamarla, nasce proprio dal non avere risposte certe – e talvolta attenzione – per questa problematica. La critica è una scienza umana, e come ogni scienza ha bisogno di avere i propri strumenti e i propri punti fermi. Che senso può avere ragionare su un racconto di Hemingway o di Wallace se ci manca il pezzo precedente, se non sappiamo cos’è un racconto in sé?

Credi che sia più facile scrivere un racconto oppure un romanzo?

Come cerco di spiegare nel saggio, racconto e romanzo sono due entità molto simili. Le differenti difficoltà sono – dal punto di vista della scrittura – avvicinabili al dualismo autore-lettore. Mi spiego: un romanzo e un racconto vengono recepiti dal lettore in modo diverso, suscitano necessariamente sensazioni diverse. Questo perché il lettore sa bene che il racconto finirà di lì a poco, mentre per il romanzo ha aspettative più lunghe.

Questo significa che il racconto può sbagliare di meno: un pezzo sbagliato in un racconto di quindici pagine comporta un danno molto più importante dello stesso errore presente in un romanzo di trecento. Va da sé allora che l’attenzione per la scelta lessicale dev’essere formidabile nella composizione di un racconto, ben più che in un romanzo.

D’altra parte, il romanzo deve tenere in piedi un intreccio più complesso, deve gestire i ritmi di una narrazione lunga – riuscendo nel tentativo di tenere il lettore attento per tutta la sua durata –, nascondere gli elementi importanti con cura, ha necessità di una serie di caratteristiche di evoluzione (di storia, personaggi, ambientazione) più radicate.

Non c’è una risposta precisa a questa domanda. Nessuno dei due è più difficile dell’altro. Hanno ostacoli diversi, richiedono capacità e strumenti differenti. Non è un caso che capiti che grandi scrittori di racconti scrivano romanzi tiepidi e così l’inverso.

C’è un racconto che hai letto e che ti ha lasciato il segno?

Diversi, ma devo citare “Piccoli animali senza espressione” di David Foster Wallace (contenuto in “La ragazza dai capelli strani”, Minimum Fax). Quando lo lessi per la prima volta, ai tempi dell’università, mi ritrovai a pensare: “ah, si può scrivere anche così!”. Fu un totale senso di capovolgimento. Se c’è un racconto che ha condizionato il mio approccio alla scrittura, è senz’altro questo.

Segnalaci quello che ritieni sia il racconto migliore pubblicato sulla tua rivista.

Mi avvalgo della facoltà di non rispondere. Non è mio compito fare classifiche, ma pubblicare racconti meritevoli. Abbiamo pubblicato testi con caratteristiche molto diverse, talvolta impossibili da comparare.

Spesso, nei concorsi letterari, sono richieste delle determinate tracce da seguire. Non è sempre facile forzare la fantasia e l’ispirazione su un argomento imposto. Quale consiglio daresti agli autori che vi si vogliono cimentare e che hanno questo tipo di problema?

La grande potenzialità della scrittura è che nessun tema è realmente stringente. Un tema come “la guerra”, per esempio, può sì portare a racconti di trincea, ma anche a litigi fra fratelli durati una vita, a faide familiari, a una partita a scacchi, all’immaginazione di un bambino, a un videogioco, e queste sono le prime idee che ho trovato senza neppure soffermarmi.

Ogni tema può essere affrontato da una prospettiva profondamente personale. Ogni autore dovrebbe essere in grado di andare oltre gli schemi e trovare il proprio modo di vedere il mondo, il proprio modo di interpretarlo attraverso le parole. Se non ne è in grado, forse è il caso di fermarsi un momento e ragionarci, diventare – come dicevo – consapevoli della propria scrittura a tutti i livelli. Dobbiamo abbandonare l’idea che la scrittura sia un’attività istintiva e automatica. C’è sicuramente anche questa parte, ma la scrittura è competenza, è comprensione, è consapevolezza.

Hai dei progetti per il futuro?

Molti. Ma cerco di andare avanti un passo per volta. Voglio continuare a crescere come editor – anche dopo otto anni di lavoro, c’è sempre da imparare –, voglio lavorare ancora su me stesso come autore, voglio trovare libri che mi lascino senza fiato per la bellezza dello stile, per l’idea, per le emozioni suscitate.

Ma intanto, una cosa alla volta: ora è uscito “Sul racconto”, e voglio continuare a parlarne. Il futuro è in fase progettuale.

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