Geniale, ironico, multiforme e ingegnoso, Joe Jackson ha fatto tappa all’Auditorium Manzoni di Bologna nel suo tour italiano, giovedì 21 marzo. Un concerto all’insegna dell’eclettismo, per uno che ha cambiato tante pelli nel corso degli anni e che ora sembra aver trovato il giusto equilibrio. Joe Jackson è stato punk (ma sarebbe forse più corretto parlare di pub-rock) e reggaeman dal “beat crazy” per poi passare con disinvoltura a recuperare il passato swing e a proporsi come il Cole Porter degli anni Ottanta in quello straordinario album che è Night and Day, esplorare tutto il possibile Big World dall’Africa all’Asia, riarrangiare Duke Ellington, comporre una sinfonia, avvicinarsi all’elettronica e poi sintetizzare il tutto nella maturità degli ultimi dischi, come lo splendido, recente Fool.
Un viaggio musicale di quarant’anni, amabilmente riassunto tutto in una notte, in cui viene dato largo spazio all’ultimo album, ma non mancano le perle di una carriera di lungo corso. Il Jumpin’Jive è affidato alla musica saltellante anni ‘40, ricca di swing e ritmo che esce dagli altoparlanti mentre il pubblico entra in sala. Sullo sfondo dei drappeggi del palco, Joe Jackson prende posto non al centro (riservato, peraltro giustamente, alla batteria sopraelevata), ma sul lato sinistro, da dove può osservare e dirigere la band.
Si siede al piano e parte subito la struggente Alchemy, da Fool, con quel beat sottotraccia che ti cattura e ti pervade, per l’inizio di un concerto che sarà ricco di sorprese. L’idea era di pescare da un album per decade, tra i masterpieces più significativi di una carriera sempre all’insegna della qualità, se non del successo. Ecco dunque, subito dopo, la scattante One More Time (1979) che sembra un pezzo dei Jam, seguita da due altri brani di Fool: la nervosa Fabulously Absolute, che getta un ponte tra passato e presente del nostro e l’evocativa Strange Land, per svegliarsi all’improvviso in un lunedì nebbioso. Si torna indietro con Is She Really Going Out with Him? primo singolo di successo che scatena i primi cori del pubblico per poi rimbalzare in avanti con l’elegantissima Stranger Than Fiction.
Sono in quattro sul palco, ma suonano come un’orchestra e non potrebbe essere diversamente quando hai Graham Maby che è un polmone onnipresente al basso, una macchina da ritmo inarrestabile come Doug Yowell(a tratti un poco invadente, ma Joe Jackson sembra divertirsi a tornare al rumoroso beat degli inizi) e un chitarrista pulito e incisivo come Teddy Kumpel, che si destreggia anche alle tastiere e ai cori con Maby.
Meravigliosa sintesi di anni formidabili, spaziando da una Another World asciugata dalla ridda di percussioni dell’originale ma comunque efficace, all’accorata Real Men (entrambi da Night and Day, disco che nei controversi ‘80 ci aveva aperto un mondo) a Dave (vero nome del nostro, che così’ la presenta: “la storia di un mio amico, ma potrebbe essere anche la mia”) a The Fool, title track del Joe Jackson odierno e dichiarazione programmatica (“fool non è stupido”, dice in italiano e con l’accento giusto), scivolando una canzone dentro l’altra in un “fast forward” e ritorno, alla ritmica indiavolata di Invisible Man, alla danzabilità r&b di You Can’t Get what You Want a Ode To Joy dove schizza fuori Beethoven e alla festa punkreggae di Sunday Papers.
Nel bis, immancabile, spazio a Steppin’Out, annunciata come “un esperimento mai tentato prima, dopo aver riarrangiato tante canzoni, tenteremo di farla come era in originale”. E per l’occasione tira fuori una drum machine del 1979 a richiamare un tergicristallo che spazza via la pioggia nella notte di New York, mentre dall’auto scorgi grattacieli e miserie, mille luci e contraddizioni di una città “che non dorme mai”. Non può mancare I’m a Man, ancora nervi e rock and roll fine anni 70, tormento pestoduro di batteria e il concerto si spegne, con magia, nuovamente sulle note di Alchemy a chiudere un cerchio perfetto, slow song conclusiva che ci butta fuori, appagati, nella fresca notte bolognese.
Paolo Redaelli